Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
(Da Sicilia libertaria n. 430, ottobre 2022)
Zitti zitti, quatti quatti, nel mese di aprile i partiti (tutti) hanno cancellata l’IVA sull’export di armi. La Commissione Finanze del Senato, dopo quella della Camera, ha dato il via libera al decreto legislativo varato dal governo, in attuazione di una direttiva europea del 2019. A onor del vero, “grazie” all’opposizione del Movimento 5 Stelle, che alla fine si è astenuto, la commissione anziché esprimere parere positivo ha espresso parere “non ostativo”, che poi vuol solo dire: “prego, fate come se foste a casa vostra”, o più volgarmente una lavata di mani.
Ora la vendita di armi fra i paesi dell’Unione Europea è esente da IVA e accise, come auspicato da Ursula von der Leyen un anno fa.
Il governo ha preferito rinunciare ad un ingente gettito finanziario, pur di favorire un settore che da anni ha il vento in poppa e ingrassa come non mai. Il popolo invece continuerà a pagare l’IVA sul cibo che gli serve per alimentarsi, sulle bollette energetiche carissime, su tutti i generi di prima necessità, sui medicinali e la salute, sui trasporti, sulla cultura, ecc.
Ma le sorprese non finiscono qui; non bastava, infatti, questo “sforzo” volto a configurare una unione militare europea e a favorire la cosa agli armamenti in una fase difficile della nostra storia particolarmente critica per via della guerra in Ucraina; il governo - e quello che si va cucinando in questi giorni non sarà di meno - si prepara ad “allineare il trattamento dell’IVA applicabile agli sforzi di difesa nell’ambito dell’Unione con il quadro dell’Organizzazione del trattato atlantico del Nord – NATO”. La traduzione di questo punto della direttiva UE 2019/2235 del 16/12/2019 vuol solo dire: ampliare il mercato del commercio di armi esenti da IVA all’ambito NATO!
La “opposizione” parlamentare uscita dalle urne il 25 aprile, militarista e filo NATO fino al buco del culo, opporrà forse il proprio parere “non ostativo”, ma soprattutto si sforzerà di nascondere questa ennesima porcata al popolo tartassato.
Prima o poi, ricordiamocelo, dovranno pagare il conto delle loro malefatte, con tanto di IVA. Ma anche di IRA degli sfruttati.
La futilità è una categoria dello spirito ampiamente sottovalutata. Magari si pensa che ci si sarebbe potuto risparmiare almeno la mamma della Meloni, come se la figlia non fosse già d’avanzo; invece è stata un’esperienza istruttiva. L’augusta genitrice ci ha infatti intrattenuto sulla sua filosofia, così riassumibile: “li poveri nun deveno magnà, se no nun lavoreno”. Nel pacchetto-Meloni non poteva mancare l’ingrediente dell’esibizionismo parentale, dato che il prodotto OGM di finta alternativa era stato in gran parte confezionato nel laboratorio/salottino di Bruno Vespa, mescolando la canzone “Semo gente de borgata” dei Vianella e Califano con l’inno dei marines.
Non sarebbe però corretto concludere che il partito della Meloni abbia subìto un tale bagno neoliberista e mediatico da non avere più nulla a che vedere con la tradizionale “destra sociale” del MSI. In realtà lo stile è ancora quello. Negli ultimi settanta anni Roma è stata la roccaforte del nostalgismo fascista a base popolare. La retorica “der popolo” è stata ovviamente declinata in senso favorevole all’establishment. In parte ciò è stato dovuto ad un meccanismo scontato: da sempre infatti la pratica della violenza ha rappresentato un ascensore sociale per le classi subalterne, sia con le carriere istituzionali di poliziotto o carabiniere, sia con le opportunità illegali dei mestieri di mazziere o campiere; per cui si riscontrava (e tuttora si riscontra) questa affinità ideologica ed elettorale tra esponenti delle “forze dell’ordine” e gli esattori della malavita, che spesso sono anche confidenti della stessa polizia. Ma non si può ignorare che il nostalgismo fascista ha spesso avuto anche i suoi percorsi del tutto idealistici e disinteressati, cioè una sincera mistica del popolo, che si risolveva comunque in un’involontaria, quanto inevitabile, mistica dell’establishment. Ciò che conosciamo come “popolo” è infatti in gran parte un prodotto dell’oppressione, perciò si finisce per identificare le virtù popolari proprio nelle fittizie “gabbie valoriali” imposte da quello stesso establishment che poi le scredita: la mamma, la patria, la bandiera, ed anche il dovere del lavoro. Non per niente la Meloni ha innalzato a proprio vessillo la “lotta all’assistenzialismo” ed è stata investita (almeno mediaticamente, visto che il governo lo fa Mattarella) della “missione” di compiere questa ennesima vendetta dell’establishment nei confronti dei subalterni. Ciò le procura il plauso di Confindustria e degli opinion leader, ma pone anche in evidenza come tutta l’operazione Meloni abbia il fiato cortissimo, dato che “er popolo” a riguardo è molto più sgamato di quanto si creda. Oggi nessun disoccupato è più disposto a digerire il fatto che i soldi pubblici siano riservati esclusivamente agli Elkann ed ai Benetton. Probabilmente la consapevolezza teorica del carattere intrinsecamente assistito del capitalismo mancherà ancora per molto tempo. Ma, visto che esiste l’evidenza empirica di questo enorme (e sputtanatissimo) assistenzialismo per ricchi, sarà difficile convincere che non possa esserci anche un po’ di assistenzialismo per poveri. Ammesso poi che sia vero che il reddito di cittadinanza scoraggi dal cercare lavoro, ciò non sarebbe affatto negativo, poiché se i lavoratori si facessero ancora più concorrenza sui pochi posti disponibili il livello dei salari crollerebbe sotto terra.
