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"L'abolizione dello Stato e del diritto giuridico avrà necessariamente per effetto l'abolizione della proprietà privata e della famiglia giuridica fondata su questa proprietà."

Programma della Federazione Slava, 1872
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 24/05/2018 @ 01:17:16, in Commentario 2018, linkato 8174 volte)
Molti commentatori che non si sono mai segnalati per la loro incisività nel sottolineare i paradossi della narrazione economica ufficiale, pur non hanno potuto fare a meno di notare la strana “coincidenza” tra l’ingresso di Cassa Depositi e Prestiti nell’azionariato di Telecom e l’annuncio recente della stessa azienda della messa in Cassa Integrazione e del licenziamento per migliaia di dipendenti. In Telecom c’è una guerra feroce per il potere tra i soci americani e quelli francesi ma, sta di fatto, che il denaro di un’agenzia finanziaria del governo come Cassa Depositi e Prestiti ha conferito al management aziendale la “serenità” per avviare una politica di tagli del personale.
Cassa Depositi e Prestiti è la depositaria del risparmio postale, quindi dei risparmiucci di tanti lavoratori, che magari hanno visto un atto di responsabilità civile nell’affidare i propri denari a quella che viene presentata come un’agenzia per lo sviluppo economico. Magari tra questi risparmiatori c’erano anche quelli di Telecom, i quali si erano forse persino illusi che la presenza di CDP nell’azienda potesse costituire per loro una garanzia. Così non è stato e non può rappresentare una sorpresa, dato che non è la prima volta che il denaro pubblico costituisce il viatico e lo strumento per attuare politiche di privatizzazione e deindustrializzazione (spesso i due termini coincidono).
C’è l’illustre precedente della FIAT all’inizio degli anni ’80: un’azienda privata riscosse denaro pubblico in nome della riconversione industriale e se ne servì invece per licenziare e per investire nel debito pubblico. A quell’epoca il debito pubblico vedeva lievitare i suoi interessi perché l’ingresso dell’Italia, nel 1979, nel Sistema Monetario Europeo costringeva il governo a difendere il valore della lira aumentando il tasso di interesse sul proprio debito. La fiaba ufficiale presenta la lievitazione del debito pubblico come una conseguenza del bengodi nazionale e della necessità per i governi di comprare consenso sociale. In realtà il consenso che il debito pubblico ha conquistato è quello dei potentati finanziari. Che un debito pubblico confezionato a misura degli interessi della finanza venga scaricato sul popolo come colpa storica da espiare, fa parte del copione. Il marchio di fabbrica del lobbying finanziario è infatti la precettistica morale ed espiatoria, di cui è matrice il famoso slogan del Fondo Monetario Internazionale: “Avete vissuto al di sopra dei vostri mezzi”. La narrazione morale ha ovviamente i suoi eroi e i suoi santi da additare all’ammirazione devota dell’opinione pubblica.

