Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Il colonialismo
è una tecnica di dominio che si
riproduce con precise costanti nel corso della Storia. Queste prime
voci costituiscono l'avvio della stesura di un manuale a riguardo. Chi
fosse interessato, può anche fornire il suo contributo.
Comidad
7 - La democrazia dei lager
La rivolta dei KIKUYU (Mau Mau) del Kenya
Il
terrore è lo strumento fondamentale di affermazione del
dominio; terrorizzare gli individui è la pre-condizione per
poterli dominare. Accusare di terrorismo chi si oppone al dominio
è
una tecnica più recente per creare consenso e per
giustificare
l'aggressione del dominio. È quindi naturale che l'idea e
l'ideologia terroristica abbiano trovato il loro punto
d'applicazione, se non proprio la loro origine, nella pratica
coloniale.
Negli
anni '20, il Kenya era già stato occupato dagli Inglesi che
lo avevano sottomesso per proteggerlo dalle mire espansionistiche
degli altri stati colonialisti nell'area. Nel 1923 in Kenya c'erano
25.000 Indiani, 10.000 coloni inglesi e 2,5 milioni di indigeni. Gli
Inglesi dovettero prima occuparsi degli Indiani, che pretendevano di
partecipare alle elezioni, e poi anche delle prime associazioni di
Africani che cominciarono ad avanzare pretese simili.
In
realtà, la colonizzazione del Kenya, a differenza di altre
colonizzazioni inglesi, era stata una colonizzazione di popolamento,
per cui l'immigrazione conseguente aveva sottratto
progressivamente agli autoctoni le terre più fertili e
coltivabili, respingendoli nelle aree più aride e
inospitali,
riducendoli quindi in miseria. Quando agli inizi degli anni '50
scoppia la rivolta degli africani, il Kenya è un gioiello
della colonizzazione inglese, un vero paradiso per i coloni ed un
inferno per i Kikuyu, cacciati dalle loro terre, costretti a vivere
in riserve e ridotti a manodopera semi-schiavile per gli Inglesi. I
tentativi di rivendicazione pacifica dei Kikuyu – il gruppo
etnico
più numeroso - erano cominciati già nel 1921, con
la
fondazione dell' "Associazione dei giovani Kikuyu” fondata
dal
maestro Harry Thuku, e continuarono con molte altre iniziative e
organizzazioni, senza che il governo inglese desse il minimo cenno di
ascolto.
Quando
nel 1952 le associazioni dei Kikuyu aumentarono la pressione e si
scontrarono con i coloni, la reazione inglese fu durissima: senza
pensare neppure lontanamente ad un accordo, le autorità
inglesi bollarono immediatamente come "terroristi” i ribelli,
inviarono un massiccio rinforzo di truppe e cominciarono la "lotta
al terrorismo”, cominciarono cioè a
terrorizzare la
popolazione africana.
La lotta
dei Kikuyu fu sostanzialmente non cruenta; respinti dagli inglesi, si
rifugiarono nelle foreste vicine al monte Kenya. Al movimento dei
ribelli aderirono fra i 15 e i 20.000 Kikuyu; quasi tutti furono
uccisi nella lotta e alla fine del 1955 il movimento venne sconfitto.
La resistenza continuò nei campi di concentramento e,
sebbene
sconfitti, i ribelli costrinsero gli inglesi ad avviare un processo
di "decolonizzazione” . D'altro canto, il massacro dei civili
aveva assunto dimensioni da genocidio e le forme di detenzione
furono fra le più feroci; eppure, alla fine della guerra, il
governatore inglese giustificò così il massacro: "L'obiettivo
che ci siamo prefissati è di civilizzare
una grande massa di esseri umani che vessano in uno stato morale e
sociale primitivo”.
La
macchina del dominio, come spesso accade in questi casi, si mosse in
tre direzioni: una aggressione militare di crudeltà
inaudita,
la propaganda organizzata dall'informazione indipendente,
l'intossicazione delle poche fonti critiche con l'ausilio dei
servizi.
Propaganda
e servizi segreti
I
ribelli Kikuyu sono molto più noti col nome di Mau
Mau,
ma in realtà questo termine non è mai stato usato
dai
Kikuyu stessi e non esiste nella loro lingua. I ribelli chiamavano
generalmente se stessi "Esercito di liberazione della terra”,
mentre il termine Mau Mau fu inventato dai servizi segreti britannici
perché ritenuto più adatto ai ribelli, che
venivano
presentati come sette misteriose, legate a riti tribali e dedite al
cannibalismo. Il massacro dei ribelli era quindi ampiamente
giustificato. I servizi descrivevano i Mau Mau come potenti
terroristi, ma in un rapporto del 1954 leggiamo:
"Le
ultime settimane di novembre sono state le migliori sia in termini di
perdite inflitte ai Mau Mau sia per quanto riguarda le perdite avute,
le armi sequestrate, gli avversari che si sono arresi, e furti dei
Mau Mau si sono ridotti. In dicembre non ci sono state operazioni
importanti da ricordare. Le bande sembrano essersi ritirate nelle
foreste e una di queste è stata attaccata con successo a
un'altitudine di 10.000 piedi sulle brughiere del monte Kenya. Un
elicottero della RAF ha operato ad altezze che finora erano ritenute
impraticabili per quel tipo di mezzo. Dall'inizio dell'anno fino
al 30 novembre 4460 terroristi sono stati uccisi dalle Forze di
Sicurezza e 524 sono stati giustiziati in seguito a processo.”
