IL BUSINESS DEL “FEDERALISMO FISCALE”
Il punto qualificante del programma di governo della Lega Nord è il cosiddetto “federalismo fiscale”, cioè lo spostamento verso gli enti amministrativi locali di gran parte della esazione fiscale, comprese le imposte sul reddito e sul valore aggiunto. Il 28 giugno ultimo scorso è stato annunciato dal governo che ormai il federalismo fiscale fa parte del disegno della prossima legge finanziaria.
Ancora non è chiaro quale sia l’entità di questo spostamento, sta di fatto che, in questa fase di crisi finanziaria galoppante, si sta aprendo un nuovo sbocco affaristico, e cioè la privatizzazione della esazione fiscale, che già oggi copre la quasi totalità del prelievo a livello locale.
Non soltanto il costo delle privatizzazioni in genere ricade sempre sul contribuente, ma, in particolare, quando si privatizzano le esattorie, finisce che il fisco cessa del tutto di finanziare servizi pubblici, per convertirsi in pura fonte di profitto per le stesse esattorie private. In altre parole, si pagano tasse e imposte a totale beneficio delle esattorie.
Al di là delle leggende storiche sulla nascita della borghesia, questo ceto si afferma e si consolida proprio a partire dal business esattoriale, cioè l’appalto a privati del prelievo delle tasse e delle imposte pubbliche: il fisco è oggi, come in passato, la matrice originaria del cosiddetto “capitale”.
Stabilita l’entità del business del cosiddetto “federalismo fiscale”, si comprende anche il motivo per cui, da quasi vent’anni a questa parte, la Lega Nord goda di una condizione di privilegio assoluto nell’ambito delle comunicazioni di massa. Cominciò più di quindici anni fa Gad Lerner con la trasmissione televisiva “Milano-Italia”, che costituiva una vetrina, o uno show, in cui la Lega Nord poteva esibire le sue presunte ragioni. Nel frattempo sociologi ed economisti, dalle colonne dei più “seri” giornali, si incaricavano di fornire una sorta di scenario socio-economico con cui giustificare l’ascesa del consenso della Lega: una rivolta fiscale ed antistatale dei ceti medi produttivi che rivendicavano una maggiore autonomia dalle scelte del governo centrale.
Questo scenario - o questa fiction - riuscì ad affascinare gran parte della sinistra, compresa quella di opposizione, la quale, di fronte agli slogan della retorica socio-economica, è abituata a reagire con una supina rassegnazione, in quanto ha una disposizione ad arrendersi di fronte a tutto ciò che le viene presentato come ineluttabilità dello sviluppo storico.
Il potere degli affari è in grado, attraverso i media, di creare un mondo virtuale, in cui gli affari stessi trovano giustificazione, soprattutto se sono presentati come assoluto stato di necessità.
Nessuno, che non sia un affarista, avverte il “bisogno” del federalismo fiscale, ma questo presunto bisogno può essere creato, diventare addirittura richiesta, rivendicazione, moto di opinione pubblica. Questo meccanismo, ovviamente, può funzionare solo sino ad un certo punto, poiché ogni cittadino già vive sulla propria pelle l’oppressione delle esattorie private, le loro angherie camuffate da “errori”, che si risolvono sempre nel monito “prima paga, e poi, eventualmente, reclama”.
Č anche necessario perciò che i media introducano una serie di diversivi, di questioni vuote su cui dividere l’opinione pubblica, in modo da consentire alle cosche affaristiche di precisare nell’ombra termini e dettagli del loro super-business.
Nella guerra psicologica l’arma più efficace e letale che gli affaristi hanno a disposizione è sempre il razzismo. Il razzismo diviene così intrattenimento di massa.
L’opinione pubblica viene perciò indotta a trastullarsi in questo momento con la questione del prelievo delle impronte ai bambini rom, sulla “schedatura etnica”, e simili. Quanto sia pretestuosa questa diatriba, è dimostrato dal fatto che, in base alla legislazione vigente, il prelievo delle impronte digitali può essere già imposto a chiunque, che sia un Rom o meno. Di fronte alla legge, ogni cittadino è un Rom.
Il prelievo delle impronte digitali è quindi chiaramente una drammatizzazione che serve a distrarre dal problema del prelievo fiscale, che è quello che sta davvero a cuore alle cosche affaristiche ed al governo che ne costituisce l’agenzia.
Smascherare questo paradosso propagandistico - per il quale una sedicente “rivolta fiscale” sta portando ad un ulteriore aumento del prelievo fiscale a beneficio delle esattorie private -, non è certo facile. La retorica dell’autogoverno locale ha permeato molte argomentazioni della stessa opposizione, sempre troppo pronta a cavalcare quelli che vengono fatti apparire come movimenti spontanei, generati da una mitica “società civile”.
3 luglio 2008
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