Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Tempi duri per i pessimisti cosmici che si ostinano a negare l’esistenza del progresso. Una volta per indicare una discussione a vuoto si diceva: “disputare sul sesso degli angeli”; oggi invece si disputa sul sesso dei pugili. Il salto di qualità (il “qualitativer sprung”, per dirla alla Hegel) non poteva essere più promettente. Comunque, mai sottovalutare la futilità e tantomeno la diatriba tra identitari e trans-identitari. Qualcuno ricorderà
la schitarrata del maggio scorso del segretario di Stato Antony Blinken in un locale ucraino; Blinken usò il titolo di una canzone di Neil Young per fare un’arringata sul mondo libero. In effetti la libertà è importante, soprattutto quella di saccheggiare il denaro pubblico; un’arte in cui Blinken ci sa fare.
Con la sua espressione da pesce in barile che non capisce nulla e non si accorge di nulla, Blinken viene spesso sottovalutato e disprezzato. Eppure il personaggio ha dimostrato di sapere quello che vuole. Quando il presidente Obama varò una legislazione spot per far credere al suo pubblico di voler limitare il potere delle lobby a Washington, costringendole a dichiarare per chi lavorassero, Blinken ricorse ad un semplice trucco semantico. Nel 2017, insieme con altri diplomatici, fondò una propria società di lobbying, ma, per aggirare quella legge fatta apposta per essere aggirata, la chiamò società di consulenza. Nacque così la West Exec Advisors; che, in quanto società di consulenza, non era tenuta a rivelare l’identità dei propri clienti. Blinken esibisce orgogliosamente nel suo
curriculum ufficiale il suo passato di pluri-portagirevolista tra il management privato e il ruolo di diplomatico del Dipartimento di Stato. La stessa persona può passare la porta girevole tra pubblico e privato innumerevoli volte.
L’identità è importante; tanto che alle volte non è opportuno dichiararla ufficialmente, anche se poi è il segreto di Pulcinella, come nel caso dei clienti di Blinken, che sono le solite multinazionali delle armi, dell’high-tech e della finanza che parassitano il budget della difesa. Tutto ciò grazie ad un trans-identitario confesso come Antony Blinken, che infatti si vanta della sua doppia identità: è un funzionario pubblico, un segretario di Stato, cioè un ministro degli Esteri; ma è anche il gestore di una società di affari privata, da cui però momentaneamente si è sospeso, perché ci dicono che così è sicuro che si evitano i conflitti di interessi.
La West Exec si occupa di consulenze internazionali e promuove anche aziende israeliane del settore difesa e sicurezza. Diventato segretario di Stato, ovviamente Blinken ha dimenticato la sua vita precedente di affarista privato ed agisce esclusivamente per tutelare interessi pubblici. D’altra parte Blinken ha una doppia identità, o addirittura una doppia personalità, e magari l’una non si ricorda quello che fa l’altra. Nei suoi viaggi all’estero Blinken può quindi tranquillamente occuparsi di quello e quello, affari e politica; tanto le sue due personalità fanno vite separate e forse sono ignare l’una dell’altra. Del resto non sarebbe giusto negare a Blinken ciò che viene consentito a Superman e Clark Kent.
In
un opuscolo pubblicitario della sua azienda Blinken dichiarava: “I consulenti di West Exec hanno lavorato insieme con i massimi livelli del governo, gestendo e anticipando l’impatto delle crisi internazionali sul processo decisionale: possiamo fornire le stesse intuizioni e strategie ai leader aziendali di tutto il mondo”. L’opuscolo non poteva essere più chiaro di così: grazie al fatto di tenere il piede in due scarpe, Blinken e soci possono “anticipare” le situazioni di tensione internazionali, in quanto loro stessi le provocheranno, in modo da creare occasioni di business per i loro clienti. La corruzione ed il conflitto di interessi vengono venduti come “competenza”; ed in effetti anche derubare il contribuente è una competenza. Forse non è una coincidenza il fatto che da segretario di Stato Blinken non abbia mai contribuito a risolvere, e neppure ad attenuare, nessuna crisi internazionale; semmai ha contribuito ad aggravare la situazione.
Le teorie della cospirazione si basavano sull’ingenuo presupposto che esista un’autorità legale-razionale detta Stato, che può essere aggirata solo attraverso una manipolazione dall’esterno; mentre invece si vede che legale ed illegale sono complementari al funzionamento della cleptocrazia. D’altra parte i cleptocrati hanno i loro addetti alle pubbliche relazioni che producono affabulazione distopica in modo da avvolgere il furto legalizzato in un alone di ingegneria sociale.
“Forbes” ha dedicato un dettagliato articolo alle ricchezze che Blinken ha potuto accumulare grazie alla sua condizione di portagirevolista tra incarichi pubblici e business privati. Non c’è niente da nascondere perché è tutto legale (o legalizzato), ma l’eccessiva evidenza dà adito alla sottovalutazione.
