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"Gli errori dei poveri sono sempre crimini, mentre i crimini dei ricchi sono al massimo 'contraddizioni'."

Comidad (2010)
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 13/04/2023 @ 00:10:28, in Commentario 2023, linkato 7804 volte)
In Italia ti devi preoccupare se i governi ti tolgono qualcosa, ma soprattutto c’è da allarmarsi quando sembra che vogliano darti qualcosa, poiché immancabilmente se la riprenderanno, in più trattenendosi persino gli interessi, per cui alla fine ti ritroverai due passi indietro rispetto al punto di partenza. La riproduzione di questo schema di potere si è puntualmente verificata nel caso dei cosiddetti Reddito di Cittadinanza e Superbonus. Si tratta della consueta sceneggiata con la quale l’oligarchia nostrana esercita la propria avarizia; un canovaccio teatrale che ormai si recita a soggetto con assoluta disinvoltura, e che ha come inevitabile corollario la litania delle colpevolizzazioni e delle recriminazioni moralistiche, come il mantra del “volevate prendere il sussidio per starvene sdraiati sul divano”, oppure del “volevate farvi la casa gratis”. Stavolta la messinscena a sfondo espiatorio è così ben riuscita che non c’è stato bisogno neppure dell’alibi europeo, o di dare la colpa alla micragna tedesca. Non ci si è preoccupati di nascondere il fatto che l’avarizia messa in campo è tutta di matrice italica, cioè proviene interamente dall’oligarchia nostrana e dall’opinione pubblica che le fa da sponda.
Nell’analizzare la tribù italica, l’antropologo culturale noterà infatti che nella riproduzione di questo schema di dominio una funzione fondamentale di supporto e rilancio comunicativo è svolta dalla pubblica opinione, la quale trova una sorta di infantile rassicurazione nel sentirsi raccontare sempre la stessa fiaba e nel ripeterla a propria volta. Non conta che la fiaba non abbia lieto fine, che anzi risulti squallida ed avvilente; l’aspetto gratificante consiste nel fatto che la fiaba riconfermi il risaputo ed il già visto, e si concluda sempre con la stessa sentenza morale.
Nel conflitto sociale lo squallore è un’arma, un napalm comunicativo, cioè un’intossicazione narrativa ed emotiva che tende a disarmare psicologicamente l’avversario attraverso un drastico abbassamento del livello comunicativo. Il Buffone di Arcore ed i suoi sodali hanno dimostrato più volte l’efficacia dello squallore come stile comunicativo; poiché, se per certi versi lo squallore è sconcertante, per altri aspetti invece è rassicurante, dato che non richiede sforzo di comprensione. Il Buffone ci racconta la fiaba secondo cui sarebbero la “sinistra”, e i perfidi “comunisti”, a volerci costringere a diventare migliori; mentre al Buffone piacciamo come siamo. In tal modo il Buffone è riuscito a farsi percepire come un Padre Nobile, un Nonno della Repubblica, che, in quanto nonno, mette in scena per la famiglia la propria agonia, vera o finta che sia.

Ma anche questa rappresenta appunto l’ennesima fiaba. Il compianto Oliviero Beha osservava che il Buffone di Arcore nel contesto italiano svolge un’importante funzione di distrattore e parafulmine, come se assumesse su di sé l’esclusiva di tutta una serie di comportamenti, dal conflitto di interessi ai rapporti sfacciati con la mafia; comportamenti che in effetti sono caratteristica anche di personalità al di sopra di ogni critica. Si può dire altrettanto per lo stile comunicativo dello squallore. La sguaiataggine è più frequentata dalla destra, ma non è assolutamente una sua esclusiva; anzi, è uno stile che è trasversale a tutti gli schieramenti politici ed a tutte le cosiddette istituzioni, poiché non può esistere un modo pulito e pacato di negare l’evidenza, perciò l’unica soluzione è quella di sbracare, di gelare l’interlocutore con la spudorata esibizione della propria abietta arroganza. Nel corso della psicopandemia si è visto come la sedicente “sinistra” sia riuscita a coniugare l’aulica retorica collettivistica e palingenetica con un drastico abbassamento del livello comunicativo, per cui abbiamo udito persino colti ed insospettabili intellettuali di “sinistra” paragonare il green pass alla patente di guida, e plaudire al paradosso demenziale degli “ambienti immuni per immunizzati”. Abbiamo assistito anche a sentenze della Consulta e della Cassazione che avevano la stessa compostezza e solennità di uno sputo in faccia. Il contribuente (quello povero, perché quello ricco trova il modo di eludere il fisco) paga lautamente dei giudici per fargli compiere lo sforzo di sentenziare che i deboli hanno sempre torto ed i potenti sempre ragione.
