Molti commentatori che non si sono mai segnalati per la loro incisività nel sottolineare i paradossi della narrazione economica ufficiale, pur non hanno potuto fare a meno di notare la strana “coincidenza” tra l’ingresso di Cassa Depositi e Prestiti nell’azionariato di Telecom e l’annuncio recente della stessa azienda della messa in Cassa Integrazione e del
licenziamento per migliaia di dipendenti. In Telecom c’è una guerra feroce per il potere tra i soci americani e quelli francesi ma, sta di fatto, che il denaro di un’agenzia finanziaria del governo come Cassa Depositi e Prestiti ha conferito al management aziendale la “serenità” per avviare una politica di tagli del personale.
Cassa Depositi e Prestiti è la depositaria del risparmio postale, quindi dei risparmiucci di tanti lavoratori, che magari hanno visto un atto di responsabilità civile nell’affidare i propri denari a quella che viene presentata come un’agenzia per lo sviluppo economico. Magari tra questi risparmiatori c’erano anche quelli di Telecom, i quali si erano forse persino illusi che la presenza di CDP nell’azienda potesse costituire per loro una garanzia. Così non è stato e non può rappresentare una sorpresa, dato che non è la prima volta che il denaro pubblico costituisce il viatico e lo strumento per attuare politiche di privatizzazione e deindustrializzazione (spesso i due termini coincidono).
C’è l’illustre precedente della FIAT all’inizio degli anni ’80: un’azienda privata riscosse denaro pubblico in nome della riconversione industriale e se ne servì invece per licenziare e per investire nel debito pubblico. A quell’epoca il debito pubblico vedeva lievitare i suoi interessi perché l’ingresso dell’Italia, nel 1979, nel Sistema Monetario Europeo costringeva il governo a difendere il valore della lira aumentando il tasso di interesse sul proprio debito. La fiaba ufficiale presenta la lievitazione del debito pubblico come una conseguenza del bengodi nazionale e della necessità per i governi di comprare consenso sociale. In realtà il consenso che il debito pubblico ha conquistato è quello dei potentati finanziari. Che un debito pubblico confezionato a misura degli interessi della finanza venga scaricato sul popolo come colpa storica da espiare, fa parte del copione. Il marchio di fabbrica del lobbying finanziario è infatti la precettistica morale ed espiatoria, di cui è matrice il famoso slogan del Fondo Monetario Internazionale: “Avete vissuto al di sopra dei vostri mezzi”. La narrazione morale ha ovviamente i suoi eroi e i suoi santi da additare all’ammirazione devota dell’opinione pubblica.
Un personaggio che dal 2014 ha visto crescere esponenzialmente la sua popolarità mediatica è Carlo Cottarelli, un massone ed un ex del FMI, che era stato designato dal governo Letta come
commissario alla “spending review”, un tentativo fallito di attuare tagli nella spesa pubblica. Mai fallimento fu più foriero di fortune personali: Cottarelli è diventato un divo ed il suo mantra delle spese “improduttive” da tagliare imperversa da quattro anni nei talk-show.
Alcuni economisti si sono espressi sarcasticamente sulla effettiva competenza di Cottarelli ed hanno fatto notare che la scienza economica non ha mai precisamente individuato quale spesa sia produttiva e quale no. Però qualche idea a Cottarelli si potrebbe anche suggerirla.
Quant’è costato all’erario il Jobs Act? C’è proporzione tra le decine di miliardi spesi per finanziare le imprese e l’aumento effettivo della produttività? O si è soltanto finanziata la precarizzazione?
Quanto costa l’alternanza Scuola-lavoro? Ha senso versare centinaia di milioni alle imprese per farvi lavorare gratis degli studenti, cioè una manodopera dequalificata? Hanno davvero interesse le aziende a qualificare gli studenti o per le aziende è più conveniente usarli come sostituti dei lavoratori con le mansioni più basse? Questo schiavismo di Stato non costituisce per “caso” un disincentivo per le imprese ad assumere altro personale o, addirittura, un incentivo a licenziare parte di quello che hanno? Non è che l’alternanza Scuola-lavoro sta finanziando le non assunzioni o i licenziamenti, cioè altra disoccupazione? Sono “produttive” le spese che finanziano i licenziamenti?
Quanto sono costate allo Stato le privatizzazioni e quanto continuano a costare? Quanto è costato sinora tenere in piedi una Telecom privata? E quanto costerà allo Stato procedere nell’assistenza alla distruzione definitiva di questa azienda ad opera dei privati?
Quanto costa allo Stato in termini di sussidi accogliere una multinazionale per finanziare la delocalizzazione del nostro apparato produttivo? In concreto, quanto costa ogni anno al contribuente
un ente assistenziale per multinazionali come l’agenzia del ministero del Tesoro “Invitalia”?
Insomma, nella spesa pubblica c’è davvero molto di che tagliare nel capitolo dell’assistenzialismo per ricchi.