Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di fronte alla "rivolta della Chinatown milanese", il paragone maggiormente ricorrente fra gli opinionisti è stato quello con le analoghe "rivolte" che si svolgerebbero nei quartieri di Napoli quando la polizia cerca di effettuarvi un arresto. Se il paragone ha un fondamento, occorrerebbe dedurne che anche la rivolta "cino-milanese" costituisca una montatura, proprio come quelle che vengono segnalate a Napoli dagli organi di disinformazione.
Si tratta ormai di montature a costo zero, che non richiedono nemmeno più un dispendio di mezzi o l'impiego di agenti provocatori. Da anni infatti i titoli dei quotidiani parlano di rivolte ora a Forcella, ora a Scampia, ora a Secondigliano, senza che questi titoli corrispondano neppure lontanamente allo stesso contenuto dell'articolo. Mentre i titoli parlano di "rivolta", il testo degli articoli si limita a dire che i tutori dell'ordine sono stati accerchiati da una folla ostile, senza neppure precisare in cosa si sarebbe concretizzata tale ostilità.
L'ordine dei Giornalisti ammette tranquillamente la falsificazione dei titoli e la loro totale non corrispondenza al contenuto degli articoli. Negli ultimi mesi, ad ulteriore esempio, è invalso l'uso di far precedere la notizia di un reato dalla frase "uscito con l'indulto". Leggendo l'articolo poi veniamo a sapere invece che il presunto ladro o rapinatore era uscito dal carcere molto prima dell'indulto per avere scontato la sua pena.
L'opinione pubblica dimostra già una scarsa propensione a verificare la coerenza delle notizie, ma un richiamo razzistico è di solito in grado di travolgere ogni residuo di senso critico. Mettere insieme Cinesi e Meridionali è una tecnica semplice ed efficace perché l'ostilità verso gli uni alimenti automaticamente l'ostilità verso gli altri, e viceversa.
Lo scopo di queste montature poliziesco/giornalistiche è di solito molto immediato. Ormai molti dei Cinesi che sono in Italia sono regolarizzati o hanno addirittura la cittadinanza italiana, perciò il potere di ricatto delle Triadi cinesi nei loro confronti risulta diminuito. Per fare sentire a queste comunità di immigrati nuovamente il bisogno di protezione mafiosa, occorre accerchiarle, convincerle che è necessario farsi spremere di più per consentire ai mafiosi di corrompere a loro volta le autorità locali.
Ogni volta che il meccanismo della protezione mafiosa si allenta, la polizia si incarica di criminalizzare interi quartieri o intere comunità per ristabilire drasticamente questa dipendenza. Ciò significa più tangenti per i mafiosi e più tangenti per i poliziotti.
È evidente che oggi il business dell'emigrazione costituisce un affare tra mafie e servizi segreti, ed è altrettanto evidente che le mafie non sono altro che una propaggine degli stessi servizi segreti. Occorre uscire dallo schema per il quale i servizi segreti siano strumenti funzionali alla politica di potenza nazionale o imperiale dei vari Stati. I servizi segreti lavorano soprattutto per proprio conto e con proprie finalità. Molti esponenti dell'affarismo internazionale sono in effetti delle espressioni dei vari servizi segreti, e questo non da oggi: Onassis, ad esempio, era la facciata affaristica dei servizi segreti britannici. Altrettanto si può dire attualmente per molti magnati della comunicazione di massa, come Murdoch.
I servizi segreti sono spesso intrecciati tra loro, ma non è affatto detto che rappresentino una unità dal punto di vista degli interessi affaristici, e neppure che questo affarismo corrisponda sempre a strategie di ampio respiro. Il terrorismo, ad esempio, è un pretesto che può essere sfruttato in vari modi e da gruppi diversi.
L'esistenza del terrorismo può offrire ai servizi segreti l'alibi per coprire i loro traffici di armi, di droga o di migranti. Ma il terrorismo può costituire anche un business al dettaglio, per consentire a questo o quell'esponente politico di comprarsi popolarità.
L'invio di un pacco bomba o la scoperta che un certo nome sarebbe tra i bersagli dei terroristi, costituisce una vera onorificenza per molti uomini pubblici in difficoltà, che hanno bisogno di "ripulire" la propria immagine e ottenere per qualche giorno dai media la patente di eroi e di vittime dei cattivi. Per queste operazioni esiste probabilmente un vero e proprio tariffario, ed in questi giorni anche il presidente della Conferenza Episcopale, Bagnasco, deve avervi fatto ricorso, in modo da sottrarsi almeno per un po' alla gogna in cui i media ultimamente lo avevano costretto.