Nel momento in cui i rapporti di forza sono completamente squilibrati a favore delle lobby d’affari, cessa non solo l’illusione dello Stato di Diritto, ma persino quella dello Stato, perciò lo sbracamento diventa il mainstream. Enrico Mentana vent’anni fa definiva Emilio Fede come l’AIDS del giornalismo italiano; ma nel periodo psicopandemico e nell’attuale periodo bellico, Mentana non ha esitato ad adottare lo stesso registro comunicativo infimo ed ammiccante di colui il quale era considerato un paria del telegiornalismo. Il giornalismo “nobile” sta così diventando indistinguibile rispetto quello triviale, per cui oggi sono annoverati tra i “nobili” dei giornalisti come Feltri o Sallusti, considerati degli osceni gaglioffi sino a qualche anno fa.
La narrazione dello squallore ha i suoi risvolti e le sue varianti; se si conosce il trucco però si capisce facilmente dove si vuole andare a parare; anzi, ce lo dicono proprio loro, come si è visto nella vicenda del Recovery Fund e del PNRR. La fiaba suonava così: la burbera Europa stavolta è stata generosa e ci ha elargito la bellezza di duecentonove miliardi, una quantità di soldi che non avevamo mai visto tutta assieme. Ma era già scritto nel libro del destino che tutti quei soldi non avremmo saputo meritarceli, che non saremmo stati neppure capaci di spenderli. La burbera Europa era stata generosa ma vigile, perciò ha preteso progetti precisi e tempi certi; condizioni che ovviamente non siamo stati capaci di soddisfare. Vi sembra abbastanza squallida come narrazione? Vi sono già cascate le braccia? Abbiate un attimo di pazienza, perché sulla torta dello squallore non poteva mancare la ciliegina, come l’esternazione del presidente della Regione Veneto, che è sbottato con un altro prevedibile mantra: “Se non sanno spendere i soldi, li diano a noi”. Sbracamenti in serie per dissimulare nonsensi e grossolane falsità.

In realtà se si considera la cifra che ogni anno il nostro Tesoro rastrella vendendo BOT e BTP, i duecentonove miliardi non sono tanti; considerando inoltre che oltre centottanta miliardi del Recovery Fund consistono appunto in prestiti, offerti per di più a condizioni molto meno convenienti di quelle dei vari programmi di acquisto di titoli pubblici e privati che la Banca Centrale Europea ha condotto in grande stile fino all’anno scorso e che continua ora in tono minore, ma comunque continua. Se c’è una vera dipendenza è quella nei confronti di quei programmi di acquisto della BCE, non certo nei confronti della barzelletta del Recovery Fund. Ma la BCE non sta sorreggendo l’Italia, bensì il baraccone dell’euro, perciò la vera origine dell’avarizia va cercata qui, non nei mitici “vincoli esterni”.
L’oligarchia dell’Italietta è la più avara del mondo e proviene dall’esperienza di più di centocinquanta anni di politica della “lesina”, nella quale uno degli espedienti più usati è stato quello dell’alibi dell’inefficienza, della presunta incapacità di spendere i fondi stanziati; fondi che sin dall’inizio si intendeva tenere bloccati. Non per niente si è sempre agevolata la carriera di quei funzionari pubblici abbastanza privi di scrupoli da violare leggi e regolamenti pur di ostacolare gli investimenti. Insomma, è tutto l’opposto di ciò che ci viene narrato: non è vero che non si spende perché ci sono troppe regole; anzi, spesso si violano le regole pur di non spendere. Quando il primo governo Prodi istituì l’obbligo scolastico fino ai sedici anni, nel Sud molti Provveditori, pur di tagliare classi, non lo applicarono, sostenendo persino che tale obbligo non sussistesse. Quei Provveditori non furono mai perseguiti dal governo e tantomeno dalla magistratura.
