Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha dichiarato che il cosiddetto Reddito di Cittadinanza fa concorrenza ai salari e quindi disincentiva al lavoro. La risposta del segretario della CGIL, Maurizio Landini, si è mossa su percorsi ovvi, invitando gli industriali a pagare di più i lavoratori. Mancava nella risposta di Landini un’altra osservazione, altrettanto ovvia, ma più decisiva, e cioè perché faccia tanto scandalo una minima forma di assistenza per i poveri, e non ci si scandalizzi invece, per il sistema delle sovvenzioni statali alle imprese, che, tra l’altro, comporta molti più abusi e ruberie di quelli imputati al reddito di cittadinanza.
Sarebbe ora infatti di occuparsi di quello che viene correttamente chiamato il “liberismo reale”, che non è affatto una libera competizione in un mitico “mercato”, bensì una prassi consolidata di assistenzialismo per ricchi. Il sedicente liberismo, o presunto neoliberismo, è avvolto di leggende mediatiche e anche di icone, che ciascuno può interpretare in chiave positiva o negativa, a patto di rimanere nell’ambito della disinformazione e della falsificazione dei dati di fatto.
L’eroina del neoliberismo per antonomasia, il primo ministro britannico Margaret Thatcher, è passata alla Storia per aver “diminuito le tasse”. Per fortuna oggi c’è internet, quindi si può anche non dipendere dai giornalisti, ma consultare direttamente le fonti. Sul sito della Fondazione Margaret Thatcher si può accedere all’archivio sull’attività di governo della presunta “Lady di Ferro”, dove si scopre che effettivamente la Thatcher ha diminuito drasticamente l’imposizione fiscale diretta sulle persone fisiche e sulle aziende, ma compensandola con un aumento della fiscalità indiretta, come l’IVA e le accise sulla benzina. Non c’è stata perciò nessuna diminuzione del carico fiscale complessivo, semmai un trasferimento di risorse fiscali dai poveri ai ricchi, poiché le tasse sui consumi colpiscono i redditi più bassi. Gli agi che si regalano i ricchi (automobili, viaggi, ville, yacht, eccetera) vengono invece caricati sui bilanci delle loro aziende o dei loro studi professionali come spese di rappresentanza.
Non è dunque vero che il liberismo comporti diminuzione delle tasse, bensì esclusivamente la diminuzione delle tasse ai ricchi, finanziata con un aumento della tassazione sui poveri. L’aneddotica agiografica narra che la Thatcher abbia dotato gli uffici pubblici di cartelli su cui era scritto: “Non esiste il denaro pubblico ma il denaro del contribuente”. Per essere più precisa la signora avrebbe dovuto chiarire che si tratta dei contribuenti poveri, e che è la fiscalità che grava sui poveri la gallina dalle uova d’oro su cui si regge il cosiddetto capitalismo.
I lavoratori sono spesso costretti ad usare l’automobile perché il sistema del trasporto pubblico è insufficiente, per cui le accise sulla benzina si configurano come una vera e propria tassa sul lavoro. Nel “paradiso fiscale” britannico (paradiso per i soli ricchi) le accise sulla benzina sono aumentate costantemente sino a toccare un tetto nel 2000, per poi calare leggermente dal 2011, anno dal quale, almeno nel Regno Unito, si è registrata una piccola inversione di tendenza, ma comunque con un carico fiscale sempre elevato.
Con il nobile pretesto della transizione ecologica, non solo i governi italiani, ma anche i governi britannici sovvenzionano con denaro pubblico le ristrutturazioni industriali delle imprese private. Il politicamente eco-corretto si risolve in prelievo fiscale sui consumi energetici dei poveri per finanziare le imprese private, che così vedono anche lievitare artificiosamente il valore dei loro titoli in Borsa. Tutto questo viene attuato nel Regno Unito da governi conservatori e “liberisti”, mentre alle “sinistre” si lascia il compito pedagogico di denunciare e stigmatizzare un “individualismo thatcheriano” mai esistito; ciò per impedire lo sconcio che i poveri cadano nell’egoistica pretesa di fare i propri interessi. La cosiddetta “sinistra” svolge una funzione di pulizia morale, anzi di polizia morale, nei confronti dei poveri.