Le
autorità inglesi scatenarono una massiccia propaganda per
giustificare la repressione feroce che stavano attuando, i massacri,
le deportazioni e i campi di concentramento che stavano organizzando.
Tutta la
stampa anglosassone diede il suo contributo all'intossicazione
informativa; l'atteggiamento del "rispettabile” New
York
Times ne è un esempio rappresentativo, visto che
ai suoi
lettori spiegava l'insurrezione keniota con "le frustrazioni
di un popolo di selvaggi (…) incapaci di adattarsi ai
progressi
della civiltà”. Terrorizzare i popoli
sottomessi era un
metodo ritenuto valido sin dall'inizio del colonialismo. Ad
esempio, Winston Churchill considerava indispensabile utilizzare i
gas tossici contro gli indigeni coloniali, perché
ciò "avrebbe seminato un grande terrore”.
Così, mentre
da un lato si organizzano i campi di concentramento, dall'altro
viene messo in piedi un potente impianto propagandistico volto a
giustificare lo stato d'eccezione; in Gran Bretagna viene costruita
l'immagine della ribellione dei Kikuyu come di un movimento di
"selvaggi”, secondo i più scontati canoni
razzistici;
viene diffusa l'idea di una guerra spietata condotta contro i
coloni bianchi, assediati da torme di neri assetati di sangue. Ma le
cifre da sole mostreranno l'entità della mistificazione:
dall'inizio dello stato d'emergenza fino alla sua conclusione nel
1959, sono 32 i settlers che perdono la vita – a fronte di
decine
di migliaia di combattenti africani, sia "lealisti” che Mau
Mau
uccisi in battaglia o nei campi di internamento, mentre le vittime
africane tra militanti e civili saranno di molto superiori a
centomila, forse centinaia di migliaia. Ma gli amministratori locali,
i missionari cattolici, i collaborazionisti e i servizi costruiscono
una macchina efficientissima che resiste alle critiche per molto
tempo. In realtà vi furono una serie di denunce che
però
caddero nel vuoto di fronte ai dinieghi del governo. Contro le
persone che denunciarono in modo già allora inequivocabile
l'orrore coloniale, come Eileen Fletcher ed Emily Hobhouse, si mise
in moto la criminalizzazione del dissenso, tipica delle democrazie,
operando sulla denigrazione e sul discredito: esse furono accusate di
avere un carattere malevolo, di aver prodotto resoconti superficiali
e pieni di errori grossolani, di essere in malafede e, naturalmente,
di essere isteriche. Le richieste di commissioni d'inchiesta sui
massacri e le torture furono negate e, di fronte alle prove
più
schiaccianti, vennero evocati i trionfi della "lotta al
terrorismo”; e, pur ammettendo un paio di "sfortunati
incidenti”
[come la reclusione e lo stupro di molte bambine] si aggiungeva
tuttavia "che vanno compresi alla luce degli straordinari
successi della riabilitazione di fronte all'inimmaginabile barbarie
Mau Mau”. La stessa deportazione che coinvolse un
numero molto
elevato di Africani verrà giustificata in modo
paternalistico:
i Kikuyu andavano riuniti per fronteggiare la piaga dei Mau Mau e
proteggerli da questi.
Che
simili schemi propagandistici abbiano funzionato, è
dimostrato
dal fatto che il libro di Caroline Elkins Britain's
Gulag
ha riscosso un così ampio successo pur essendo stato
pubblicato nel 2005. Persino in Italia, nei libri di testo delle
scuole elementari e medie degli anni '60, i Mau Mau venivano
presentati come esempio del tribalismo africano più
sanguinario ed aggressivo; il tutto condito con immagini di Mau Mau
dipinti in pose cannibalesche per impressionare la mente dei giovani
lettori. Ancora oggi è possibile trovare un numero
consistente
di pubblicazioni e siti che giustificano o minimizzano lo sterminio
britannico, e non sono siti nazisti… Sul sito Peace
Report
possiamo leggere: ”…i Mau Mau furono
dipinti come selvaggi e
terroristi da parte del governo britannico. Ma i militari inglesi non
si comportarono con minore ferocia.” E ancora "I
campi
vennero allestiti in risposta ai brutali omicidi dei coloni bianchi,
tra cui donne e bambini, da parte dei Mau Mau.”
