Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
L’attuale situazione della Corea del Nord fa venire in mente quel famoso aforisma di Bertolt Brecht: “Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati”. Per citare anche Francesco Guccini, c’è da considerare “l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto”; in questo caso specifico l’ipocrisia di chi condanna il regime di Pyongyang facendo finta di non ricordare che l’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003 ha determinato un drammatico punto di non ritorno nelle relazioni internazionali.
Quando si chiede al governo nord-coreano di rinunciare al programma atomico e di sottoporsi ad ispezioni (cioè allo spionaggio istituzionalizzato), non si fa altro che prospettargli il calvario già imposto all’Iraq, cioè continue accuse da parte degli USA di continuare a detenere segretamente “armi di distruzione di massa”, accuse buone per giustificare altre ispezioni spionistiche che preparerebbero l’ennesima “guerra preventiva”. Da notare anche l’ipocrisia dei media che corrono ad informarci che la bomba all’idrogeno testata dalla Corea del Nord sarebbe cinque volte più potente dell’ordigno sganciato su Nagasaki, omettendo di ricordare chi l’abbia sganciato quell’ordigno, cioè gli USA.
Ma l’ipocrisia somma, in questo come in altri casi, è ancora una volta costituita dall’argomento auto-contraddittorio (un vero nonsenso) della sedicente “Comunità Internazionale”. Nei confronti della Corea del Nord si è infatti adottato il consueto argomento del “ti siamo tutti contro quindi devi fidarti di noi”. L’atteggiamento della sedicente “Comunità Internazionale” si è espresso con condanne unanimi e unilaterali del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che non lasciano spazio di negoziato, dato che non fanno alcun riferimento alle continue manovre militari congiunte di USA, Corea del Sud e Giappone in funzione anti-nordcoreana. Quindi da un lato si chiude ogni margine di “do ut des”, di compromesso e di mediazione, dall’altro lato si condanna chi rifiuta di arrendersi senza condizioni. Tra gli autori di questo capolavoro diplomatico vi sono anche la Russia e la Cina, che non hanno opposto il loro veto alle risoluzioni di condanna della Corea del Nord da parte del Consiglio di Sicurezza. Eppure la Russia si trova sotto sanzioni per una ridicola montatura su ingerenze nella campagna elettorale USA, mentre la Cina è quella che avrebbe più da temere da un arrivo delle truppe USA ai propri confini.
Gli schemi e le ipocrisie della propaganda ufficiale presentano una notevole ricorrenza e versatilità, tanto che si ripresentano anche in situazioni che potrebbero sembrare del tutto diverse. A ritrovarsi oggi seduti irrimediabilmente dalla parte del torto sono infatti tutti quei disoccupati e precari a cui la propaganda ufficiale da qualche mese fa sapere che la crescita del PIL corre ormai all’1,5 % l’anno. A tutti i lavoratori e pensionati che si sono lamentati per i sacrifici imposti per le “riforme strutturali”, si fa sapere non solo che hanno avuto torto a lamentarsi, ma che il buon risultato di quei sacrifici li ha resi degni di … ulteriori sacrifici, cioè di altre “riforme strutturali”; ciò in nome del consueto mantra: molto è stato fatto ma ancora molto resta da fare.
In una recente apparizione televisiva l’ex ministra Elsa Cuornero ha infatti riproposto il tema dell’urgenza di un’ulteriore "riforma" pensionistica. Tale "riforma" sarebbe necessaria per ovviare ai troppi privilegi attuali che andrebbero a scapito delle “future generazioni”.
Tra i tanti privilegi pensionistici in atto la ex ministra Cuornero ha citato il caso dei sindacalisti che accedono a pensioni calcolate in base agli ultimi stipendi e non corrispondono ai contributi versati. È evidente il riferimento della Cuornero alla vicenda dell’ex segretario della CISL, Raffaele Bonanni.
A parte il fatto che tra gli effetti certi delle “riforme strutturali” c’è proprio la denatalità e quindi la prospettiva che non ci siano affatto “future generazioni”, è proprio la demagogia antisindacale della Cuornero a rappresentare l’aspetto più contraddittorio e paradossale. Nella “civile e avanzata” Germania lo scandalo Hartz ha messo in evidenza il fatto che quindici anni fa la connivenza e la complicità dei sindacalisti tedeschi è stata comprata con ogni genere di elargizioni, compreso il turismo sessuale a spese dell’azienda. In Italia, al contrario, le riforme del lavoro sono passate grazie alle montature e intimidazioni giudiziarie nei confronti di Sergio Cofferati in quanto sospetto “mandante morale” dell’assassinio Biagi. Durante il varo del “Jobs Act” si è dovuto inoltre assistere ai pestaggi polizieschi nei confronti dei sindacalisti della FIOM, con corredo anche qui di minacce giudiziarie per il solito vittimismo dei poliziotti. C’è poi il caso grottesco di Bonanni, il quale si è venduto senza essere comprato: si è dovuto corrompere da solo, ed a spese della previdenza pagata dai lavoratori; un caso di corruzione autogestita.
In altri termini, in Italia non c’è mai stato bisogno di corrompere i sindacati perché da almeno venti anni non vi è stato alcun margine di mediazione sociale. Quindi ai lavoratori non è stato nemmeno riconosciuto di rappresentare un interesse o un punto di vista, bensì li si è trattati solo come un oggetto di riforma, come un materiale da plasmare o da “sacrificare”. Insomma, i lavoratori dovrebbero fidarsi di chi non li considera neppure interlocutori. Il Sacro Occidente condanna e criminalizza i presunti “dittatori”, ma in cambio ci offre direttamente dei moloc a cui sacrificarsi.