L’avarizia non può confessare di essere tale e perciò mette in campo un’avvilente narrazione di incapacità e inettitudine a spendere. Non si può mettere nero su bianco che una certa parte della nazione è destinata al sottosviluppo allo scopo di evitare che si importino troppe materie prime; infatti un eccesso di importazioni comporterebbe una svalutazione della moneta nazionale che danneggerebbe i creditori. Al di là di tutte le leggende sull’importanza dello sviluppo economico nel capitalismo, la realtà è che la lobby dei creditori è sempre la più forte; ed è meglio sacrificare lo sviluppo che svalutare i crediti di chi ha prestato soldi agli Stati ed alle famiglie. Si sapeva perciò fin dall’inizio che i programmi di spesa del PNRR non sarebbero stati attuati e che la colpa sarebbe stata scaricata sulla solita “inefficienza”.
Mentre Conte e Travaglio possono vantare la limpida coerenza di chi si è sempre bevuto fin dagli albori la fandonia del Recovery Fund, il partito della cosiddetta “premier” sta invece esibendo un tipo di coerenza più sordido, cioè quello di chi sta lì apposta per offrire la propria complicità all’establishment adottando di volta in volta il pretesto ad hoc. La mistificazione nazionalista-sovranista attribuisce la responsabilità dei nostri mali allo straniero, quindi indirettamente assolve l’oligarchia nostrana. Due anni fa Meloni e soci potevano anche esprimere scetticismo e diffidenza circa l’effettiva consistenza delle promesse del Recovery Fund; mentre oggi ai loro padroni fa comodo la narrazione del tutto opposta, cioè accreditare un nuovo disastro nazionale legato all’inadempienza sugli impegni del PNRR; in parole povere, una nuova emergenza in grado di giustificare altre estorsioni e vessazioni ai danni della popolazione. Anzi, ancora meglio che giustificare, poiché si lascerà all’opinione pubblica forcaiola il compito di invocare i tagli più severi e punitivi.
 
Di comidad (del 06/04/2023 @ 00:13:02, in Commentario 2023, linkato 9134 volte)
Le sortite comunicative del governo Meloni e del suo entourage non sono tutte riconducibili allo stesso calderone. Le provocazioni della Meloni sull’eccidio delle Fosse Ardeatine e di La Russa sull’attentato di Via Rasella sono del tutto organiche al repertorio fascio-nostalgico ed alle sue esigenze recriminatorie. La grande frustrazione che i fascio-nostalgici devono dissimulare con queste polemiche pretestuose, non riguarda affatto l’onta della sconfitta bellica; anzi, presentare tout court il fascismo come lo “sconfitto” della seconda guerra mondiale è una forzatura. Il sistema di potere fascista è stato infatti in gran parte metabolizzato e riciclato dall’antifascismo, ed anche le burocrazie fasciste si sono travasate in blocco nel regime cosiddetto “democratico” e nella NATO, a cominciare dall’OVRA, che fornì il personale ai servizi segreti della Repubblica “antifascista”. La vera e grande frustrazione che i fascio-nostalgici devono mascherare con il continuo stillicidio di recriminazioni e provocazioni anticomuniste, riguarda invece il 25 luglio, l’afflosciamento del regime fascista, cioè il fatto che il Duce sia stato liquidato politicamente da altri fascisti, ma anche da se stesso, oltre che dal re. Insomma, i fascio-nostalgici polemizzano tanto sul 25 aprile per non affrontare la vergogna del 25 luglio, nella quale Mussolini chiese lui stesso al Gran Consiglio di esprimersi con un voto, salvo poi considerare tradimento il fatto di non aver votato come voleva lui. E allora perché aveva fatto votare?
I misteri irrisolti sull’uccisione di Mussolini nel ‘45 e sulla squallida messinscena di Piazzale Loreto, non scalfiscono il fatto che il Duce fosse politicamente morto due anni prima. A prendere atto che il Duce fosse ormai un fantasma, fu il direttore del quotidiano “La Stampa” durante il regime di Salò, Concetto Pettinato, il quale rivolse a Mussolini un editoriale intitolato: “Se ci sei, batti un colpo”. Le recriminazioni anticomuniste, da Via Rasella alle foibe, sono l’alibi vittimistico servito a coprire anche altre magagne interne ai fascio-nostalgici; come ad esempio il fatto che l’Arma dei Carabinieri, tuttora stracarica di fascio-nostalgici, fosse stata responsabile nel ’43 non solo dell’oscuro assassinio di Ettore Muti (che era il “Duce di riserva” del regime fascista), ma anche di aver venduto Mussolini ai Tedeschi, con quella specie di pagliacciata consumatasi al Gran Sasso, consegnando così l’ex Duce ad un ruolo di fantoccio (ammesso che non fosse tale da sempre).