Un personaggio che dal 2014 ha visto crescere esponenzialmente la sua popolarità mediatica è Carlo Cottarelli, un massone ed un ex del FMI, che era stato designato dal governo Letta come commissario alla “spending review”, un tentativo fallito di attuare tagli nella spesa pubblica. Mai fallimento fu più foriero di fortune personali: Cottarelli è diventato un divo ed il suo mantra delle spese “improduttive” da tagliare imperversa da quattro anni nei talk-show.
Alcuni economisti si sono espressi sarcasticamente sulla effettiva competenza di Cottarelli ed hanno fatto notare che la scienza economica non ha mai precisamente individuato quale spesa sia produttiva e quale no. Però qualche idea a Cottarelli si potrebbe anche suggerirla.
Quant’è costato all’erario il Jobs Act? C’è proporzione tra le decine di miliardi spesi per finanziare le imprese e l’aumento effettivo della produttività? O si è soltanto finanziata la precarizzazione?
Quanto costa l’alternanza Scuola-lavoro? Ha senso versare centinaia di milioni alle imprese per farvi lavorare gratis degli studenti, cioè una manodopera dequalificata? Hanno davvero interesse le aziende a qualificare gli studenti o per le aziende è più conveniente usarli come sostituti dei lavoratori con le mansioni più basse? Questo schiavismo di Stato non costituisce per “caso” un disincentivo per le imprese ad assumere altro personale o, addirittura, un incentivo a licenziare parte di quello che hanno? Non è che l’alternanza Scuola-lavoro sta finanziando le non assunzioni o i licenziamenti, cioè altra disoccupazione? Sono “produttive” le spese che finanziano i licenziamenti?
Quanto sono costate allo Stato le privatizzazioni e quanto continuano a costare? Quanto è costato sinora tenere in piedi una Telecom privata? E quanto costerà allo Stato procedere nell’assistenza alla distruzione definitiva di questa azienda ad opera dei privati?
Quanto costa allo Stato in termini di sussidi accogliere una multinazionale per finanziare la delocalizzazione del nostro apparato produttivo? In concreto, quanto costa ogni anno al contribuente un ente assistenziale per multinazionali come l’agenzia del ministero del Tesoro “Invitalia”?
Insomma, nella spesa pubblica c’è davvero molto di che tagliare nel capitolo dell’assistenzialismo per ricchi.
 
Di comidad (del 31/05/2018 @ 01:42:01, in Commentario 2018, linkato 2134 volte)
Sino a qualche settimana fa Sergio Mattarella, con il suo basso profilo, se l’era cavata persino meglio di Napolitano. Poi l’obbedienza pedissequa agli ordini ricevuti lo ha portato a scoprirsi troppo.
Secondo le dichiarazioni di Mattarella il governo Cottarelli sarebbe a termine con il compito di accompagnare a nuove elezioni. Ma a che scopo votare di nuovo se, in base alla riforma costituzionale operata in questi giorni dai media, i ministri ed il programma di governo li decide comunque l’Autocrate del Quirinale?
Secondo le dichiarazioni di Pier Carlo Padoan il vero motivo dello scontro istituzionale non è stato il nome di Paolo Savona al ministero dell’Economia, ma le posizioni di Lega e 5 Stelle sull’Europa. Ma se il problema era la salvezza dell’euro, perché non si è accondisceso a suo tempo ad un governo del PD con i 5 Stelle, in quel momento accontentabili con una legge anticorruzione, l’abolizione dei vitalizi e qualcosa che assomigliasse ad un reddito di cittadinanza? Perché invece si è scelto di condurre alla radicalizzazione un movimento da sempre ambiguo come i 5 Stelle?
I tempi dilatati e la cattiva memoria dei più costituiscono un ottimo paravento contro le contraddizioni, anche le più palesi. Stavolta la concitazione e la condensazione degli eventi hanno condotto invece ad una esibizione di queste contraddizioni che non sono solo di oggi.
Ormai non ci si sorprende più di nulla, nemmeno se il papa ci venisse a dire che Dio non esiste; figuriamoci quindi se può scandalizzare un Presidente della Repubblica che dichiara pubblicamente che comandano i “Mercati” e le agenzie di rating e non gli elettori e il parlamento. La debitocrazia c’è, eccome, perciò si può anche teorizzarla; ciò che Mattarella non può pretendere è che ci beviamo fesserie pure e semplici. Se il problema di Mattarella fosse stato davvero quello di non allarmare i mercati, a che scopo drammatizzare la questione di Savona ministro?
Si può comprendere l’impuntatura di Lega e 5 Stelle su Savona, poiché era l’unico nome che avrebbe potuto dare una parvenza di serietà ad un governo che altrimenti sarebbe diventato un ballo delle debuttanti, una riedizione della Giunta Raggi su scala nazionale. Ciò che non è stato invece spiegato da Mattarella e dai giornalisti suoi cantori, è il motivo per cui si è voluto mettere l’accento sulle posizioni critiche di Savona sull’euro e non sul fatto che sia un uomo di establishment e, come tale, condizionabile da parte dello stesso establishment. O Savona è stato osteggiato proprio per questo, non come avversario dell’euro ma in quanto conoscitore dei meandri del sistema?
E se il problema dei “Mercati” fosse davvero quello di essere “rassicurati”, quanto li potrebbe rassicurare una prossima scadenza elettorale che si trasformerebbe in referendum sull’euro?

