Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Altro che bombe al fosforo ed uranio impoverito. Il 15 ottobre scorso i telespettatori hanno scoperto che la vera arma di distruzione di massa è il sampietrino e che, mentre i bombardamenti che da otto mesi l'aviazione italiana infligge alla Libia sono "interventi umanitari", a Piazza San Giovanni invece c'era una "guerra".
Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha dimostrato di possedere lo stesso senso delle proporzioni, poiché si è messo a strepitare di una capitale messa a ferro e fuoco dai manifestanti e di "due milioni di danni". Un bel pretesto per negare alla FIOM la sua manifestazione che era prevista per domani.
Alemanno se la prende tanto per due milioni di danni per ora molto, ma molto, presunti; ma è strano che quando i danni accertati per il Comune di Roma ammontavano addirittura a tre miliardi e duecento milioni di euro, il sindaco non solo non ha strepitato, ma ha avvolto tutto in una nube di silenzio. I tre miliardi e duecento in oggetto riguardano l'esposizione del Comune di Roma nella truffa dei titoli derivati, che ha coinvolto, in misura minore, anche altri Comuni, come quello di Milano, che ha un'esposizione di un miliardo e settecento milioni di euro.[1]
Alemanno di magagne personali ne può vantare veramente tante, ma tante. Non si tratta solo delle note vicende parentali, ma anche del fatto che Alemanno è diventato un pupazzo della Philip Morris, sotto la tutela di un manager di questa multinazionale, Aurelio Regina, che è anche presidente della Confindustria romana. Persino il sito web ufficiale di Alemanno è stato spudoratamente occupato da Aurelio Regina e dai suoi propositi affaristici.[2]
Nella specifica situazione della truffa dei derivati, Alemanno però non ha dirette responsabilità, dato che la geniale idea di affidare le sorti finanziarie del Comune di Roma alla banca multinazionale JP Morgan, e ad altri degni compari, era stata del sindaco precedente, Walter Veltroni. Il motivo del complice silenzio di Alemanno comunque è abbastanza evidente, dato che le vittime della truffa sono trasversali al sistema dei partiti. Se Alemanno avesse sputtanato Veltroni, avrebbe rischiato di sputtanare anche la sua collega di partito, Letizia Moratti, che ha messo nei guai il Comune di Milano, preferendo però farsi truffare dalla multinazionale tedesca Deutsche Bank.
Sembra il trionfo del solito luogo comune: destra e "sinistra" sono uguali. In realtà, pur con tutti i suoi limiti, il movimento del 15 ottobre ha contribuito a far saltare questi schemi obbligati del finto dibattito politico. La piazza di Roma del 15 ottobre ha puntato il dito non contro i soliti fantocci del potere, ma contro una componente precisa del potere reale, cioè il colonialismo delle banche multinazionali. Sarà questo il motivo per il quale "la Repubblica" ed "Il Fatto Quotidiano" hanno avviato una strisciante criminalizzazione mediatica del movimento, presentato come ancora violento ed immaturo.
Per distrarre il movimento dai suoi obiettivi infatti non c'è nulla di meglio che un bel dibattito infinito sulla violenza e sulle leggi speciali. Il tutto poi è condito da analisi giornalistiche sullo sfondo sociale dei partecipanti, sulla loro mancanza di ideologia e sulla loro sconcertante preparazione militare. Pare, nientemeno, che quando la polizia caricava i manifestanti scappavano, ma poi tornavano se la polizia si fermava. Cose mai viste. Altro che l'addestramento in Grecia di cui ha parlato il quotidiano "la Repubblica". Tattiche di guerriglia così originali e sofisticate possono essere state apprese solo in campi di addestramento per terroristi mediorientali.
Non manca poi un accenno di pietas per i poveri poliziotti. Si fa fatica a resistere alla tentazione di partecipare alla raccolta di fondi per la benzina alle macchine della polizia; pare stia avendo un grande successo. Però pure Tremonti ha le sue ragioni; con tutti quei caroselli nelle manifestazioni ad investire i protestanti, la benzina non basta mai.
L'esponente del PD Ignazio Marino commuove ancora di più con racconti degni di Dickens: i poliziotti pagano di persona le fotocopie di servizio, e ci sono anche alcuni benemeriti che portano il toner in caserma; gli scudi della celere, secondo Marino, vanno in frantumi anche per una sola biglia. La commozione travolge più delle stesse cariche della polizia.
