Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Il dio cristiano prometteva la vita eterna, mentre il dio vaccino si è ridotto a promettere la dose eterna. La vicenda della vaccinolatria si è svolta all’opposto del crescendo rossiniano, una sorta di “decrescendo vacciniano”: se ti vaccini hai l'immunità; no, non hai l'immunità ma se ti vaccini non ti ammali, ma se ti ammali non vai in terapia intensiva, ma se vai in terapia intensiva non muori, ma se muori hai la soddisfazione che i morti non vaccinati sono di più, ma se poi i morti vaccinati sono di più è colpa del paradosso di Simpson. Non c’è da stupirsi del fatto che i lobbisti televisivi del business vaccinale diventino sempre più nevrastenici.
Una identica sindrome del decrescendo sembra aver colto il Green Pass, la cui promessa di garantire ambienti sicuri è già sfumata. Anche la storiella del Green Pass come strumento per costringere alla vaccinazione ormai fa acqua da tutte le parti. Mentre Romano Prodi presenta il lasciapassare come un capolavoro del “genio italiano”, altri cominciano a spiegarlo con il genio narrativo del lobbying digitale.
Il lobbying della digitalizzazione ha invaso le stanze delle istituzioni europee. Le multinazionali del settore, da Microsoft a IBM, hanno speso, a livello ufficiale, circa 100 milioni di euro per allestire le reti di lobbying, ma la spesa sommersa dovrebbe essere molta di più. I lobbisti da tempo sono i veri redattori delle leggi e “allevano” politici e funzionari che pendono dalle loro labbra per sapere cosa pensare.
I lobbisti di professione vendono i propri servizi, che prevedono la manipolazione dei media, dei politici e dei funzionari. Già il nome di queste agenzie di lobbying annuncia che la loro narrativa per promuovere i prodotti non avrà freni. Ce n'è una che si autoproclama “laboratorio di utopia”.
Una delle maggiori risorse del lobbying è quello del “non profit”, un paradiso fiscale tenuto al riparo dalle tasse grazie a ipocrisie pseudo-legali che dissimulano i conflitti di interesse. Associazioni come la non profit “The Future Society” promuovono la digitalizzazione spacciando il lobbying come progettualità sociale, un alibi mitologico per ammantare di ordine il caos degli affari ed il parassitismo privato sul denaro pubblico.
Il paradosso è che queste ONG che promuovono la digitalizzazione sono riconosciute a tutti gli effetti come organizzazioni di lobbying. La finzione sta nel fatto di considerarlo un lobbying disinteressato, finalizzato al progresso umano e sociale.
L’associazione “The Future Society” a sua volta rientra nell'orbita di ONG non profit più grandi, di cui una ha un nome particolarmente magniloquente: World Government Summit, cioè Vertice del Governo Mondiale, un'organizzazione che tiene i suoi forum a Dubai. La retorica del governo mondiale crea anche un alone di cospirazione globalista, che serve a distrarre l’opinione pubblica dagli affari, con l’effetto anche di screditare preventivamente ogni denuncia dei conflitti di interesse etichettandoli come complottismo. Politici, funzionari governativi, ma anche uomini della cultura e dello spettacolo, vengono invitati ai lavori per alimentare nei soggetti da manipolare l’euforia e l’illusione di essere accolti nel mondo delle persone che contano.
A Davos, in Svizzera, si riunisce un'altra organizzazione, anch’essa inesorabilmente non profit: The World Economic Forum, fondata, per il solito bene dell’umanità, dall’economista Klaus Schwab. Davos è diventata una vetrina per l'esibizione dei “leader” mondiali, con tanto di spreco di denaro pubblico per garantire la sicurezza dei partecipanti al forum.
Klaus Schwab si è dimostrato un notevole affabulatore. Ha infatti scritto un libro per narrarci della “quarta rivoluzione industriale” che sarebbe in corso. In Italia il libro è stato pubblicato con la prefazione di quel fine intellettuale che è John Elkann. In questo testo abbiamo un saggio di narrativa tipica del lobbying: la storiografia preventiva, l’epopea di una rivoluzione/palingenesi che si deve ancora consumare.
