Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Un paio d’anni fa il giornalista Vittorio Feltri dichiarò che i meridionali sono inferiori. Certo, se la razza superiore è rappresentata da Feltri, allora siamo proprio rovinati. Feltri non è neppure contento della rielezione di Mattarella al Colle, dato che adesso deve subire la monarchia di un siciliano per altri sette anni (se saranno solo sette: alla fine di un terzo mandato Mattarella avrebbe appena novantaquattro anni). Il caso di Mattarella dimostra che oligarchie locali, che dominano in aree colonizzate, possono sviluppare tecniche di potere che consentono di rilanciarsi ad alti livelli. Il colonialismo è una strada a due sensi. Si parla tanto di potere dei “competenti”, dimenticando che il potere in se stesso è una competenza, un complesso di tecniche da apprendere ed applicare.
Bisogna ammettere però che la rielezione di Mattarella è stata agevolata da un lombardo come Feltri, cioè il Buffone di Arcore. Con la sua finta candidatura al Quirinale il Buffone ha “addestrato” la pubblica opinione a considerare la riconferma di Mattarella come un argine al caos, come la presenza della figura paterna che può proteggere il popolo dalle pulsioni irrazionali che allignano nel popolo, poiché senza un tutore qualsiasi demagogo potrebbe approfittarsi di noi. Si può però osservare che sia il Buffone, sia chi ci protegge dal Buffone, sono sportelli diversi di una stessa agenzia.
A proposito dello speciale dedicato da “Report” alla figura del Buffone, il suo quotidiano, “Il Giornale”, ha parlato di fango fuori tempo massimo, dato che quella sua candidatura era tramontata da tempo. In realtà non si tratta di ritardo ma, come si dice oggi, di “ottimizzazione”, cioè si è sfruttata la figura del Buffone per veicolare anche altri messaggi. Il compianto Oliviero Beha diceva che il Buffone è il grande alibi della politica e degli affari in Italia, in quanto la sua impresentabilità consente di coprire e offuscare fenomeni altrettanto impresentabili.
A proposito di impresentabili riaccreditati grazie al Buffone, nella puntata di Report si è avuta la faccia tosta di intervistare, come fosse un oracolo, Elsa Fornero (più nota come Cuornero). L’ex ministra del governo Monti ci ha spiegato che il Buffone è un “piacione”, quindi per piacere alle masse si è sempre negato a scelte impopolari, gonfiando il debito pubblico. Sarà stato allora per cercare popolarità che il Buffone nel 2005 ha fondato Equitalia, l’istituzione che per anni è stata la più amata dagli Italiani. Nello stesso 2005 il governo del Buffone impose l’aumento dell’età pensionabile, nel 2003 aveva imposto una durissima legge sulla precarizzazione del lavoro, e nel 2010 l’ultimo suo governo congelò gli stipendi dei lavoratori statali. Dire che il Buffone non abbia avuto a che fare con la cosiddetta austerità, è pura disinformazione.
Si può facilmente accertare che la Fornero, come al suo solito, ha mentito su tutta la linea. Secondo i dati Istat/Banca d’Italia, il debito pubblico nell’anno della caduta del Buffone, il 2011, era al 116% del Pil, mentre alla fine del 2012, dopo oltre un anno di governo del “Salvatore” Mario Monti, era al 123% del PIL, perciò aumentato; e non solo in rapporto al PIL ma anche in assoluto. Si dirà che l’incremento del debito è stato dovuto allo spread, ai maggiori interessi sul debito. Appunto, i mitici mercati non si erano fatti commuovere dai drastici tagli di Monti e, per abbassare i tassi, c’è voluto poi l’intervento della BCE. Comunque, anche quando l’euro non c’era ancora, nel 1993, l’anno dei rigorosissimi governi di Amato e Ciampi, l’anno dell’istituzione della tassa sulla prima casa, il debito pubblico aumentò di oltre dieci punti rispetto all’anno precedente. Il nesso tra le politiche di austerità e la riduzione del debito non ha nessun riscontro nei dati. Si tassa e si taglia per trasferire reddito e ricchezza a favore delle oligarchie, non per ridurre le spese.