Questo meccanismo di frustrazione/recriminazione non è un accessorio del fascismo, bensì si è rivelato la sua intrinseca funzione e “missione” storica. Fallito nelle sue velleità imperiali, il fascismo si è dimostrato invece un prezioso fattore di intossicazione del dibattito politico, in modo da spingere a fraintendere il conflitto di classe come vendetta sociale e faida tribale. In questo senso qualunque decisione avesse preso la Corte di Cassazione francese sull’estradizione dei presunti ex terroristi, da noi il “lucro” sarebbe stato comunque assicurato: se l’estradizione fosse stata concessa si sarebbe celebrata un’orgia sfrenata di euforia vendicativa, come quando fu arrestato Cesare Battisti; dato però che l’estradizione è stata negata, si è aperto uno spazio enorme per coltivare rancori e processi alle intenzioni. La pantomima recriminatoria dei fascio-nostalgici ha potuto reggere in quanto ha trovato prima la sponda del Partito Comunista e poi dei suoi eredi, che avevano a loro volta le proprie vergogne da celare; per cui, pur nella contrapposizione polemica, si è stabilita una sorta di connivenza.

Un discorso del tutto diverso è invece quello riguardante le attuali smodate esibizioni russofobiche della Meloni, che risultano sgradite non solo alla base elettorale della Lega, ma anche ai militanti ed agli elettori di Fratelli d’Italia, che sono tutti un po’ innamorati del mito di Putin inventato dalla propaganda occidentalista a fini denigratori, cioè la figura dell’autocrate. I fascio-nostalgici sono sempre affascinati dalla leggenda del cosiddetto “uomo forte” (un freudiano direbbe che è il sintomo di tendenze omosessuali inconfessate e rimosse nell’inconscio). La stessa Meloni negli anni passati aveva offerto evidenti manifestazioni di russofilia e “putinofilia”, tanto da diventare bersaglio di critiche e preoccupazioni da parte dei media mainstream.
L’esigenza di sottomettersi ai voleri degli USA ed alla disciplina della NATO, può spiegare l’obbedienza, ma non gli attuali eccessi meloniani della propaganda anti-russa e filo-ucraina, tanto più che per respingere le querule istanze di Giuseppe Conte basterebbe ricorrere al banale dato di fatto , e cioè che se c’è oggi qualcuno che non ha alcun interesse ad un negoziato è proprio la Russia, che si è presa i territori che doveva prendersi. Non c’è bisogno di essere strateghi militari per capire che ora i Russi stanno solo difendendo i loro nuovi confini contro attacchi velleitari; e, dato che nessuna difesa può essere del tutto passiva, vengono ovviamente compiute anche delle incursioni per interrompere le linee di rifornimento ucraine. Neanche il regime ucraino potrebbe permettersi una fine delle ostilità, poiché quel sistema è ormai collassato e vive esclusivamente dei finanziamenti statunitensi ed europei, che cesserebbero in caso di pace. La cosiddetta “ricostruzione dell’Ucraina” è chiaramente un bluff, visto che i vari Goldman Sachs e Blackrock potrebbero comprarsi a prezzi stracciati quel che resta dell’Ucraina e farne quello che vogliono. Per salvarsi dalla miseria e dalla predazione, l’Ucraina può solo chiudere con l’esperienza unitaria, poiché esclusivamente attraverso una spartizione tra vari Stati, ognuno di essi potrebbe sostenere l’onere della ricostruzione dei singoli territori.
Anche nel valutare questo conflitto ci si è complicata inutilmente la vita con i processi alle intenzioni, quando invece all’inizio delle ostilità entrambi i veri contendenti avevano manifestato quali fossero i rispettivi obbiettivi. La Russia ha chiarito di mirare ai territori attigui alla Crimea, il Mar d’Azov e il fiume Don, considerati talmente strategici ed esistenziali da essere stati russificati a forza dopo la conquista ai danni dell’impero ottomano nel XVIII secolo. Nel corso degli ultimi due secoli l’imperialismo russo ha perso più volte questi territori contesi, e non ha badato ai costi pur di riprenderseli. Gli USA hanno dichiarato immediatamente che la loro intenzione era di trascinare la Russia in un nuovo Afghanistan, il che avrebbe comportato logoramento per la Russia e affari infiniti per le multinazionali americane delle armi. Il problema dei Neocon americani è che non hanno chiaro il confine tra strategia e imbonimento pubblicitario; infatti, a differenza che in Afghanistan, in questa circostanza la Russia, una volta occupati quei territori che le interessavano, ha acquisito il vantaggio della posizione difensiva; un vantaggio già ampiamente teorizzato dal solito von Clausewitz, in quanto consente di decimare il nemico e di circondarlo gradualmente. Oggi sono infatti i poveri ucraini a dover sacrificare molti più uomini e risorse per cercare di attaccare e riconquistare terreno.