Viene infine spiegato ai giovani che prima di poter pensare di porre un freno ai furti ed alle frodi dei banchieri, è necessario che tutti, ma proprio tutti, i manifestanti diventino pacifici e responsabili; perciò, dato che dei tafferuglisti esisteranno sempre, i banchieri potranno fare il loro comodo in eterno. Il ragionamento non fa una grinza: solo un'opposizione perfetta nei pensieri, nei sentimenti e nei comportamenti può essere degna di osare di criticare il potere; ovvero deve essere il potere a scegliersi gli oppositori. Questa è la democrazia.
E poi basta con questa mania di attaccare i banchieri e di lamentarsi che i contribuenti debbano pagare il salvataggio delle banche. Le banche svolgono una funzione essenziale nell'economia. Se quella mente illuminata di Veltroni non si fosse rivolta a JP Morgan, a quest'ora il Comune di Roma avrebbe avuto in cassa tre miliardi e duecento milioni in più, soldi che avrebbero persino rischiato di finire in nuovi servizi e nuove assunzioni. Pensa che tragedia.
Non ci si crederà, ma anche i banchieri provano sentimenti umani. Prendiamo, ad esempio, il capo di Deutsche Bank, Josef Ackermann, quel banchiere svizzero che in Germania i soliti giornalisti faziosi descrivono come un parassita criminale, capace di farsi pagare dai contribuenti anche la brioche ed il cappuccino, e di rubare gli spiccioli nei piattini dei ciechi.
Ackermann ha dimostrato invece di avere un cuore sensibile. Il 29 aprile del 2010 Ackermann fu insignito del premio Distinguished Leadership Award business dal Consiglio Atlantico, l'organo supremo della NATO; lo stesso premio che era stato già attribuito a due personcine a modo come George Bush padre ed Helmut Kohl. In quell'occasione il banchiere svizzero ha sciolto un emozionante inno di lode alla NATO, affermando che i principi fondanti di questa organizzazione sono la sua guida. Un vero matrimonio d'amore tra militarismo e finanza.[3]
I motivi di tanto amore derivano dal fatto che la NATO non è affatto un covo di generali, ma accoglie, incoraggia e foraggia i banchieri, li vezzeggia, li premia, li inquadra in cordate di affari, li organizza in truppe disciplinate del crimine finanziario. Le guerre della NATO sono davvero umanitarie, perché si sa che la guerra è la madre di tutti gli affari, perciò senza le guerre i poveri banchieri finirebbero per languire e morire.
I banchieri amano la NATO, perché la NATO ama i banchieri. Se si vuole farsene un'idea basta andare sul sito del Consiglio Atlantico, per scoprire che tra gli sponsor del Consiglio si trovano tutte le principali multinazionali, e non solo della finanza. Non mancano neppure Coca Cola e Google. I posti d'onore sono per Deutsche Bank, la solita Goldman Sachs ed anche JP Morgan.[4]
A JP Morgan la protezione della NATO ha aperto anche lo sfruttamento delle ricchezze minerarie dell'Afghanistan, in particolare dell'oro; uno sfruttamento che la multinazionale finanziaria statunitense sta conducendo avvalendosi della diretta collaborazione del Pentagono. La notizia è anche abbastanza fresca, dato che è stata lanciata appena l'11 maggio scorso da CNN Money; quindi tutte le chiacchiere sulla "exit strategy" della NATO dall'Afghanistan sono fumo mediatico. La NATO rimane, perché c'è l'oro afgano da regalare a JP Morgan. Se non è amore questo.[5]
Sarà proprio questo amore il motivo per il quale Alemanno si è già cristianamente rassegnato alla prospettiva di non riavere mai più quei tre miliardi e duecento milioni da JP Morgan.