Sigfrido Ranucci (reporter eroico anche nel nome) ha quindi preso a calci il Buffone per le sole “colpe” che questi non ha commesso, confermando la tesi manzoniana secondo cui, ignorando i fatti, si riesce a volte a far torto persino ai mascalzoni. Il paradosso è che se il Buffone avesse davvero sulla coscienza quelle “colpe” che gli vengono falsamente attribuite, sarebbe da considerare un po’ meno mascalzone. Ranucci ha “disinformato” però a fin di bene, per educare il suo pubblico “progressista” a desiderare le “scelte impopolari”, spacciate come garanzia di protezione da pericolose avventure.
Tagliare i redditi da lavoro e tassare la piccola proprietà immobiliare sono quindi diventati garanzia di serietà, di buongoverno e di progresso. Dato che di redistribuire il reddito non se ne può più nemmeno parlare, sarà la libertà il nuovo oggetto di una redistribuzione controllata e razionata. Ed ecco allora il Green Pass, cioè la versione all’italiana del credito sociale cinese. Mentre nella retrograda Cina la disciplina sociale viene ancora estorta con la possibilità di accedere ad un maggiore reddito, nella progredita Italia il “premio” consisterebbe nel riavere, dietro condizione, una parte di quelle libertà che prima venivano date per scontate. L’oligarchia italica, la più avara del mondo, ha così trovato la sua dimensione ideale.
Il governo rifiuta un nuovo scostamento di bilancio per ridurre le bollette e, solo dopo molte pressioni, promette un interventicchio a riguardo; quindi migliaia di famiglie e di imprese finiranno sul lastrico. Si torna al rigore finanziario? Sì, ma solo per ciò che riguarda i bisogni della popolazione, mentre ci sono altri settori dove si può essere spendaccioni. Per le spese militari il 2022 annuncia infatti un nuovo record: siamo a 25 miliardi, il massimo storico. Gli oligarchi nostrani affamano la popolazione ma non rinunciano ai loro sogni di grandeur e di status internazionale. Se non hanno pane, che mangino portaerei.
Poche idee sono più radicate, e più infondate, della rappresentanza politica degli interessi sociali. La Lega è senza dubbio il caso più manifesto di questa infondatezza, dato che nei suoi comportamenti politici si può riscontrare un totale scollamento dagli interessi della sua base elettorale, cioè il ceto medio delle piccole e medie imprese e dei piccoli proprietari fondiari. Un anno fa l’ingresso della Lega nel governo Draghi ha offerto copertura ad una serie di iniziative come l’indebitamento col Recovery Fund, l’istituzione del Green Pass e la revisione delle stime catastali, misure che nel loro complesso comportano una limitazione della libertà economica della piccola impresa ed, in prospettiva, un aumento dei carichi fiscali. Nei giorni scorsi la Lega ha partecipato, con Forza Italia, alla rielezione del presidente Mattarella, cioè proprio di colui che un anno fa aveva impedito col pretesto Covid quelle elezioni anticipate che avrebbero consentito al centro-destra di andare al governo. In effetti l’ingerenza di Mattarella si era esercitata già prima, poiché sarebbe bastato appena ventilare l’ipotesi costituzionale dello scioglimento delle Camere per far sì che la crisi del governo Conte bis rientrasse, dato che la maggioranza dei parlamentari sa che con questa legislatura la sua carriera si chiude.
La merce di scambio per questi altrimenti inspiegabili suicidi elettorali della Lega, era, ed è, la cosiddetta autonomia differenziata, cioè la possibilità per le Regioni di trattenere per sé i proventi del fisco. Per le Regioni che producono la maggior parte del PIL (Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna), sarebbe un discreto affare. L’Emilia Romagna è amministrata dal PD, a riprova del fatto che l’obbiettivo dell’autonomia differenziata è trasversale agli schieramenti politico-parlamentari. Agli inizi di gennaio il ministro Gelmini ha rassicurato queste tre Regioni, promettendo una legge-quadro sull’autonomia differenziata.