In realtà i “Mercati” (cioè le cosche di investitori che speculano sui debiti pubblici) non sono affatto nervosi o impressionabili, ma fanno i loro giochi, rispetto ai quali le vicende interne dei vari Paesi sono ininfluenti. Probabilmente l’emergenza spread era programmata da tempo, poiché il quantitative easing di Draghi è ormai alla frutta e la sua fine trascinerà con sé anche l’euro. Il problema vero perciò non è rassicurare i mercati e nemmeno salvare l’euro, ma avere a disposizione il pollo da spennare, cioè l’Italia.
Mattarella quindi non ha contrastato affatto l’emergenza spread, bensì ha contribuito a mistificarla, a farla passare per una nostra colpa, come se a tirare i fili del Presidente fosse appunto la lobby internazionale dello spread. Che poi Mattarella sia un venduto o uno sprovveduto, è un problema suo; certo è che ha fatto di tutto per far fallire qualsiasi ipotesi di un governo espressione del parlamento.
Sino a queste ore Salvini sembrerebbe intenzionato a realizzare sul piano elettorale le vicende di queste settimane. Ma, ammesso che raggiungesse la maggioranza, non rischierebbe di trovare i giochi già fatti, cioè un’Italia già consegnata da Cottarelli nelle grinfie del Fondo Monetario Internazionale? Può fidarsi a lasciare sciogliere il parlamento e lasciare per mesi campo libero a Mattarella?
Non sarebbe esatto però affermare che il comportamento di Mattarella, con la sua imposizione di un Presidente del Consiglio prefabbricato da anni, costituisca un evento inedito e inaudito. Il governo Monti si è insediato alla fine del 2011, ma la “soluzione” Monti veniva prospettata da almeno un anno e mezzo prima, molto prima della “emergenza” dello “spread” ed anche prima che il Buffone di Arcore venisse messo in crisi alla Camera dallo scisma di Gianfranco Fini dalla maggioranza.
Nel novembre del 2010 il governo del Buffone di Arcore fu salvato da Giorgio Napolitano, che impose un mese di attesa per il voto di sfiducia al governo con il pretesto dell’approvazione della Legge di Stabilità. In quel mese la maggioranza poté ricomprarsi i voti mancanti e superare la crisi. A cosa serviva tenersi per un altro anno un Buffone in stato di avanzata putrefazione? In parte è chiaro: a creare il clima di emergenza finanziaria utile a giustificare l’imposizione di Monti da parte di Napolitano. Ma probabilmente Napolitano avrebbe potuto imporre Monti anche un anno prima dato che non sarebbe stato difficile passare sulla testa di Fini e Bersani.

Il problema è che allora, come oggi, non è stato solo di imporre un Monti o un Cottarelli sulla testa degli elettori, ma di creare artificiosamente l’emergenza finanziaria ed attribuirla a colpe degli Italiani. I “Mercati” non esistono; in compenso esistono gruppi di investitori che vogliono Stati in condizione di genuflessione. Tenere interi Paesi sotto crescente colpevolizzazione significa poterli spremere a piacimento. Non c’è solo debitocrazia, ma una debitocrazia emergenziale, il business della catastrofe incombente.
A suo tempo però Monti rifiutò di chiedere un prestito al Fondo Monetario Internazionale ed evitò il commissariamento dell’Italia. Per questo motivo Monti considera se stesso una sorta di patriota o di eroe nazionale e attribuisce probabilmente a quella scelta la sua successiva emarginazione. Insomma, un martire. È questione di punti di vista.
Cottarelli potrebbe invece considerare patriottico farci commissariare dal Fondo Monetario Internazionale e, per questa opera meritoria, potrebbe persino reclamare di essere elevato alla gloria degli altari.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


21/11/2024 @ 19:03:59
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