[1] http://www.milanofinanza.it/news/dettaglio_news.asp?id=200805211205179789&chkAgenzie=TMFI
[2]
http://duepuntozero.alemanno.it/2011/02/22/stati-generali-della-citta-aurelio-regina.html
http://affaritaliani.libero.it/roma/aurelio_regina_grande_tessitore_di_roma_personaggio250510.html
[3] http://translate.google.it/translate?hl=it&langpair=en%7Cit&u=http://www.db.com/en/content/company/headlines_2091.htm
[4]
http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=http://www.acus.org/about/sponsors&ei=SQibToWwI4mhOu2KsYkK&sa=X&oi=translate&ct=result&resnum=2&ved=0CC4Q7gEwAQ&prev=/search%3Fq%3Dacus.org%2Bgoldman%2Bsachs%26hl%3Dit%26sa%3DG%26rlz%3D1W1ACAW_itIT338%26prmd%3Dimvns
[5] http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=http://management.fortune.cnn.com/2011/05/11/jp-morgan-hunt-afghan-gold/&ei=sq2dTpSeJsnq0gHK4-COCQ&sa=X&oi=translate&ct=result&resnum=1&ved=0CCUQ7gEwAA&prev=/search%3Fq%3Djp%2Bmorgan%2Bafghanistan%26hl%3Dit%26sa%3DG%26rlz%3D1W1ACAW_itIT338%26prmd%3Dimvns
Il 7 ottobre scorso vi è stata la ricorrenza dei dieci anni dell'intervento della NATO in Afghanistan, un'occasione per mettere in piedi uno dei consueti rituali propagandistici di finta autocritica che cercano di far credere che esista una coscienza inquieta dell'Occidente che si confronta con i propri errori e le proprie manchevolezze. Certo, se si valutano questi dieci anni in base agli scopi dichiarati dell'intervento, allora la missione può essere considerata un fallimento; ma se si considera l'Afghanistan in termini di modello coloniale, in effetti il successo non può essere negato. Se infatti l'Afghanistan non avesse prodotto qualche risultato dal punto di vista degli interessi coloniali delle multinazionali, non vi sarebbe stata nel marzo scorso l'aggressione della NATO alla Libia per cercare di imporre quel modello anche lì.
L'irriducibilità della resistenza afgana e l'elevato numero di perdite da parte della NATO costituiscono a propria volta un fatto, ma va anche considerato che la guerra "legale" in Afghanistan consente al Pentagono di attribuire al fronte afgano i caduti su tutti i fronti illegali in cui le truppe statunitensi sono impegnate, compresi l'Iraq, la Somalia ed il Pakistan. Attribuire poi alla resistenza afgana una capacità di controllo del territorio maggiore alla realtà, risulta molto utile per scaricare sui Talebani la responsabilità dell'aumento della produzione e del traffico di oppio, che invece è gestito direttamente dalla NATO. La responsabilità della NATO nella produzione e nel traffico d'oppio costituisce un dato così evidente, che alla fine le autorità russe si sono decise a rilevarlo, anche se ancora senza accuse troppo esplicite; forse perché vorrebbero partecipare anche loro all'affare.[1]
La "ricostruzione" dell'Afghanistan procede a misura dei business delle multinazionali, che invadono ormai ogni aspetto della vita economica e sociale. A gestire l'istruzione superiore in Afghanistan è arrivata Goldman Sachs, ovviamente su formale "invito" del governo Karzai, ed infatti la multinazionale del credito ha messo su a Kabul un'università privata laddove prima era allocato l'antico palazzo reale, accaparrandosi anche i terreni circostanti, con tanto di sfratto dagli edifici abitati. La costruzione di questa nuova università privata non costituisce per Goldman Sachs soltanto l'occasione di un gigantesco business immobiliare, ma anche la prospettiva di coltivare una classe dirigente locale a proprio uso e consumo in vista degli affari del futuro.[2]
Sempre sotto la diretta tutela della NATO, Goldman Sachs infatti conduce in Afghanistan anche un programma di istruzione per le donne abbienti, in modo da iniziarle ai segreti del management e della gestione aziendale; circostanza che conferma il ruolo pedagogico che la multinazionale finanziaria è chiamata ufficialmente a svolgere nell'ambito dell'occupazione militare. Ce lo rivela enfaticamente il sito della stessa NATO.[3]
Si trema al pensiero di ciò che Goldman Sachs potrà insegnare ai giovani ed alle donne afgane, ed un'idea ce la si può fare in base ai precedenti di questa multinazionale, le cui gesta leggendarie spiccano nelle bibbie del crimine finanziario. Immaginiamoci i volenterosi studenti afgani che ascoltano incantati il racconto di come Goldman Sachs negli scorsi anni si era fatta affidare dal governo libico l'amministrazione di un miliardo e trecento milioni di dollari, e di come questi soldi siano spariti senza lasciare tracce. Per la verità Goldman Sachs ha tenuto a precisare che di quei soldi è sparito solo il 98%, quindi rimarrebbe ben un 2% a riprova della sua buona fede.[4]
Pare che il governo libico fosse ugualmente un po' infuriato e, per rabbonirlo, Goldman Sachs aveva offerto alla Libia di diventare azionista della multinazionale. Poi però tanta generosità da parte di Goldman Sachs non è stata più necessaria, dato che dal febbraio scorso Gheddafi è finito nel mirino del mobbing della "comunità internazionale", cioè della NATO. Anzi, il congelamento dei beni libici a causa delle sanzioni "umanitarie" contro Gheddafi, consente oggi a Goldman Sachs di detenere nelle proprie casse altri seicentocinque milioni di dollari libici in aggiunta ai soldi già "spariti".