Quindi, tutto
sommato, una risposta dura, ma proporzionata!
Nel
dicembre del 1959, il nuovo ministro delle colonie Ian Mac Leod
decreta la fine dello stato d'emergenza nel Kikuyuland e si avvia
il processo di decolonizzazione. Quando decideranno di andare via,
gli Inglesi staranno ben attenti a fare la pulizia necessaria: prima
di abbandonare la colonia, e con l'aiuto dei servizi segreti,
cancellano minuziosamente le tracce dei loro crimini: fanno sparire
rapporti e testimonianze; bonificano gli archivi del ministero degli
affari africani e di quello delle prigioni da gran parte dei
documenti riguardanti la "Pipeline”; impongono al governo
"indipendente” di Nairobi l'assoluto silenzio sulla lotta dei
ribelli Kikuyu che scompaiono dalla memoria storica ufficiale del
paese.
Gulag
Britannici
Lo stato
d'emergenza viene decretato il 21 ottobre del 1952. Da quel momento
il coprifuoco notturno, i controlli capillari, le detenzioni
arbitrarie, le sevizie indiscriminate sono imposte a tutti i
sospettati di appartenere al movimento dei Mau Mau o di fornire
appoggio logistico.
Vengono
progressivamente allestiti campi di detenzione - solo intorno a
Nairobi se ne contano una ventina - dove affluiscono migliaia di
individui tratti in arresto. Così se nei campi di detenzione
passano centinaia di migliaia di persone, la deportazione dei civili
kikuyu è molto più vasta. Secondo Caroline Elkins
quasi
un milione e mezzo di persone – ossia la totalità
della
popolazione kikuyu - viene mandato a vivere dietro un filo spinato o
negli emergency villages, i villaggi protetti,
ovvero delle
aree sprovviste di ogni mezzo di sostentamento e dalle quali era
possibile uscire solo una volta a settimana per procurarsi cibo. Un
immenso Panopticon a cielo aperto trova la sua realizzazione nella
colonia inglese. D'altro canto, le tecniche di controllo e
detenzione utilizzate nei campi non sono affatto improvvisate, ma
seguono delle procedure precise che ne consolidano l'efficacia.
-
Lo screening
(interrogatorio) è il primo passo
di questa procedura: i detenuti sospettati di appartenere ai Mau Mau
(tra cui anche donne e bambini) vengono condotti in questi centri dove
vengono interrogati, picchiati e torturati anche con l'elettrochoc, per
giorni interi. Appesi per ore a testa in giù ”finché
il sangue non usciva dagli occhi e dalle orecchie”,
immersi in vasche piene di disinfettante, privati di acqua e cibo,
brutalizzati e sodomizzati, bruciati, costretti a mangiare feci e bere
urina, castrati. Le donne vengono stuprate con oggetti, come bottiglie,
e serpenti.
-
Il secondo livello era quello della
selezione; ad ogni prigioniero viene assegnato un colore a seconda del
livello di pericolosità e del grado di affiliazione: il
bianco era riservato ai semplici fiancheggiatori, il grigio a quanti
erano considerati animati da un grado di militanza "medio”,
il nero ai militanti "irriducibili”.
-
Il terzo livello consiste nell'invio dei
detenuti in diversi campi di lavoro e di detenzione a seconda del
colore che era stato loro assegnato. "L'universo concentrazionario
britannico in Kenya è un labirinto ordinato, cui viene dato
il nome ufficiale di "Pipeline”
(conduttura), ma attraverso queste condutture rimane aperta la
possibilità di cambiare colore e quindi status”.
-
Se da un lato si profila la minaccia di
essere spediti, in caso di scarsa collaborazione, nel settore
"grigio” o peggio in quello "nero” – e
dai campi per i resistenti cosiddetti "hardcore” ben pochi
facevano ritorno – dall'altro si delinea la
possibilità di una redenzione.
-
La confessione, la denuncia e il tradimento
del vicino davano la possibilità di accedere ad un colore
più vicino alla salvezza. La completa emancipazione e
cambiamento di status si concretava nelle figure di ascari e
"lealisti”, veri e propri "kapò” neri
che sotto il comando dei bianchi si occupavano di controllare e
vessare, mettendo in atto da fedeli esecutori le più
disparate tecniche di tortura elaborate dagli strateghi delle Pipeline.
Due
considerazioni per concludere. Non bisogna dimenticare che gli otto
anni di stato d'emergenza in Kenya 1952/1959, sono gli anni che
seguono la fine del secondo conflitto mondiale, sono gli anni in cui
gli Alleati avevano da poco "scoperto" con indignazione l'orrore
dei lager nazisti.
