Poche idee sono più radicate, e più infondate, della rappresentanza politica degli interessi sociali. La Lega è senza dubbio il caso più manifesto di questa infondatezza, dato che nei suoi comportamenti politici si può riscontrare un totale scollamento dagli interessi della sua base elettorale, cioè il ceto medio delle piccole e medie imprese e dei piccoli proprietari fondiari. Un anno fa l’ingresso della Lega nel governo Draghi ha offerto copertura ad una serie di iniziative come l’indebitamento col Recovery Fund, l’istituzione del Green Pass e la revisione delle stime catastali, misure che nel loro complesso comportano una limitazione della libertà economica della piccola impresa ed, in prospettiva, un aumento dei carichi fiscali. Nei giorni scorsi la Lega ha partecipato, con Forza Italia, alla rielezione del presidente Mattarella, cioè proprio di colui che un anno fa aveva impedito col pretesto Covid quelle elezioni anticipate che avrebbero consentito al centro-destra di andare al governo. In effetti l’ingerenza di Mattarella si era esercitata già prima, poiché sarebbe bastato appena ventilare l’ipotesi costituzionale dello scioglimento delle Camere per far sì che la crisi del governo Conte bis rientrasse, dato che la maggioranza dei parlamentari sa che con questa legislatura la sua carriera si chiude.
La merce di scambio per questi altrimenti inspiegabili suicidi elettorali della Lega, era, ed è, la cosiddetta autonomia differenziata, cioè la possibilità per le Regioni di trattenere per sé i proventi del fisco. Per le Regioni che producono la maggior parte del PIL (Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna), sarebbe un discreto affare. L’Emilia Romagna è amministrata dal PD, a riprova del fatto che l’obbiettivo dell’autonomia differenziata è trasversale agli schieramenti politico-parlamentari. Agli inizi di gennaio il ministro Gelmini ha rassicurato queste tre Regioni, promettendo
una legge-quadro sull’autonomia differenziata.
Per le regioni del Sud non è che cambi molto, dato che il Sud è storicamente e strutturalmente sotto-finanziato, perciò anche i fondi ufficialmente stanziati vengono tenuti congelati. Il punto è che non cambierebbe molto neppure per i contribuenti del Nord, che dall’autonomia differenziata non otterrebbero una diminuzione dei carichi fiscali, ma solo un aumento della disponibilità finanziaria dei loro amministratori. In altri termini, i contribuenti del Nord vedrebbero sacrificati i propri interessi per consentire che le cosche di affari di Fontana, Zaia e Bonaccini possano gestire più soldi. E chi assicura ai contribuenti che quei soldi vengano davvero investiti sul territorio?
In base a questi elementi l’autonomia differenziata sembrerebbe cosa fatta. Sennonché la rielezione di Mattarella ha comportato un’alterazione senza precedenti di un quadro istituzionale pur già ampiamente sovvertito, per cui oggi ci si sta inoltrando in un territorio istituzionale del tutto inesplorato. Chi dice che la rielezione di Mattarella è stata un ripiego, evidentemente non ne considera le conseguenze, e neppure le premesse.
Gli attuali poteri di Mattarella infatti non trovano precedenti nella storia dell’Italia unitaria. Persino durante il fascismo c’era di fatto una diarchia tra il duce ed il re. Oggi il Presidente della Repubblica può scegliersi il governo, ricattare il Parlamento, sciogliere o meno le Camere a piacimento, presiede il Consiglio Superiore della Magistratura ed il Consiglio Superiore di Difesa. Tutto ciò per un settennato, cioè un tempo che non ha riscontro in altri ordinamenti. Non si comprende a questo punto perché Mattarella dovrebbe rispettare i patti che lo hanno condotto alla rielezione, non solo l’accordo sull’autonomia differenziata, ma anche il tacito impegno a non sciogliere anticipatamente le Camere. Si tratta infatti dei patti leonini della favola di Esopo.
Il nostro attuale superpresidente ha saputo allestire nei decenni la sua rete di potere. Quando si è occupato di servizi segreti ha “regalato” agli agenti
una legislazione che gli assicurasse l’impunità legale. Nel suo primo settennato ha anche stabilito un precedente sul suo personale “gradimento” politico dei candidati alla carica di ministro, come si è visto nel caso di Paolo Savona. Come a dire che è il Presidente della Repubblica a stabilire la politica del governo.
I giornalisti, che non avevano capito nulla e che si attardavano a celebrare l’ascesa di Draghi al Colle, hanno dovuto in ventiquattro ore aggiustare il tiro delle loro lingue. Paolo Mieli è apparso il più spiazzato e patetico di tutti, eppure il padre era agente della CIA, a riprova che la famigerata agenzia in fatto di “intelligence” ne ha sempre masticato poco. Gli sarebbe bastato riflettere un attimo sulla contraddittorietà del suo “ragionamento”, secondo cui i superpoteri del Colle erano i più consoni alla statura di Draghi. Ma se il Colle ha i superpoteri, perché mai chi quei superpoteri li gestisce già, dovrebbe poi cederli a qualcun altro? Sarà più ovvio che li usi per mantenerseli indefinitamente. Per questo motivo appare poco realistica l’ipotesi che Mattarella stia preparando le condizioni per dimettersi e far subentrare Draghi. Una voce del genere sembra fatta apposta per tenere buono Draghi prima di liquidarlo definitivamente.
La mancata elezione di Draghi ha deluso anche coloro che credono che siano i mitici “Mercati” a comandare in Italia. Certo, l’Italia è una colonia ed il Presidente della Repubblica è il principale agente coloniale, ma l’imperialismo non è affatto una strada a senso unico, per cui le oligarchie locali sanno farsi i propri affari e sanno ritagliarsi i propri sogni di scalata ad un superiore rango internazionale.
Ironia della sorte, i soli che sembrano pronti a protestare per la rielezione di Mattarella sono i seguaci della Sorella d’Italia, che, da bravi nostalgici, dovrebbero essere a favore della dittatura. In realtà anche la Meloni ha partecipato alla pantomima. Dato che è una ragazza sveglia, doveva sapere dell’accordo sull’autonomia differenziata, perciò ha recitato la parte della “tradita dagli alleati” per ereditare i voti della Lega, pur sapendo che quei voti le frutteranno notevoli rimborsi elettorali ma non la possibilità di diventare Presidente del Consiglio.