L'altra grande multinazionale finanziaria statunitense, la JP Morgan, si è dovuta accontentare invece di poco più di cinquecentotredici milioni, sempre sottratti alla Libia. Lanciare accuse contro uno "Stato canaglia" costituisce un espediente molto semplice ed efficace per derubarlo del suo denaro depositato in banche estere; perciò non c'è da sorprendersi se in questi giorni anche l'Iran si trova improvvisamente fatto oggetto di accuse di terrorismo ed attentati contro le ambasciate saudite ed israeliane a Washington.[5]
Dopo aver incamerato dall'amministrazione Obama vari miliardi di dollari di fondi TARP a salvataggio delle banche, Goldman Sachs ha potuto così giovarsi di questo ulteriore premio, forse in considerazione del fatto che aver derubato un regime dittatoriale come quello libico di oltre un miliardo di dollari deve considerarsi un atto molto democratico. Il governo statunitense ha prelevato per sé una parte dei fondi libici sequestrati, accampando motivi "umanitari", cioè per pagarsi l'aggressione militare alla Libia e le relative bombe umanitarie; ma comunque non un prelievo tale da disturbare le due banche.[6]
Il nuovo governo "democratico" appena insediato in Libia dalla NATO non ha sinora preteso che Goldman Sachs restituisse i soldi; forse perché la NATO non lo considererebbe una prova di maturità democratica.
[1]
http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=http://english.ruvr.ru/2010/12/08/36436890.html&ei=CiqTTuOGB8qhOu6sgcwN&sa=X&oi=translate&ct=result&resnum=6&ved=0CE0Q7gEwBQ&prev=/search%3Fq%3Dopium%2Bnato%2Bafghanistan%2Brussia%26hl%3Dit%26sa%3DG%26rlz%3D1W1ACAW_itIT338%26prmd%3Dimvns
[2]
http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=http://www.embassyofafghanistan.org/documents/AUAFFactSheet.pdf&ei=MBmTTob9MoKAOvrq6MsN&sa=X&oi=translate&ct=result&resnum=10&sqi=2&ved=0CHMQ7gEwCQ&prev=/search%3Fq%3Dgoldman%2Bsachs%2Bafghanistan%2Buniversity%26hl%3Dit%26rlz%3D1R2ACAW_it%26biw%3D960%26bih%3D507%26prmd%3Dimvns
[3]
http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=http://www.nato.int/cps/en/natolive/news_72069.htm&ei=3b-VTo-LEMSWOozNidcH&sa=X&oi=translate&ct=result&resnum=4&ved=0CDYQ7gEwAw&prev=/search%3Fq%3Dgoldman%2Bsachs%2Bnato%2Botan%26hl%3Dit%26sa%3DG%26rlz%3D1W1ACAW_itIT338%26prmd%3Dimvns
[4]
http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2011-05-31/goldman-libia-flirt-finito-155358.shtml?uuid=Aa9fG7bD
http://online.wsj.com/article/SB10001424052702304066504576347190532098376.html?mod=WSJEurope_hpp_MIDDLETopStories
http://translate.google.it/translate?hl=it&langpair=en%7Cit&u=http://www.guardian.co.uk/business/2011/may/31/goldman-sachs-libya-investment
[5]
http://www.agi.it/in-primo-piano/notizie/201110112056-ipp-rt10246-terrorismo_usa_sventato_attentato_iran_amb_saudita_e_israele
[6]
http://translate.google.it/translate?hl=it&langpair=en%7Cit&u=http://www.nypost.com/p/news/local/manhattan/mo_money_in_city_banks_uZuSUN6kXI3nzPeDztk00I
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