Peccato che la montagna della produzione mitologica sulla quarta rivoluzione industriale stia partorendo topolini come il Green Pass. I vaccinati dovrebbero sentirsi parte di uno status superiore per il fatto che i no-vax vengono discriminati e impediti a respirare la stessa aria dei redenti. Intanto però i vaccinati sono costretti a girare anche loro con un lasciapassare interno, come ai tempi del cardinale Richelieu. Questi sarebbero il progresso e il futuro. E poi il tracciamento operato dal Green Pass è troppo sfacciato, mentre il senso dell’economia delle app avrebbe dovuto essere quello di favorire l'auto-tracciamento dei consumatori, scaricando una app dopo l’altra, infilandosi spontaneamente nella rete dell’offerta sempre più personalizzata di servizi, in base alle informazioni tracciate con le app precedentemente scaricate.
Strano che nell’epoca in cui la Banca Centrale Europea inonda la finanza di liquidità, non si sia trovato un modo più sostanzioso per premiare i vaccinati, magari con uno sgravio sull’IRPEF. Il problema per le oligarchie è che bisogna conciliare le piogge di liquidità monetaria con la deflazione, cioè con la compressione dei redditi da lavoro, altrimenti i poveri se ne potrebbero approfittare e salterebbero le gerarchie sociali. L'iper-produzione mitologica del lobbying è del tutto funzionale a questa dicotomia nella distribuzione del reddito. La legge inesorabile del “capitalismo” (cioè dell’assistenzialismo per ricchi) è che più scende il livello dei redditi da lavoro, più deve aumentare il livello delle cazzate con cui il potere lo giustifica: più scende la lancetta del redditometro, più sale la lancetta del cazzatometro.
Lo schema di colpevolizzazione è sempre lo stesso, quello che si usa quando un bambino rifiuta un cibo particolarmente nauseante: pensa ai bambini poveri che non hanno da mangiare. Oggi lo schema viene adoperato in modo anche più spudorato e ipocrita verso coloro che non si vaccinano: pensa ai Paesi poveri dove vorrebbero vaccinarsi e non possono (ma quando mai!?). Nel 2011 lo schema di colpevolizzazione fu rilanciato in occasione delle cosiddette “Primavere Arabe”: qui in Occidente avete la democrazia e la disprezzate ed invece nei Paesi poveri la invocano. Si creò così il clima adatto per la prima guerra imperialistica politicamente corretta, addirittura “di sinistra”, cioè l’aggressione contro la Libia in “soccorso” del popolo libico. La sedicente “sinistra” smarriva da allora in poi tutti i suoi punti di riferimento storici, in nome di un’infantilizzazione totale, per cui ogni abuso può essere giustificato con predicozzi morali e con la gratificazione di fare dispetto al cattivo di turno: nel 2011 il dispetto era contro il Buffone di Arcore, ritenuto amico di Gheddafi, oggi è contro Salvini o la Meloni.
A distanza di dieci anni dalla eliminazione di Gheddafi e del suo regime, la Libia è nel caos della guerra civile ed è diventata terreno di scontro per potenze straniere. Ma chi ha detto che esportare la democrazia non è servito? Nel caso della Libia è servito, eccome; anche se ovviamente non alla Libia. Il Fondo Sovrano libico, di circa 68 miliardi di dollari, è stato “congelato” nel 2011 dall’ONU, ma mai riconsegnato al governo di Tripoli, pur riconosciuto dalla stessa ONU. La condizione per la restituzione è che il governo di Tripoli dimostri di essere in grado di assicurare la stabilità del Paese. Ma se il governo non ha i soldi come può crearsi i consensi costruendo infrastrutture e distribuendo reddito? Grazie a questo dilemma irrisolto i fondi rimangono congelati, cioè utilizzati da qualcun altro, perché i capitali non rimangono mai davvero fermi e “congelati”, il modo di riciclarli si trova sempre.