19 aprile 2007
In vista dell'inizio del processo che lo vede imputato in contumacia per l'uccisione di Nicola Calipari, l'ex soldato della Guardia Nazionale statunitense Mario Lozano ha rilasciato un'intervista al "New York Post", intervista nella quale sono riprodotti i consueti schemi narrativi della propaganda, così come li possiamo abitualmente riconoscere nei telefilm americani. Ingiustamente perseguitato per aver fatto solo il suo dovere in condizioni estreme, il povero Lozano è stato abbandonato dalla moglie, ha dovuto rinunciare a fare il poliziotto e magari beve per dimenticare. Lozano è la vittima sacrificale di una concezione astratta e burocratica della giustizia, che non tiene conto delle difficoltà concrete che si vivono in zona di guerra.
Il personaggio interpretato da Lozano nell'intervista ricalca quelli di solito interpretati da Erik Estrada, un personaggio che si basa sui consueti luoghi comuni razzistico/paternalistici dell'ispanico un po' deficiente, ma che, se inserito in un sistema, può svolgervi con buona volontà la sua parte. Per il telefilm che si produrrà sulla vicenda di Lozano, Erik Estrada non potrà essere utilizzato per raggiunti limiti di età, ma già c'è sicuramente pronto qualche attore dello stesso tipo, magari lo stesso Lozano, che forse non è neppure mai stato un soldato, ma semplicemente un attore. Nulla di più facile che Lozano non abbia mai nemmeno messo piede sul posto dove Calipari è stato ucciso.
Per accorgersi subito che il nome di Lozano era solo un'esca, i nostri magistrati avrebbero potuto considerare il modo in cui è venuto fuori questo nome nel 2005. Il suo nome si troverebbe in un rapporto scaricato dal sito della forza di occupazione statunitense in Iraq, un rapporto pieno di cancellature. Ciononostante però un esperto informatico sarebbe riuscito a ricostruirne il testo integrale. Certo, quelli che gestiscono il sito della forza di occupazione sembrano un po' troppo ingenui e pasticcioni, ma probabilmente ci verrà spiegato che anche loro sono degli ispanici.
Il processo che la magistratura italiana inizierà il 17 aprile contro Lozano si basa su accuse assolutamente generiche e fumose. Nell'accusa si parla di omicidio volontario, di dolo: ma allora con quale movente?
I magistrati non ne indicano nessuno, e compensano tale carenza con un uso disinvolto del termine "oggettivo". Giuliano Ferrara e gli altri americanofili di professione troveranno quindi la strada spianata per diffondere le loro consuete lamentele vittimistiche sull'ingratitudine nei confronti dei poveri americani. Certo, ci verrà fatto intendere che se al posto di Lozano ci fosse stato un anglosassone dai nervi d'acciaio, tutto questo non sarebbe accaduto, ma non si potrà rimproverare il governo statunitense per il fatto che concede generosamente anche alle razze inferiori di servire il proprio Paese.
Dopo aver permesso a Lozano la possibilità di interpretare a distanza la parte della vittima, il nostro tribunale probabilmente lo condannerà per un reato minore come l'omicidio colposo, forse concedendogli anche la condizionale.
Questi sarebbero gli eroici magistrati che riscuotono l'ammirazione ed il sostegno incondizionati di Marco Travaglio e degli altri cantori della pubblica moralità: dei magistrati che si lasciano abbindolare dal primo falso documento che gli viene sventolato davanti, e che si prestano a subire qualsiasi depistaggio come se si trattasse di un evento naturale a cui non ci si può sottrarre.
All'inizio degli anni '90, una parte in commedia di questo genere fu svolta dal magistrato Felice Casson, lo scopritore della "Gladio", il quale dopo mesi di indagini e di battibecchi con Cossiga, non fece altro che confermarci nei soliti luoghi comuni della propaganda ufficiale, e cioè che, nella loro ben nota paranoia antisovietica, gli americani avevano messo su un altro apparato di difesa dalle invasioni dall'Est, e si sa che quando gli apparati sono tanti, anche le "deviazioni" sono più possibili.
Anche nella ricostruzione della vicenda del sequestro di Abu Omar, la magistratura non è andata oltre questa consueta riconferma dei tanto pubblicizzati - quanto fasulli - motivi ideologici delle operazioni statunitensi: l'islamofobia oggi, così come l'anticomunismo ieri.
In tal modo i magistrati possono passare da eroi della legalità che non hanno timore di scontrarsi con il potere statunitense, senza peraltro mai mettere in evidenza gli effettivi moventi affaristico/criminali di questo potere.
12 aprile 2007
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