D'altro
canto, l'elaborazione di queste tecniche di internamento, di
controllo fisico e mentale, non può non evidenziare la sua
stretta parentela con le tecniche della confessione e purificazione
del cristianesimo post-tridentino. Il corpo come espressione delle
bassezze umane e dell'animalità degli Africani deve essere
mortificato e diventare punto di applicazione di mutilazioni e
torture per far emergere la verità dell'affiliazione:
confessione, colpa, punizione, denuncia, mortificazione, redenzione,
salvezza, sono evidenti in queste pratiche, così come
è
evidente la metafora dei colori: bianco, grigio, nero / paradiso,
purgatorio, inferno. Il razzismo dell'uomo occidentale incontra la
procedura religiosa per produrre l'orrore coloniale.
Comidad (novembre 2007)
I "colloqui al vertice" avviati da Walter Veltroni hanno inaugurato l'ennesima "stagione delle riforme istituzionali". Tutto ciò va inquadrato nella situazione di subordinazione coloniale in cui l'Italia si trova.
È tipico del colonialismo camuffare le sue aggressioni mirate ad obiettivi affaristici come se fossero invece degli scontri di modelli politico-sociali o di civiltà, perciò ogni resistenza al colonialismo stesso viene etichettata come "antistorica", come un rifiuto del progresso e della modernizzazione. Ciò spesso può determinare nei popoli colonizzati una falsa coscienza, che sposta i termini della questione dalla difesa nei confronti dell'aggressione coloniale in sé, ad un'ansia di adeguamento ai modelli astratti con cui il colonizzatore giustifica la sua aggressione.
È quello che sta avvenendo oggi nel dibattito politico italiano. Un Paese espropriato del suo territorio da basi militari straniere che sono centri di contrabbando ed evasione fiscale, un Paese che non può più battere moneta e difendere le sue esportazioni, un Paese a cui viene impedito dalle multinazionali di avere una sua politica energetica ed una sua ricerca tecnologica, cosa fa?
Un Paese espropriato sposta la sua attenzione su riforme costituzionali, leggi elettorali e nuovi aggregati partitici, in modo da diventare sempre più simile ai modelli del Paese colonizzatore.
La falsa coscienza svolge anche un ruolo di "protezione" nei confronti di un'opinione pubblica che si sentirebbe smarrita di fronte alla gravità dei problemi. L'avventura afgana costituisce da questo punto di vista un esempio sconcertante: il governo italiano deve sostenere spese crescenti per far parte di una missione della NATO, il cui effetto è che l'Italia viene oggi inondata da eroina derivata dall'oppio di cui la NATO cura la coltivazione in Afghanistan, oppio che poi la stessa NATO smista in Europa grazie ai privilegi di extraterritorialità delle sue basi. Ogni Paese colonizzato deve infatti sostenere un prelievo fiscale sempre più oppressivo in modo da poter finanziare non servizi, ma imprese affaristiche che lucrano ai danni dello stesso Paese colonizzato.
Anche le ribellioni e le critiche al sistema di dominio sono condizionate dalla falsa coscienza, perciò alla fine risultano sempre drasticamente al di sotto della reale entità dei problemi. Ciò è stato evidente con il V-Day, i cui bersagli non erano la NATO e l'Unione Europea, ma i "politici".
Gran parte dell'opinione pubblica è davvero convinta che i nostri guai derivino dal fatto che l'Italia non sia ancora una "vera democrazia" come gli Stati Uniti, e quindi chiede ai nostri politici di adeguarsi a quel modello, il che è esattamente quello che i politici si sforzano di fare, omettendo però di avvertirci che il ceto politico statunitense non è affatto "vicino alla gente", ma è il più corrotto e privilegiato del mondo.
D'altro canto anche questi politici - che una volta venivano chiamati i "lacchè" del colonialismo - vivono una loro falsa coscienza, che li conduce ad imitare i modelli imposti dal colonialismo con un sincero entusiasmo e con un autentico senso di identificazione. Veltroni è davvero convinto di condurci ad una sorta di Terra Promessa, in cui spera di realizzare non l'interesse dei cittadini, ma la sua personale ambizione, che è quella di essere accolto finalmente alla corte dei dominatori come se fosse uno di loro. Ma Veltroni, e quelli come lui, si illudono, come già successe a suo tempo a Craxi.
La falsa coscienza dei lacchè del colonialismo consiste appunto nel sottovalutare il razzismo dei colonizzatori. Le oligarchie dominanti vivono infatti anch'esse una propria falsa coscienza, che consiste nel vedersi non come gruppi criminali e affaristici favoriti dalle circostanze, bensì come una vera razza eletta che avrebbe il diritto di dominare il mondo. Nella loro presunta élite esclusiva, non ammetterebbero mai esponenti di razze inferiori, neppure in funzione subordinata.
29 novembre 2007