Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Dopo i commenti trionfali sul risultato del referendum irlandese che negava l’adesione al trattato di Lisbona, la Lega Nord è rientrata disciplinatamente all’ovile, affermando che voterà il trattato in Parlamento.
La più significativa delle marce indietro è stata quella del ministro Calderoli, - ministro di un ministero senza portafoglio e, soprattutto, senza competenze -, che è entrato nel governo in seguito al caso mediatico delle presunte minacce pervenute dalla Libia. La montatura mediatica del caso Libia-Calderoli è stata la ulteriore dimostrazione di come si possa inventare una notizia attraverso l’espediente di traduzioni non verificate, trasformando un personaggio screditato in un simbolo dell’onore italico. Berlusconi, già troppo impegnato a gestire le proprie figuracce, è stato così costretto a imbarcare nel governo un personaggio di cui avrebbe fatto volentieri a meno.
Nessuno degli eroici reporter che vanno per la maggiore si è assunto l’onere di accertare se davvero degli esponenti libici avessero pronunciato quelle dichiarazioni, quindi la cosiddetta “libertà di stampa” non va mai a toccare gli assetti del dominio coloniale. Nessuno dei commentatori ufficiali ha inoltre sottolineato il paradosso per il quale un personaggio che i media trattano come un’icona della degenerazione antropologica, possa poi assumere il ruolo di bandiera dell’orgoglio nazionale.
Nella psicologia relazionale, si definisce “doppio vincolo” il costringere un soggetto ad aderire a due messaggi tra loro incompatibili, e il doppio vincolo costituisce appunto una tecnica per indurre la schizofrenia attraverso un condizionamento ambientale.
Come era scontato, la posizione della Lega non è stata mirata a bloccare effettivamente l’entrata in vigore del trattato, ma unicamente a screditare le ragioni dell’antieuropeismo, identificandole con una fuorviante polemica antimassonica, quasi che il progetto di Unione Europea fosse espressione della massoneria, che invece è solo uno dei tanti strumenti di penetrazione coloniale e corruzione sociale. La questione dell’Unione Europea non potrà essere inquadrata sino a quando non si accetterà l’evidenza del suo legame con la NATO. L’Unione Europea e la NATO sono due facce dello stesso dominio coloniale statunitense e, non a caso, Bruxelles è la sede di entrambe le organizzazioni, dato che, anche nell’epoca delle telecomunicazioni, è ancora la prossimità fisica che consente di far coincidere le leve del comando.
Ma il ruolo provocatorio della Lega Nord va oltre questi compiti contingenti di discredito e di copertura del dominio coloniale, in quanto la Lega, come messaggio, costituisce un intreccio di razzismo ed autorazzismo, un messaggio per il quale la xenofobia e l’antimeridionalismo diventano un veicolo di frantumazione, nei lavoratori settentrionali, di una dignità sociale faticosamente costruita e difesa nei decenni.
Il mito mediatico del voto operaio che sarebbe andato alla Lega Nord, non soltanto non rappresenta la descrizione di un evento reale, ma costituisce il tentativo di indurre negli operai proprio il comportamento che si finge di stigmatizzare. Non è bastato neutralizzare ed asservire le organizzazioni operaie tradizionali fagocitando i loro gruppi dirigenti, ma ora si cerca anche di distruggere la memoria della funzione sociale che queste organizzazioni hanno svolto.
La funzione dei media nel dominio coloniale è quindi più complessa di quanto si creda. Non si tratta soltanto di disinformare, ma anche di determinare, attraverso tecniche di condizionamento psicologico, le condizioni di una schizofrenia di massa, identificando il conformismo con la confusione, secondo il principio della psychological war enunciato dal presidente statunitense Harry Truman: “Se non puoi convincerli, confondili”.
Anche l’illegalità non deve quindi costituire solo una trasgressione di massa, ma un vero obbligo sociale, una sorta di nuovo zelo missionario.
Nei media ogni messaggio contiene in realtà il suo opposto, ogni denuncia implica in effetti un richiamo ad imitare i comportamenti denunciati, ogni indignazione moralistica serve a rappresentare una realtà fittizia dove tutto è concesso.
La perdita di prestigio che ha colpito negli ultimi anni il mito americano, non va quindi a incidere negativamente sugli assetti del dominio coloniale, poiché è compensata da un crescente autorazzismo delle popolazioni sottomesse.