Non si capisce nulla dell’imperialismo e del colonialismo se non si considera che questi sono solo in parte una questione di ingerenza straniera, mentre per l’altra parte costituiscono una pulsione interna di quelle oligarchie locali che approfittano dell’appoggio esterno (e lo sollecitano persino) per poter acquisire maggiori posizioni di vantaggio nei confronti delle classi subalterne. Proprio il fatto di occupare un gradino basso nella gerarchia coloniale mondiale ha perciò consentito alle oligarchie nostrane di far leva maggiormente sull’ingerenza terroristica dei poteri sovranazionali e sulla sudditanza psicologica da essi suscitata, ottenendo dei risparmi e praticando delle avarizie che altrimenti sarebbero state impensabili.
La fiaba del terrorismo islamico dovrebbe essere dichiarata dall’UNESCO patrimonio culturale dell’umanità poiché consente di decontestualizzare ogni attentato e di aggirare qualsiasi evidenza. Sarebbe stato infatti davvero difficile evitare di accorgersi che l’attentato di Barcellona si colloca in un contesto di crescente conflittualità tra Spagna e Marocco per la questione delle enclavi spagnole in territorio marocchino, vere e proprie colonie vecchio stile in pieno XXI secolo. Le città di Ceuta e Melilla sono in Marocco ma sotto giurisdizione spagnola, territorio spagnolo a tutti gli effetti. Considerate la frontiera Sud dell’Europa e circondate da un muro di filo spinato anti-immigrati (costruito con i soldi dell’UE), queste città costituiscono centrali di contrabbando e micidiali spine nel fianco dell’economia marocchina.
Gli attentati hanno cause precise che vanno oltre i contenziosi territoriali e presentano quasi sempre risvolti affaristici, perciò gli attentati sono spesso messaggi in codice che concernono questo o quel business a rischio di essere bloccato. Non è quindi improbabile che proprio in ciò che accade a Ceuta e Melilla vi siano le chiavi per decodificare il “messaggio” lanciato a Barcellona.
Quelli che dicono che bisogna lasciar perdere i blog complottisti in fondo hanno ragione. Bisogna andare alle fonti ufficiali per trovare le notizie davvero inquietanti. L’Unione Europea ci fa sapere che il business della “sicurezza” in Europa ammonta oggi a circa duecento miliardi e che bisogna attrezzarsi per fronteggiare la concorrenza col resto del mondo. L’UE avrebbe dovuto però anche spiegarci quali garanzie di affidabilità e di correttezza possano attualmente offrire aziende, polizie e servizi di “intelligence” quando attorno agli attentati vi siano di queste cifre in ballo.
Un modo economico per garantirsi una maggiore sicurezza interna lo hanno trovato invece quei Paesi come Russia e Ungheria che hanno messo in campo legislazioni anti-ONG. L’Egitto ha voluto accodarsi al trend, incorrendo però nelle ire di CialTrump. L’idolo delle destre “sovraniste” europee è andato a soccorrere calorosamente proprio uno dei maggiori bersagli polemici di quelle destre, le ONG appunto. L’Egitto qualche giorno fa è stato quindi privato dagli USA degli “aiuti” in armamenti e rimarrà in punizione finché non avrà restituito piena libertà di movimento alle ONG.
Al parlamento europeo il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, si è lanciato in una apologia del primo ministro ungherese, Viktor Orban. Salvini ha anche difeso contro la Commissione Europea la scelta di Orban di sbarrare l’accesso alle ONG del finanziere “filantropo” George Soros.
Salvini però non ha detto che sul pericolo costituito da Soros proprio Orban deve sapere il fatto suo più di ogni altro. Dalla sua a href= https://www.britannica.com/biography/Viktor-Orban>biografia pubblicata sull’Enciclopedia Britannica veniamo infatti a sapere che persino Orban ha studiato ad Oxford grazie ad una borsa di studio di Soros e, ancora prima, aveva fatto parte di una formazione anticomunista (un “centro di ricerca”) finanziata dallo stesso Soros.
Evidentemente, ora che è al potere, Viktor Orban non vuole che il suo regime faccia la stessa fine del regime comunista, destabilizzato proprio dalle “rivoluzioni arancione” del suo ex protettore/finanziatore, George Soros. Salvini ha omesso anche un altro dettaglio, cioè chi sia il vero protettore ed il vero datore di lavoro delle ONG.
Qualcuno si ricorderà di Colin Powell, il segretario di Stato USA nell’amministrazione di Bush figlio. Powell nel 2003 all’ONU ci narrò della presunta “pistola fumante” trovata in mano a Saddam circa le inesistenti armi di distruzione di massa. Nel 2001 Powell aveva fornito però un’altra pistola fumante, stavolta autentica, sui rapporti di collaborazione del Dipartimento di Stato USA con le ONG.
In un documento del Dipartimento di Stato, reperibile facilmente negli archivi internet dell’Università di Yale, si trova il discorso che Powell tenne nel 2001 alle ONG riunite. Il segretario di Stato affermò in quell’occasione che aveva dato istruzioni agli ambasciatori USA di collaborare al massimo con le ONG, poiché queste rappresentano un “moltiplicatore” della potenza USA. Ecco le parole testuali di Powell: “Voglio che sappiate che ho reso chiaro qui al mio staff e a tutti i nostri ambasciatori in tutto il mondo che sono seriamente favorevole affinché possiamo avere il miglior rapporto con le ONG che sono moltiplicatori di forza per noi, come parte importante della nostra squadra di combattimento.“.
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