Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
All’inizio della scorsa settimana si diceva che la questione della riforma del catasto avrebbe messo a rischio la sopravvivenza del governo. Era troppo bello per essere vero, e infatti non era vero. In base alla narrazione sarebbe stato il voto di un partitino con l’1% a consentire alla proposta di passare. Ma si tratta appunto di narrativa, poiché anche i partiti di centrodestra, a parole ostili alla riforma, si sono limitati a votare contro, senza uscire dal governo, benché ad essere più sensibile ai timori di una revisione delle stime catastali sia proprio il loro elettorato. Draghi assicura che la revisione non comporterà nuove tasse sulla casa, ma tutti sanno che sono chiacchiere.
La prima casa è il principale ammortizzatore sociale, l’ancoraggio materiale della famiglia. Colpirla in una fase economica come questa sarebbe una misura destabilizzante, un atto di guerra civile. Dopo essere stato in gran parte alleato delle oligarchie contro il lavoro, oggi è il ceto medio ad essere oggetto di una spoliazione dei suoi risparmi e dei suoi patrimoni immobiliari. Da anni il Fondo Monetario Internazionale esorta i governi italiani a tassare la prima casa, e la riforma del catasto serve a innescare la mina per rendere operativo il provvedimento. Ma il FMI siamo noi, nel senso che è proprio dall’Italia che partono le informative e gli input per avviare, con la sponda delle organizzazioni sovranazionali, l’ennesima iniziativa di regolamento di conti interno.
Si può comprendere l’atteggiamento dei 5 Stelle sulla riforma, in quanto hanno ormai come unico obbiettivo arrivare alla fine naturale della legislatura. Ancora più chiare sono le motivazioni del PD, che è un partito che non ha più preoccupazioni elettorali, poiché può garantirsi la presenza nei prossimi governi grazie all’emergenzialismo cronico e all’ombrello dei superpoteri del presidente della Repubblica. Il PD ha dalla sua anche il politicamente corretto, in modo da far passare la predazione ai danni del ceto medio come lotta all’evasione fiscale. La linea del PD: stare sempre dalla parte del più forte ma dall’alto di un piedistallo morale. Forza Italia ha rinunciato a sua volta alle prospettive elettorali per diventare un PD di complemento. Meno chiaro sembrerebbe il comportamento della Lega che, non facendo cadere il governo sulla questione del catasto, rischia un’ulteriore emorragia di voti.
Mentre in Paesi più arretrati e naif si fanno ancora i brogli elettorali, qui in Italia siamo più avanti, in quanto gli stessi partiti sono dei brogli elettorali. Il caso della Lega è paradigmatico: abbiamo una sorta di doppio partito, con un leader di facciata che si presenta come difensore del ceto medio, e poi c'è il vero gruppo dirigente, composto da cosche affaristiche del Nord Italia, che aspirano alla cosiddetta autonomia differenziata (oggi si dice anche “rafforzata”, come il Green Pass). In questa poco pubblicizzata battaglia per attribuire alle Regioni del Nord proventi fiscali e competenze che dovrebbero andare ben oltre la Sanità, la Lega ha come principale alleato il PD. Proprio quel partito che, in base alla pantomima ufficiale, sarebbe il principale avversario della Lega.
Il sistema della guerra civile in Italia è come un gioco di scatole cinesi: ogni fronte di guerra civile ne contiene un altro al suo interno. Con la riforma del catasto si destabilizza il principale ammortizzatore sociale, mentre con l’autonomia differenziata si configura un’altra contrapposizione tra Nord e Sud, un altro focolaio di separatismo strisciante. L’aspetto paradossale è che il Sud Italia è strutturalmente e storicamente spopolato e sottofinanziato. Da quarant’anni il Meridione è persino in piena denatalità. L’oligarchia meridionale controlla il territorio in assoluta avarizia, bloccando la spesa anche dei fondi già stanziati. Persino le mafie si configurano storicamente come forme di gestione a bassissimo costo del territorio. L’oligarchia meridionale non si oppone all’autonomia differenziata, forse perché l’esportazione delle mafie al Nord consente di partecipare ai business.
Anche il Green Pass è uno strumento di guerra civile che funziona a scatola cinese. Dopo la guerra civile contro i non vaccinati, il Green Pass dovrebbe tornare utile come strumento di razionamento energetico, una specie di tessera annonaria per controllare i consumi di gas ed elettricità. Siamo all’emergenza energetica (bella allitterazione), tanto che Draghi dà un calcio nel sedere a Greta e rilancia il carbone. Il gas è una delle risorse più abbondanti in natura, e pare che sia inesauribile, poiché l’ecosistema ne produce in continuazione. Russia o non Russia, parrebbe impossibile che possa scarseggiare. Eppure ci si sta riuscendo. Miracoli dell’emergenzialismo cronico.