Visto che tutto è arcinoto, anche la stampa di establishment ha riportato le notizie sulla condizione trans-identitaria dell’amministrazione Biden.
Il “Washington Post” pubblicò un documentato articolo sull’occupazione del Dipartimento di Stato da parte dei procuratori d’affari della West Exec, e ciò proprio all’atto dell’insediamento di Biden. La commistione tra politica e affari ed i conflitti di interesse non sono nati né oggi, né ieri, né l’altro ieri. Il “qualitativer sprung” sta nel fatto che la corruzione legalizzata ed istituzionalizzata viene attualmente ostentata e pubblicizzata, in modo da allargare il giro dei clienti.
A questo punto definire gli Stati Uniti come una repubblica delle banane sarebbe un eufemismo e persino un complimento. Siamo infatti di fronte alla cleptocrazia conclamata ed autocelebrata. Sennonché
la sindrome trans-identitaria colpisce anche i redattori del “Washington Post”. Anzi, forse transitano addirittura in universi paralleli, nei quali gli Stati Uniti sono una democrazia ed uno Stato di Diritto e quindi possono permettersi di salire sul pulpito ed impartire lezioni di legalità a Maduro.
Per fortuna non tutti gli osservatori si sono lasciati distrarre dal demenziale discorso pronunciato il 24 luglio dal primo ministro israeliano Netanyahu di fronte al Congresso USA; anzi buona parte dell’attenzione si è rivolta al vero evento, cioè alla rappresentazione coreografica della cleptocrazia offerta dai congressmen, i quali si sono mossi all’unisono per far scattare gli applausi e le standing ovation sotto
la sorveglianza dei loro “baby sitters” dell’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee). La condizione di assoluta dipendenza psico-finanziaria dei deputati statunitensi nei confronti della lobby israeliana è stata rivelata nei dettagli un mese fa proprio da un parlamentare, il repubblicano Thomas Massie.
Il fatto strano non è che esista un’organizzazione che si occupa per conto di Israele di pubbliche relazioni negli USA, bensì che questa operazione a favore di uno stato straniero avvenga raccogliendo contributi esentasse, sotto l’ombrello della legislazione che assicura
vantaggi fiscali alle organizzazioni “non profit”. Il contribuente americano (il contribuente vero, quello che paga le imposte indirette sui consumi e non può rivalersi su nessuno) però è
fregato due volte, poiché l’azione dell’AIPAC è mirata a convogliare denaro pubblico americano per finanziare Israele, costantemente sotto minaccia da parte dei suoi vicini.
Il lobbying non è uno strumento neutro, non potrebbe essere usato con efficacia a favore di politiche di pace, poiché soltanto le minacce incombenti possono smuovere grandi masse di denaro pubblico in brevi lassi di tempo. Per un lobbista essere bellicista ed emergenzialista è una questione di sopravvivenza; così come la corruzione è inevitabilmente a fondamento del sistema del lobbying; perciò l’esito politico del lobbying non può essere che la cleptocrazia. D’altra parte “emergenzialismo”, “lobbying”, “cleptocrazia” sono nomi, mentre la cosa consiste in un flusso di denaro pubblico che attraversa ed anima la politica, le agenzie governative, le corporation e le società non profit. Le persone prive di fantasia sono quindi una grave minaccia per il lobbying: invece di discettare sulla questione ebraica, guardano l’AIPAC che raccoglie denaro tramite l’evasione fiscale legalizzata, ed usa quel denaro per influenzare le scelte di spesa del Congresso; poi
un’affiliata dell’AIPAC, l’AIEF, organizza viaggi “educativi” di congressmen in Israele. La persona senza fantasia si limita a fare due più due e si figura che l’AIPAC sia un’organizzazione di riciclaggio di denaro (“money laundering” come dicono gli anglofoni), quindi pensa che quei viaggi in Israele servano per dare modo ai congressmen di riscuotere la tangente lontano dai possibili controlli. Negli USA le agenzie abilitate ad operare intercettazioni sono decine, quindi ogni tangente rischia di essere decurtata per tacitare altri funzionari che volessero partecipare all’affare. In Israele questi inconvenienti non avvengono e si può andare tranquillamente a prendere valigie di contanti, oppure trasferire la tangente in conti numerati in banche estere, o anche acquistare immobili alle Maldive.
Israele è una proiezione della cleptocrazia americana, la sponda estera che permette all’AIPAC di giustificare la sua esistenza e la sua funzione di riciclaggio per la quale una gran parte dei finanziamenti che Israele riceve dagli USA ritorna a casa sotto forma di tangenti. Come è noto Israele non ha una forma giuridica precisa, non si autodefinisce una repubblica, ma genericamente uno Stato.