Il punto qualificante del programma di governo della Lega Nord è il cosiddetto “federalismo fiscale”, cioè lo spostamento verso gli enti amministrativi locali di gran parte della esazione fiscale, comprese le imposte sul reddito e sul valore aggiunto. Il 28 giugno ultimo scorso è stato annunciato dal governo che ormai il federalismo fiscale fa parte del disegno della prossima legge finanziaria.
Ancora non è chiaro quale sia l’entità di questo spostamento, sta di fatto che, in questa fase di crisi finanziaria galoppante, si sta aprendo un nuovo sbocco affaristico, e cioè la privatizzazione della esazione fiscale, che già oggi copre la quasi totalità del prelievo a livello locale.
Non soltanto il costo delle privatizzazioni in genere ricade sempre sul contribuente, ma, in particolare, quando si privatizzano le esattorie, finisce che il fisco cessa del tutto di finanziare servizi pubblici, per convertirsi in pura fonte di profitto per le stesse esattorie private. In altre parole, si pagano tasse e imposte a totale beneficio delle esattorie.
Al di là delle leggende storiche sulla nascita della borghesia, questo ceto si afferma e si consolida proprio a partire dal business esattoriale, cioè l’appalto a privati del prelievo delle tasse e delle imposte pubbliche: il fisco è oggi, come in passato, la matrice originaria del cosiddetto “capitale”.
Stabilita l’entità del business del cosiddetto “federalismo fiscale”, si comprende anche il motivo per cui, da quasi vent’anni a questa parte, la Lega Nord goda di una condizione di privilegio assoluto nell’ambito delle comunicazioni di massa. Cominciò più di quindici anni fa Gad Lerner con la trasmissione televisiva “Milano-Italia”, che costituiva una vetrina, o uno show, in cui la Lega Nord poteva esibire le sue presunte ragioni. Nel frattempo sociologi ed economisti, dalle colonne dei più “seri” giornali, si incaricavano di fornire una sorta di scenario socio-economico con cui giustificare l’ascesa del consenso della Lega: una rivolta fiscale ed antistatale dei ceti medi produttivi che rivendicavano una maggiore autonomia dalle scelte del governo centrale.
Questo scenario - o questa fiction - riuscì ad affascinare gran parte della sinistra, compresa quella di opposizione, la quale, di fronte agli slogan della retorica socio-economica, è abituata a reagire con una supina rassegnazione, in quanto ha una disposizione ad arrendersi di fronte a tutto ciò che le viene presentato come ineluttabilità dello sviluppo storico.
Il potere degli affari è in grado, attraverso i media, di creare un mondo virtuale, in cui gli affari stessi trovano giustificazione, soprattutto se sono presentati come assoluto stato di necessità.
Nessuno, che non sia un affarista, avverte il “bisogno” del federalismo fiscale, ma questo presunto bisogno può essere creato, diventare addirittura richiesta, rivendicazione, moto di opinione pubblica. Questo meccanismo, ovviamente, può funzionare solo sino ad un certo punto, poiché ogni cittadino già vive sulla propria pelle l’oppressione delle esattorie private, le loro angherie camuffate da “errori”, che si risolvono sempre nel monito “prima paga, e poi, eventualmente, reclama”.
Č anche necessario perciò che i media introducano una serie di diversivi, di questioni vuote su cui dividere l’opinione pubblica, in modo da consentire alle cosche affaristiche di precisare nell’ombra termini e dettagli del loro super-business.
Nella guerra psicologica l’arma più efficace e letale che gli affaristi hanno a disposizione è sempre il razzismo. Il razzismo diviene così intrattenimento di massa.
L’opinione pubblica viene perciò indotta a trastullarsi in questo momento con la questione del prelievo delle impronte ai bambini rom, sulla “schedatura etnica”, e simili. Quanto sia pretestuosa questa diatriba, è dimostrato dal fatto che, in base alla legislazione vigente, il prelievo delle impronte digitali può essere già imposto a chiunque, che sia un Rom o meno. Di fronte alla legge, ogni cittadino è un Rom.
Il prelievo delle impronte digitali è quindi chiaramente una drammatizzazione che serve a distrarre dal problema del prelievo fiscale, che è quello che sta davvero a cuore alle cosche affaristiche ed al governo che ne costituisce l’agenzia.
Smascherare questo paradosso propagandistico - per il quale una sedicente “rivolta fiscale” sta portando ad un ulteriore aumento del prelievo fiscale a beneficio delle esattorie private -, non è certo facile. La retorica dell’autogoverno locale ha permeato molte argomentazioni della stessa opposizione, sempre troppo pronta a cavalcare quelli che vengono fatti apparire come movimenti spontanei, generati da una mitica “società civile”.
3 luglio 2008
|
|
|