Maurizio Landini ha anche lanciato la proposta di una tassazione sulle rendite finanziarie per finanziare gli sgravi fiscali sul lavoro. Proposte del genere sono un ottimo espediente per spaventare il ceto medio ed avviare la consueta recita elettorale tra “sinistra pro-tasse” e “destra anti-tasse”. Ma non era stato proprio un governo di centrodestra a inventare Equitalia nel 2005? Tutto dimenticato, perché l’importante è il gioco delle parti.
Il falso presupposto di “sinistra” è la fiaba che le tasse servano a finanziare i servizi pubblici, mentre nella realtà gran parte della spesa pubblica va in sovvenzioni alle imprese, che in questi anni hanno alimentato bolle speculative in Borsa sui titoli che in Italia chiamiamo “verdi” e che nel gergo finanziario sono indicati con la sigla ESG. Già prima della guerra in Ucraina si registravano i segnali di uno sgonfiamento della bolla speculativa, ma la guerra ha ovviamente accelerato il processo.
Sennonché si scopre che proprio i gruppi finanziari come Blackrock, quelli che determinarono la bolla pseudo-green, anche con il loro pressante lobbying sui governi, hanno però tranquillamente continuato a detenere enormi quantità di titoli di multinazionali di combustibili fossili, compreso il prima vituperato carbone, oggi riabilitato a causa dell’aumento del prezzo del gas e del petrolio. Che i titoli ESG avessero il fiato cortissimo, era evidente per Blackrock, che però ci ha potuto ugualmente speculare per anni a spese del contribuente povero. Se la magistratura non fosse composta a sua volta da lobbisti, ci sarebbero tutti gli estremi per imputare Blackrock, e i suoi complici nei vari governi, di tutta una serie di frodi finanziarie. Ma chi denuncia i reati dei poveri passa da legalitario, mentre chi denuncia i reati dei ricchi, passa da complottista.
Negli Stati Uniti, date le distanze, il flusso di benzina è come la circolazione sanguigna della società. Il fatto che negli USA, che pure sono uno dei maggiori produttori di petrolio, il prezzo della benzina sia raddoppiato in meno di un anno, mette in crisi la tenuta sociale del Paese. I nostri servizi segreti dovrebbero tenere d’occhio anche l’insospettabile agenzia ANSA, che dà conto dei malumori del popolo americano, sottolineando che esso non crede a Biden quando questi cerca di scaricare la colpa degli aumenti su Putin.
La crisi energetica era conclamata già dallo scorso anno. Vi fu anche un Consiglio dei Ministri dell‘Energia europei che si risolse con un nulla di fatto, concludendo che gli approvvigionamenti e i contratti fossero affare dei singoli Paesi. Nello scorso mese di dicembre era chiaro a tutti che si sarebbe andati incontro ad un anno drammatico sul tema dell’energia. Nello stesso periodo in Italia fu convocato ben tre volte il Consiglio dei Ministri durante le festività natalizie, ma non per parlare di energia, bensì per prendere provvedimenti vessatori nei confronti dei non vaccinati. Per il governo Draghi la priorità era, ed ancora è, quella di irreggimentare e controllare la popolazione.
Dopo due anni di grancassa sulle mirabilie del Recovery Fund, ci si fa sapere adesso che l’Italia è nei guai, poiché la Banca Centrale Europea, dopo la chiusura del PEPP a marzo, dal primo di luglio cesserà anche l’ultimo programma di acquisti del debito pubblico dei Paesi europei, l’APP. La sopravvivenza dell’Italia quindi non era legata ai quattro spiccioli ed ai prestiti del Recovery Fund, ma alla creazione di moneta da parte della BCE. I soldi che l’Italia deve alla BCE sono puro esercizio contabile, dato che si tratta di denaro creato dal nulla. I prestiti del Recovery Fund invece vanno restituiti e comportano innumerevoli vincoli. E allora si dovrebbe spiegare perché il governo Draghi, a differenza degli altri Paesi europei, non ha approfittato fino in fondo della fonte miracolosa della BCE ed ha tenuto invece a far indebitare l’Italia anche col Recovery Fund. Sarebbe però un errore sopravvalutare il ruolo personale di Draghi, poiché si tratta di uno schema di potere consolidato e ricorrente, per cui qualsiasi altro Presidente del Consiglio avrebbe fatto lo stesso.