L’aggressione contro la Libia di dieci anni fa sembrava all'inizio inquadrabile nei canoni del colonialismo classico, dato che c’era l’evidente tentativo franco-britannico di sloggiare l’Italia e l'ENI dal Nord Africa per conquistare il controllo sia delle risorse petrolifere, sia della sponda meridionale del Canale di Sicilia. Ma l’orgia di politicamente corretto avrebbe già dovuto avvertire che i concetti di vittoria, conquista controllo del territorio, persino la stessa concezione storica della guerra, si andavano dissolvendo per lasciare il posto ad una destabilizzazione permanente. La mobilità dei capitali non è compatibile con la stabilità politica ed economica. Investendo o depositando le sue risorse finanziarie all'estero, la Libia è diventata un ostaggio e una preda; e molti altri Paesi sono nella stessa condizione.
Nel caso dell’Afghanistan il mantra dell’esportazione della democrazia è arrivato ad invasione già avviata, visto che il pretesto iniziale era stato la lotta al terrorismo. Ma anche in questo caso il lucro non è mancato. Il paragone tra Afghanistan e Vietnam non regge, poiché per gli USA il Vietnam fu una guerra vera, con grandi confronti sul campo, non solo con la guerriglia Vietcong ma soprattutto con l’esercito regolare nord-vietnamita. In Afghanistan niente del genere, si è pensato direttamente ad altro.
Gran parte dell'opinione pubblica americana è più “sgamata” di quella europea, quindi più interessata a seguire il percorso dei soldi. Così molti americani sanno che, secondo dati del Pentagono, circa 107 miliardi sono stati corrisposti dal governo USA a compagnie private appaltatrici per la Difesa, tra cui la Fluor Corporation, che si occupa soprattutto di logistica e infrastrutture. Nuovi contratti sono stati stipulati sino all’anno in corso; ma nel frattempo le agenzie appaltatrici per la Difesa, i “contractors”, svolgevano attività di lobbying per accelerare il ritiro delle truppe dall’Afghanistan. Visto che i contratti di appalto sono già stati concessi, ciò vorrà probabilmente dire che le compagnie ne incasseranno ugualmente i proventi o riscuoteranno delle penali per inadempienza del governo.
Tanto per cambiare, la maggiore compagnia di “contractors”, la Fluor Corporation, ha come maggiori azionisti i soliti noti, gli stessi maggiori azionisti di Pfizer e Google, cioè i fondi di investimento Blackrock e Vanguard Group. A proposito di concentrazione dei capitali.
Ciò fornisce una chiave di lettura anche per il progetto di Difesa europeo, che molti commentatori realistici ritengono assurdo, dato che confliggerebbe con la NATO e con gli interessi USA, qualunque cosa ne dica Mattarella. Solo che “Difesa” non va tradotto con “confronto strategico-militare”, bensì con “appalti”. Già esiste un programma europeo, l’EDIDP, per gli appalti della “Difesa”, con vari progetti in atto, e la Von Der Leyen chiede che ci si investano più soldi. Per questo motivo il lobbying degli appalti ha scatenato i media per auto-colpevolizzare il Sacro Occidente e per rovesciare la narrazione della figuraccia in Afghanistan in un inno alla necessità di riscattarsi dall'onta con una “difesa” europea.
L'interesse italiano per il progetto di Difesa europeo è del tutto comprensibile. Tra gli appaltatori c’è infatti l’ex Finmeccanica, che oggi si fa chiamare Leonardo, con ben undici progetti in operatività. Anche Finmeccanica vanta circa un 5% di partecipazione azionaria da parte di Blackrock. Occorrerà seguire i flussi di capitale azionario per capire se la sedicente “Difesa europea” avrà un futuro “luminoso” oppure no. (5)
Ringraziamo Claudio Mazzolani e Michele per la collaborazione.
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