Tra l’altro non siamo neppure sicuri che davvero cessino le forniture di gas russo. L’enfasi sull’emergenza ancora una volta segnala che il vero bersaglio è la popolazione, da sottoporre ad ogni sorta di vessazione, ed alla fine ci si accorgerà che persino il razionamento sarà diventato un business. L’Italia è l’unico Paese in cui il governo ha posto il segreto al massimo livello sul Decreto per la fornitura di armi all’Ucraina, segno che c’è qualche risvolto affaristico da celare.
Tanto per non cambiare, lo stesso alibi-Putin funziona a scatola cinese. Bisognerebbe spiegare ai Russi come funziona l’Italia, che il nostro governo non ce l’ha davvero con loro, ma li usa come pretesto per dare la caccia agli “amici di Putin” di casa nostra. In Italia la politica estera è tutta in funzione della guerra civile interna. La ludica superficialità con cui il governo Draghi sta affrontando una delle crisi internazionali più gravi di tutti i tempi, si spiega proprio con l’assuefazione della nostra oligarchia alla pantomima emergenziale, perciò sembra di recitare una rievocazione della guerra fredda, magari mettendo su una nuova Gladio (ammesso che quella vecchia sia stata smantellata), per creare un clima di finta emergenza terroristica come negli anni ’60 e ’70.
Si può glissare tranquillamente sulla questione se la “Rivoluzione delle Ciabatte” dell’estate del 2020 contro la rielezione del presidente bielorusso Lukashenko sia stata o meno una “rivoluzione colorata” organizzata dai servizi segreti della NATO, per concentrarsi invece su un dato di fatto, e cioè che l’Unione Europea, pur senza averne alcun titolo in base al Diritto Internazionale, disconobbe il risultato elettorale in Bielorussia e proclamò l’illegittimità della sua presidenza. Sino a quel momento la Bielorussia era stata un Paese neutrale, in buoni rapporti con Mosca ma ben tesa a sottolineare la propria indipendenza dai voleri del Cremlino. A causa dell’aperta ostilità dell’Unione Europea e della NATO, Lukashenko fu costretto ad accettare un’alleanza in funzione subordinata con la Russia, diventandone un vassallo.
Non è un caso perciò che l’operazione di accerchiamento della capitale ucraina Kiev ad opera dell’esercito russo sia partita dal territorio bielorusso, il cui confine è a pochi chilometri da Kiev. Le truppe russe si trovavano in Bielorussia per un’esercitazione militare congiunta con l’esercito di Lukashenko, che non ha partecipato all’invasione ma l’ha consentita. I media ci hanno intrattenuto in questi giorni su una mitica battaglia di Kiev che farebbe sembrare Stalingrado una bazzecola. Ma l’esercito russo non ha alcuna necessità strategica di conquistare la capitale, in quanto gli basta dimostrarne l’irrimediabile vulnerabilità a causa della vicinanza al confine bielorusso, tenendo inoltre impegnata gran parte dell’esercito ucraino mentre le truppe russe agiscono dove più interessa, cioè nelle aree del Mar d’Azov e del fiume Don, le chiavi di accesso alla Russia (come sa chi alle medie si è letto “Il Sergente nella Neve” di Mario Rigoni Stern). Questa vittoria strategica di Putin è stata tutta un regalo dell’Unione Europea, così ansiosa di criminalizzare ed eliminare Lukashenko da non tenere conto dei rischi in caso di fallimento dell’operazione.
Oggi i media ci descrivono Putin come il responsabile dell’aumento delle bollette energetiche, facendo dimenticare che gli aumenti stratosferici del prezzo delle materie prime datavano di molti mesi addietro. Le strozzature del mercato delle materie prime erano state dovute alla ripresa produttiva dopo i lockdown imposti dai Paesi dell’UE convertitisi all’emergenzialismo pandemico nostrano. Per mesi i prezzi delle materie prime erano crollati e molti speculatori ne avevano acquistato grandi quantità da rivendere poi a prezzi maggiorati quando la domanda fosse di nuovo salita. Che la Russia non c’entri, è dimostrato dal fatto che il fenomeno ha riguardato anche prodotti industriali come i semiconduttori, di cui Taiwan è la maggiore esportatrice. L’Europa è già in fase inflattiva, e non per un’inflazione “sana” e gestibile da aumento della domanda di beni e servizi, bensì in un’inflazione malsana a causa del calo dell’offerta di materie prime dovuto a strozzature del mercato.