Per le regioni del Sud non è che cambi molto, dato che il Sud è storicamente e strutturalmente sotto-finanziato, perciò anche i fondi ufficialmente stanziati vengono tenuti congelati. Il punto è che non cambierebbe molto neppure per i contribuenti del Nord, che dall’autonomia differenziata non otterrebbero una diminuzione dei carichi fiscali, ma solo un aumento della disponibilità finanziaria dei loro amministratori. In altri termini, i contribuenti del Nord vedrebbero sacrificati i propri interessi per consentire che le cosche di affari di Fontana, Zaia e Bonaccini possano gestire più soldi. E chi assicura ai contribuenti che quei soldi vengano davvero investiti sul territorio?
In base a questi elementi l’autonomia differenziata sembrerebbe cosa fatta. Sennonché la rielezione di Mattarella ha comportato un’alterazione senza precedenti di un quadro istituzionale pur già ampiamente sovvertito, per cui oggi ci si sta inoltrando in un territorio istituzionale del tutto inesplorato. Chi dice che la rielezione di Mattarella è stata un ripiego, evidentemente non ne considera le conseguenze, e neppure le premesse.
Gli attuali poteri di Mattarella infatti non trovano precedenti nella storia dell’Italia unitaria. Persino durante il fascismo c’era di fatto una diarchia tra il duce ed il re. Oggi il Presidente della Repubblica può scegliersi il governo, ricattare il Parlamento, sciogliere o meno le Camere a piacimento, presiede il Consiglio Superiore della Magistratura ed il Consiglio Superiore di Difesa. Tutto ciò per un settennato, cioè un tempo che non ha riscontro in altri ordinamenti. Non si comprende a questo punto perché Mattarella dovrebbe rispettare i patti che lo hanno condotto alla rielezione, non solo l’accordo sull’autonomia differenziata, ma anche il tacito impegno a non sciogliere anticipatamente le Camere. Si tratta infatti dei patti leonini della favola di Esopo.
Il nostro attuale superpresidente ha saputo allestire nei decenni la sua rete di potere. Quando si è occupato di servizi segreti ha “regalato” agli agenti una legislazione che gli assicurasse l’impunità legale. Nel suo primo settennato ha anche stabilito un precedente sul suo personale “gradimento” politico dei candidati alla carica di ministro, come si è visto nel caso di Paolo Savona. Come a dire che è il Presidente della Repubblica a stabilire la politica del governo.
I giornalisti, che non avevano capito nulla e che si attardavano a celebrare l’ascesa di Draghi al Colle, hanno dovuto in ventiquattro ore aggiustare il tiro delle loro lingue. Paolo Mieli è apparso il più spiazzato e patetico di tutti, eppure il padre era agente della CIA, a riprova che la famigerata agenzia in fatto di “intelligence” ne ha sempre masticato poco. Gli sarebbe bastato riflettere un attimo sulla contraddittorietà del suo “ragionamento”, secondo cui i superpoteri del Colle erano i più consoni alla statura di Draghi. Ma se il Colle ha i superpoteri, perché mai chi quei superpoteri li gestisce già, dovrebbe poi cederli a qualcun altro? Sarà più ovvio che li usi per mantenerseli indefinitamente. Per questo motivo appare poco realistica l’ipotesi che Mattarella stia preparando le condizioni per dimettersi e far subentrare Draghi. Una voce del genere sembra fatta apposta per tenere buono Draghi prima di liquidarlo definitivamente.
La mancata elezione di Draghi ha deluso anche coloro che credono che siano i mitici “Mercati” a comandare in Italia. Certo, l’Italia è una colonia ed il Presidente della Repubblica è il principale agente coloniale, ma l’imperialismo non è affatto una strada a senso unico, per cui le oligarchie locali sanno farsi i propri affari e sanno ritagliarsi i propri sogni di scalata ad un superiore rango internazionale.
Ironia della sorte, i soli che sembrano pronti a protestare per la rielezione di Mattarella sono i seguaci della Sorella d’Italia, che, da bravi nostalgici, dovrebbero essere a favore della dittatura. In realtà anche la Meloni ha partecipato alla pantomima. Dato che è una ragazza sveglia, doveva sapere dell’accordo sull’autonomia differenziata, perciò ha recitato la parte della “tradita dagli alleati” per ereditare i voti della Lega, pur sapendo che quei voti le frutteranno notevoli rimborsi elettorali ma non la possibilità di diventare Presidente del Consiglio.
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