Israele non ha neppure una vera Costituzione ma un insieme di leggi fondamentali privo di una gerarchia delle fonti, perciò è costretto a vivere in una revisione costituzionale perenne in cui sono le emergenze e le minacce esterne a dettare i comportamenti. Questo stato di grazia Israele lo può vantare sin dalle sue origini, mentre da noi è un risultato che si è raggiunto attraverso un lavoro lungo e faticoso.
Lo Stato di Diritto è una chimera, però c’è sempre il rischio che in un regime di legislazione stabile e perennemente uguale a se stessa si finisca per conformarsi al dettato della legge per abitudine e pigrizia. Il lobbying spinge automaticamente nella direzione opposta, quella dell’incertezza del Diritto, quindi delle continue “riforme” e della revisione costituzionale permanente.
In una delle prime stesure della Costituzione italiana ipotizzate nel 1947, si prevedeva all’articolo 54 addirittura il diritto dei cittadini a resistere e a ribellarsi ai poteri pubblici in caso di violazione dei principi costituzionali. Avvenne invece che la “Costituzione nata dalla Resistenza” non riconoscesse il diritto alla resistenza, quindi l’ANPI sarebbe incostituzionale. D’altra parte la prudenza dei padri costituenti aveva un senso, dato che i testi costituzionali proclamano principi spesso opposti, perciò si rischierebbe di legittimare una ribellione permanente. Ciò era vero già nel 1948, figuriamoci dopo che ci sono stati la riforma del Titolo V e l’inserimento dell’obbligo di pareggio di bilancio.
Le Costituzioni hanno completamente mancato alla loro promessa storica di garantire ai cittadini un quadro di regole chiare che vincolasse il potere al rispetto della legalità. L’effetto pratico del costituzionalismo è stato invece di creare una nuova categoria accademico/antropologica di ciarlatani professionisti, la categoria dei “costituzionalisti”, che sono dei missionari dell’incertezza del Diritto. L’argomentazione dei costituzionalisti è quasi sempre all’insegna della superficialità e dell’estemporaneità, ma soprattutto della faccia tosta.
Giuliano Amato e Sabino Cassese nel 2016 presero posizione a favore della conferma referendaria della revisione costituzionale promossa dal governo Renzi. Secondo Amato era da considerarsi positivo il semplice fatto che ci fosse una riforma costituzionale approvata e da discutere nel merito. Secondo Cassese, le Costituzioni non vanno considerate immutabili, il che di per sé dimostra che bisogna cambiarle. Amato e Cassese considerano entrambi come un valore in sé il cambiamento della legge fondamentale dello Stato.
Negli Stati Uniti non vi sono mai stati veri progetti di revisione costituzionale, per cui il “lavoro sporco” è stato fatto dalla giurisprudenza della Corte Suprema, che, con “motivazioni” molto approssimative, ha esteso alle corporation, ed anche alle società non profit, tutti i diritti costituzionali riconosciuti all’individuo, rendendole però immuni dalle responsabilità. Secondo la valutazione di giuristi accademici, questa
giurisprudenza considerata “pro business” in realtà non ha affatto favorito l’economia ma soltanto l’incertezza e l’abuso. Infatti anche da noi oggi le vere revisioni costituzionali le fanno i costituzionalisti, cioè le Corti Costituzionali, che svolgono un ruolo “creativo”. Nel 2017 la Consulta, in una sentenza in cui apparentemente si limitava a dichiarare incostituzionali alcuni contenuti della
legge elettorale detta giornalisticamente “Italicum”, in realtà elevava a principi di “rango costituzionale” la stabilità dei governi e la rapidità dei processi decisionali, tutta roba che nella Costituzione non c’è. Il cambiamento perciò è positivo se riguarda le Costituzioni, ma non lo è per i governi, che invece dovrebbero essere stabili, poiché solo un governo stabile può rendere più rapido il cambiamento. Non soddisfatti di questa esibizione dialettica da cinepanettone, i giudici costituzionali in quella sentenza del 2017 riformarono persino l’aritmetica, stabilendo che la maggioranza non si raggiunge più col 50% più uno, bensì col 40%.
L’Italietta è comunque “fortunata”, poiché in questo generale spappolamento costituzionale a livello internazionale, rimane pur sempre da noi il punto fermo dell’onnipresenza del Presidente della Repubblica ogni volta che si tratta di nominare ministri, giudici costituzionali e governatori della Banca d’Italia; ed anche quando ci sia da presiedere il Consiglio Superiore della Magistratura ed il Consiglio Supremo di Difesa. I nostri padri costituenti sono stati quindi i soli a dimostrarsi davvero previdenti, preveggenti e sgamati nei confronti di una possibile deriva emergenzialista, tracciando
una Costituzione repubblicana con un sistema monarchico latente. Si è fatto quindi in modo che, anche quando fosse saltato tutto, comunque un re non ce lo si facesse mancare. Solo gli incontentabili potrebbero obiettare che questo re starebbe sempre a parlarci di emergenze.
Ringraziamo Cassandre