La Russia è il maggiore produttore mondiale di quasi tutte le materie prime ed in questa fase di aumento selvaggio dei prezzi è impossibile fare a meno delle sue forniture, neppure con fiumi del gas liquido di produzione statunitense. Questo è il risultato pratico dell’emergenzialismo pandemico. I media ci prospettano furiose file ai bancomat russi per tutelarsi dal crollo del rublo in seguito alle sanzioni finanziarie. Ammesso che per qualche tempo sia così, cosa cambierebbe? Si pretenderebbe cioè di trattare la Russia come la Grecia o come Cipro, dimenticando che si sta parlando di una potenza nucleare e del primo produttore di materie prime, che, male che vada, potrà sempre emettere bond coprendone il valore con stock di petrolio, oro, gas o nitrato d’ammonio, indispensabile per l’agricoltura.
Nella mente dei cosiddetti “occidentali” la questione dei rapporti di forza, base di ogni equilibrio di potenza, è totalmente scomparsa. Siamo al delirio propagandistico autoreferenziale. La prassi di infantilizzare e rincretinire l’opinione pubblica ha determinato un effetto di ritorno, un’autointossicazione comunicativa dei gruppi dirigenti. Se oggi il nostro governo pensa davvero di poter gestire una società complessa con il razionamento energetico e con lo slogan “è colpa di Putin", sarà un’avventura senza ritorno che potrebbe far considerare la guerra nucleare come un male minore.
La propaganda occidentalista cerca di screditare la Russia in base ai soliti criteri del doppiopesismo. Basti pensare all’abuso del termine “oligarca”, per cui sembrerebbe che in Russia gli oligarchi siano decine di migliaia, in quanto qualsiasi farabutto che fa soldi con affari di gas o di armi diventa un “oligarca”. Da noi li chiamerebbero “imprenditori”. Altrettanto stantio è lo slogan sul Putin “autocrate”, dato che risulta evidente che è un mediatore che si barcamena tra i soli due poteri che contano in Russia, Gazprom e l’esercito. Tra l’altro sono state proprio le sanzioni economico-finanziarie a indebolire Gazprom ed a rafforzare la posizione dell’esercito. Oggi infatti l’alternativa concreta a Putin non è il democratico a mezzo servizio (e nazista a tempo pieno) Navalny, bensì una giunta militare.
Ora è tutta una gara a chi odia di più Putin, con l’annessa caccia agli “amici di Putin”, omettendo il fatto che in questa circostanza sono stati proprio i “nemici” a passargli la palla, anzi a passarla ai militari russi. I tentativi della dirigenza russa di intavolare una trattativa con la NATO e con l’UE sono sempre falliti, in quanto queste non sono delle controparti in grado di esprimere una soggettività consapevole, ma dispositivi automatici di espansionismo e propaganda. Beninteso, il vittimismo russo sulla slealtà della NATO ha una piena fondatezza, ma rimane il fatto che il riconoscimento russo dell’indipendenza ucraina nel 1991, senza aver preliminarmente ridefinito i confini, è stata una follia, spiegabile soltanto con la febbre dell’arricchimento personale, per cui la priorità assoluta era di vendere petrolio e gas agli ex sudditi, senza preoccuparsi dei pericoli futuri. Comunque sia, oggi non c’è nessuno nel Sacro Occidente che possa fermarsi a considerare le conseguenze di ciò che fa, poiché verrebbe immediatamente scavalcato da uno più zelante di lui in nome dell’emergenza del nuovo Hitler di turno.
L’UE si è gettata in sconsiderate forniture di armi all’Ucraina, senza tener conto che in quel Paese la struttura istituzionale è fluida e inconsistente, perciò si rischia di creare una sorta di ISIS a guida neonazista al centro dell’Europa. Del resto l’avventurismo in questo campo è già datato. Lo scorso anno era fallito per un pelo il progetto da dieci miliardi di dollari per la formazione di un esercito privato ad opera di Erik Prince, l’ex boss di Blackwater. Bisognerà vedere se attorno alle forniture d’armi dell’UE rifioriranno altri business per eserciti privati per iniziativa di Prince o di altri come lui.
Ringraziamo Claudio Mazzolani e Michele per la collaborazione.
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