Stando così le cose, la Meloni potrebbe benissimo continuare ad obbedire a Washington, tenendo però un basso profilo comunicativo per non bruciarsi i rapporti futuri con la Russia e per non irritare la base elettorale. Tanto a fare il lavoro sporco della propaganda ci possono pensare Mentana ed il “Corriere della Sera”, i quali, dicendo che Putin è fascista lo rendono pure più simpatico ai fascio-nostalgici. Il problema è che l’oligarchia italiana non è solo servile, ma usa anche il servilismo come paravento e alibi per dissimulare i propri interessi ed i propri affari. L’oligarchia nostrana per decenni ha dissimulato la propria avarizia scaricandone la colpa sulla Germania; ed oggi il nostro lobbying delle armi può nascondersi dietro la fedeltà alla NATO.

Molti commentatori stanno giustamente mettendo in evidenza che questa guerra è un affare colossale per le multinazionali americane delle armi, ognuna delle quali è ampiamente rappresentata al Pentagono ed al Dipartimento di Stato tramite la solita porta girevole tra incarichi pubblici e carriere nel privato. A riguardo c’è uno studio abbastanza grottesco di qualche anno fa, eseguito da ricercatori dell’Università di Harvard, nel quale da un lato si afferma che è un bene che gli USA siano sempre in guerra, perché così si tengono in forma; dall’altro lato si lamenta che il sistema delle forniture militari è completamente marcio e corrotto, soggetto a lievitazioni spropositate e ingiustificate dei costi. Per descrivere lo stato confusionale di quelli di Harvard, si potrebbe dire che vogliono la moglie piena e la botte ubriaca.
In Italia però non siamo da meno; anzi, la nostra piccola azienda delle armi, Leonardo SPA (l’ex Finmeccanica), è il paradiso della porta girevole e del conflitto di interessi tra affari, burocrazia e politica, ed almeno alcuni dei nomi sono arcinoti, come gli ex agenti segreti De Gennaro e Carta, i manager e ministri Profumo e Cingolani, e poi lo stesso attuale ministro della Difesa Crosetto. Che Leonardo SPA faccia blocco con Polizia, Guardia di Finanza, servizi segreti e governo, dovrebbe allarmare le autorità di controllo, che però sono a loro volta integrate nella lobby. Lo Stato rimane una fumosa astrazione, mentre i veri soggetti concreti in campo sono le lobby d’affari, che sono trasversali al pubblico ed al privato. Ma Leonardo SPA ha “intime” relazioni anche con i centri di ricerca, soprattutto con un prestigioso lascito del regime fascista, l’ISPI, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, dove venne elaborata la “Mistica Fascista”. Attraverso la facciata di progetti di ricerca in comune, Leonardo SPA in pratica finanzia l’ISPI, e ciò ne spiega certi ardori guerrafondai.
Il vero business di Leonardo SPA però non consiste nelle quattro carabattole che il governo sta fornendo all’Ucraina. In quel caso l’entità dei soldi in ballo non era tale da spiegare gli eccessi di russofobia governativa. Nel marzo scorso Leonardo SPA ha stretto accordi con una delle maggiori multinazionali statunitensi degli armamenti, la Boeing, per la produzione in comune di elicotteri. Il business è già importante in se stesso, ma l’aspetto più notevole sta nel fatto che rappresenta l’avvio di una partnership a tutto campo, di un’integrazione d’affari da cui possono sortire contratti sempre più ricchi.
Per non disturbare i rapporti d’affari di Leonardo SPA, dall’Italia non doveva provenire nessuna voce che potesse essere intesa a Washington come scarso zelo russofobico. Questo è il motivo per cui la Meloni e Crosetto hanno dovuto lasciare da parte le loro storiche simpatie per Putin e mettersi a dirigere coretti antirussi. Insomma, è l’eterno conflitto tra il cuore ed il portafogli. Peccato che vinca sempre il portafogli.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


17/05/2024 @ 11:37:16
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