La parziale resurrezione elettorale dei 5 Stelle in versione Conte è stata certamente dovuta al fatto di aver saputo superare le squallide ipocrisie costruite sul concetto di assistenzialismo, secondo le quali bisognerebbe vergognarsi di ricevere i seicento euro di sussidio del RdC, mentre sarebbero da santificare i regali statali da decine di miliardi che vanno a beneficio dei finti industriali che stanno già delocalizzando quel poco di produzione che era ancora rimasto in Italia. Moralismi meschini dello stesso tenore sono stati riservati anche all’altra misura economica voluta dai 5 Stelle, cioè il
superbonus edile, al quale è stato rimproverato di essere diventato una sorta di moneta fiscale. Ma il 6% in più di PIL spinto dal superbonus è stato proprio dovuto al fatto di aver creato un nuovo mezzo di pagamento. Se uno Stato in difficoltà finanziaria, invece di indebitarsi, usasse il credito fiscale per pagare i suoi fornitori, ciò sarebbe un bene per l’economia, ma non per le multinazionali delle finanza, che sono quelle che contano e che possono permettersi di fare la morale ai comuni mortali. Il denaro compra i tanti pronti a vendersi, ma riesce a suggestionare anche tutti quegli altri che non sarebbero disposti a farsi comprare.
A molti è piaciuto questo Giuseppe Conte che ha saputo contrastare dialetticamente le ipocrisie dell’establishment, ed è anche riuscito in parte a dissociarsi dalla retorica bellicistica. Il problema è che nel 2020 abbiamo visto un Conte in una versione un po’ più inquietante. Il suo governo fu preso inizialmente in contropiede dall’emergenza Covid, enfatizzata pretestuosamente da Attilio Fontana e soci in funzione del protagonismo della Lombardia e del creare fatti compiuti nel senso dell’autonomia differenziata. Ma Conte poi ha fatto propria quell’emergenza pandemica e l’ha trasformata in un vero e proprio percorso di “grandeur” dell’Italietta, assurta ad esempio e lume per il mondo. Conte ha usato il lockdown come un’esibizione, come uno spettacolo di disciplina patriottica delle masse italiche in modo da estorcere l’ammirazione del pubblico internazionale. Dopo aver determinato un crollo del PIL a livelli da guerra mondiale, lo stesso Conte ha trovato anche la magica soluzione, la palingenesi, per risollevare le sorti dell’Italietta e dell’Europetta tutta: il mitico e rigenerante Recovery Fund, o Next Generation EU.
Il lockdown del 2020 trova ancora tantissimi sostenitori, i quali non esitano a dichiarare che, con quella scelta, Conte avrebbe evitato milioni di morti. Qualcuno però dovrebbe spiegarci come mai nello stesso anno, il 2020, un Paese come la Bielorussia non ha adottato nessun lockdown e non abbia per questo registrato un aumento della mortalità. Anzi, nello stesso periodo i media ci narravano entusiasticamente degli oltre cento giorni di manifestazioni di piazza contro il presidente Lukashenko, il cattivissimo dittatore così inviso al Sacro Occidente. Visto che
i manifestanti di Minsk lottavano per la democrazia occidentale, evidentemente il Covid li risparmiava.
Quando si dice che la politica nostrana è soggetta ai dettami della NATO e della UE, si afferma una cosa sicuramente vera ma anche incompleta. I protagonismi della politica possono impadronirsi dell’emergenzialismo e gestirlo in proprio, e quindi accelerare processi che avrebbero richiesto ben altri tempi. A Conte va sicuramente il “merito” di aver contribuito a costruire la tenaglia tra l’emergenza Covid e la palingenesi del Recovery Fund. Il disastro economico e l’euforia nazionalistica del lockdown hanno poi giustificato la sottomissione salvifica ad una serie di debiti e vincoli esterni.
I lockdown hanno contribuito notevolmente anche all’attuale crisi energetica, poiché si è verificato dapprima un crollo dei prezzi delle materie prime e poi una loro rapida risalita non appena la produzione è ripresa; e, in un mercato delle materie prime iper-finanziarizzato, ciò ha favorito enormemente la speculazione. Conte dovrebbe spiegarci come mai nel 2020 il suo governo non abbia approfittato del crollo dei prezzi del petrolio e del gas per assicurarsi delle scorte. Oppure queste scorte sono state fatte e ora ci si sta vendendo a trecento ciò che è stato comprato a venti?
Molti se la prendono, giustamente, con l’imperialismo americano che ci impone una disciplina energetica in funzione dei suoi interessi. Senza la rappresentazione mediatica della guerra in Ucraina, gli USA non riuscirebbero a bloccare l’export russo e ad imporci il loro antieconomico gas di scisto. Ma è anche vero che l’imperialismo è una strada a due sensi, per cui l’oligarchia nostrana desidera e invoca i vincoli euro-atlantici, che rappresentano il pretesto e la sponda su cui realizzare la sua vera priorità, cioè la vendetta contro i propri sudditi. Quando Padoa Schioppa buonanima ci parlava della riscoperta della “durezza del vivere”, intendeva che era ora di regolare i conti con il ceto medio, che, negli anni della guerra fredda, era stato fatto espandere troppo in funzione anticomunista, sino ad assorbire molti settori operai del Centro-Nord. Si tratta adesso di usare lo strumento fiscale e tariffario per trasferire altra ricchezza verso la finanza, per cui le bollette e la probabile patrimoniale sono l’arma, l’atlantismo e l’europeismo sono l’alibi, mentre i bersagli e le vittime sono le casette e i risparmiucci.