Ancora una volta i vincoli sono stati cercati e creati ad arte, a dimostrazione che la vera priorità dell’oligarchia nostrana non è affatto la tenuta dell’economia, bensì il controllo sociale in quanto tale. La capacità di esercitare il controllo sociale è il percorso di grandeur e di status internazionale che storicamente l’oligarchia italica si è delineato. Si tratta di un fenomeno di auto-colonialismo, nel quale l’oligarchia di un Paese stabilisce un “vincolo esterno” che serve da ombrello e da alibi per giustificare l’oppressione della propria popolazione. Aver ridotto l’Italia ad un laboratorio delle multinazionali consente agli oligarchi italiani di inserirsi nel giro delle lobby che contano. Si entra dalla porta di servizio, ma l’arte dei servi sta nel saper rendersi indispensabili.
Se si vuole trovare un modello di potere analogo a questo, occorre ritornare a figure legate al vecchio latifondismo: i campieri. Le confraternite dei campieri furono alla base della nascita delle organizzazioni mafiose che conosciamo. Una memoria storica falsata localizza il fenomeno solo in Sicilia, ma in realtà era molto più esteso. La storiografia ufficiale se ne è occupata pochissimo, ma se ne trovano tracce nell’ambito della letteratura realistica. Nel romanzo “Adua” di Manlio Cancogni (pubblicato con lo pseudonimo di Giuseppe Tugnoli) si narra delle bande criminali al servizio dei latifondisti in Emilia-Romagna, la cui influenza arrivava sino alla Liguria. Dal romanzo fu tratto anche uno sceneggiato televisivo RAI, fedele al romanzo e piuttosto pregevole nella realizzazione, a cura del regista Dante Guardamagna.
I campieri non erano semplici guardiani del latifondo al servizio dei baroni, poiché perseguivano un proprio schema di potere, per cui il servo era in grado di intimorire e spaventare anche il padrone mostrandogli la propria capacità di esercitare un controllo capillare e spietato sui braccianti. La condizione servile diventava così un trampolino di lancio per un percorso di potere criminale, in grado di scalzare alla lunga anche i baroni. Emigrati in America, molti ex campieri misero le loro “competenze” al servizio degli industriali per la repressione antioperaia. Anche in quel caso la dinamica servo-padrone consentì alle organizzazioni mafiose di acquisire il controllo di strutture economiche strategiche come i porti.
I nostri oligarchi esibiscono all’estero la loro capacità di trasformare gli Italiani in animali addestrati, in animali da circo, a cui imporre qualsiasi umiliazione: “riforme strutturali”, lockdown, mascherine, Green Pass, obbligatorietà di un vaccino non approvato in via definitiva, e di qui a poco anche il razionamento energetico. La propaganda ufficiale rappresenta da sempre il popolo italiano come indisciplinato e spendaccione, in modo da esaltare le doti di “domatori” dei nostri campieri, che così riscuotono la considerazione ed il timore delle oligarchie straniere, alle quali pur essi si mostrano sottomessi. La rappresentazione mitologica dei “vizi italici” consente anche ai poteri criminali nostrani di mimetizzarsi nelle pieghe della retorica “educazionista”, riscuotendo così il plauso dell’opinione pubblica moralista, quella pronta ad attribuire una funzione salvifica ai provvedimenti punitivi.
Chi pensa che il problema dei nostri oligarchi sia la loro eccessiva sottomissione alla NATO ed alla UE, magari si illude che, avendo come sponda internazionale la Russia, le cose potrebbero andare meglio. In realtà passare da una sponda imperialistica ad un’altra servirebbe soltanto a vedere i nostri oligarchi, i nostri campieri, trasformarsi da cacciatori di “putiniani” in cacciatori di “anti-putiniani”.
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