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"Gli errori dei poveri sono sempre crimini, mentre i crimini dei ricchi sono al massimo 'contraddizioni'."

Comidad (2010)
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.

Di comidad (del 30/11/2007 @ 00:00:00, in Manuale del piccolo colonialista, linkato 1678 volte)

Il colonialismo è una tecnica di dominio che si riproduce con precise costanti nel corso della Storia. Queste prime voci costituiscono l'avvio della stesura di un manuale a riguardo. Chi fosse interessato, può anche fornire il suo contributo. Comidad


7 - La democrazia dei lager
La rivolta dei KIKUYU (Mau Mau) del Kenya

Il terrore è lo strumento fondamentale di affermazione del dominio; terrorizzare gli individui è la pre-condizione per poterli dominare. Accusare di terrorismo chi si oppone al dominio è una tecnica più recente per creare consenso e per giustificare l'aggressione del dominio. È quindi naturale che l'idea e l'ideologia terroristica abbiano trovato il loro punto d'applicazione, se non proprio la loro origine, nella pratica coloniale.

Negli anni '20, il Kenya era già stato occupato dagli Inglesi che lo avevano sottomesso per proteggerlo dalle mire espansionistiche degli altri stati colonialisti nell'area. Nel 1923 in Kenya c'erano 25.000 Indiani, 10.000 coloni inglesi e 2,5 milioni di indigeni. Gli Inglesi dovettero prima occuparsi degli Indiani, che pretendevano di partecipare alle elezioni, e poi anche delle prime associazioni di Africani che cominciarono ad avanzare pretese simili.

In realtà, la colonizzazione del Kenya, a differenza di altre colonizzazioni inglesi, era stata una colonizzazione di popolamento, per cui l'immigrazione conseguente aveva sottratto progressivamente agli autoctoni le terre più fertili e coltivabili, respingendoli nelle aree più aride e inospitali, riducendoli quindi in miseria. Quando agli inizi degli anni '50 scoppia la rivolta degli africani, il Kenya è un gioiello della colonizzazione inglese, un vero paradiso per i coloni ed un inferno per i Kikuyu, cacciati dalle loro terre, costretti a vivere in riserve e ridotti a manodopera semi-schiavile per gli Inglesi. I tentativi di rivendicazione pacifica dei Kikuyu – il gruppo etnico più numeroso - erano cominciati già nel 1921, con la fondazione dell' "Associazione dei giovani Kikuyu” fondata dal maestro Harry Thuku, e continuarono con molte altre iniziative e organizzazioni, senza che il governo inglese desse il minimo cenno di ascolto.

Quando nel 1952 le associazioni dei Kikuyu aumentarono la pressione e si scontrarono con i coloni, la reazione inglese fu durissima: senza pensare neppure lontanamente ad un accordo, le autorità inglesi bollarono immediatamente come "terroristi” i ribelli, inviarono un massiccio rinforzo di truppe e cominciarono la "lotta al terrorismo”, cominciarono cioè a terrorizzare la popolazione africana.

La lotta dei Kikuyu fu sostanzialmente non cruenta; respinti dagli inglesi, si rifugiarono nelle foreste vicine al monte Kenya. Al movimento dei ribelli aderirono fra i 15 e i 20.000 Kikuyu; quasi tutti furono uccisi nella lotta e alla fine del 1955 il movimento venne sconfitto. La resistenza continuò nei campi di concentramento e, sebbene sconfitti, i ribelli costrinsero gli inglesi ad avviare un processo di "decolonizzazione” . D'altro canto, il massacro dei civili aveva assunto dimensioni da genocidio e le forme di detenzione furono fra le più feroci; eppure, alla fine della guerra, il governatore inglese giustificò così il massacro: "L'obiettivo che ci siamo prefissati è di civilizzare una grande massa di esseri umani che vessano in uno stato morale e sociale primitivo”.

La macchina del dominio, come spesso accade in questi casi, si mosse in tre direzioni: una aggressione militare di crudeltà inaudita, la propaganda organizzata dall'informazione indipendente, l'intossicazione delle poche fonti critiche con l'ausilio dei servizi.


Propaganda e servizi segreti

I ribelli Kikuyu sono molto più noti col nome di Mau Mau, ma in realtà questo termine non è mai stato usato dai Kikuyu stessi e non esiste nella loro lingua. I ribelli chiamavano generalmente se stessi "Esercito di liberazione della terra”, mentre il termine Mau Mau fu inventato dai servizi segreti britannici perché ritenuto più adatto ai ribelli, che venivano presentati come sette misteriose, legate a riti tribali e dedite al cannibalismo. Il massacro dei ribelli era quindi ampiamente giustificato. I servizi descrivevano i Mau Mau come potenti terroristi, ma in un rapporto del 1954 leggiamo:

"Le ultime settimane di novembre sono state le migliori sia in termini di perdite inflitte ai Mau Mau sia per quanto riguarda le perdite avute, le armi sequestrate, gli avversari che si sono arresi, e furti dei Mau Mau si sono ridotti. In dicembre non ci sono state operazioni importanti da ricordare. Le bande sembrano essersi ritirate nelle foreste e una di queste è stata attaccata con successo a un'altitudine di 10.000 piedi sulle brughiere del monte Kenya. Un elicottero della RAF ha operato ad altezze che finora erano ritenute impraticabili per quel tipo di mezzo. Dall'inizio dell'anno fino al 30 novembre 4460 terroristi sono stati uccisi dalle Forze di Sicurezza e 524 sono stati giustiziati in seguito a processo.”

Le autorità inglesi scatenarono una massiccia propaganda per giustificare la repressione feroce che stavano attuando, i massacri, le deportazioni e i campi di concentramento che stavano organizzando.

Tutta la stampa anglosassone diede il suo contributo all'intossicazione informativa; l'atteggiamento del "rispettabile” New York Times ne è un esempio rappresentativo, visto che ai suoi lettori spiegava l'insurrezione keniota con "le frustrazioni di un popolo di selvaggi (…) incapaci di adattarsi ai progressi della civiltà”. Terrorizzare i popoli sottomessi era un metodo ritenuto valido sin dall'inizio del colonialismo. Ad esempio, Winston Churchill considerava indispensabile utilizzare i gas tossici contro gli indigeni coloniali, perché ciò "avrebbe seminato un grande terrore”. Così, mentre da un lato si organizzano i campi di concentramento, dall'altro viene messo in piedi un potente impianto propagandistico volto a giustificare lo stato d'eccezione; in Gran Bretagna viene costruita l'immagine della ribellione dei Kikuyu come di un movimento di "selvaggi”, secondo i più scontati canoni razzistici; viene diffusa l'idea di una guerra spietata condotta contro i coloni bianchi, assediati da torme di neri assetati di sangue. Ma le cifre da sole mostreranno l'entità della mistificazione: dall'inizio dello stato d'emergenza fino alla sua conclusione nel 1959, sono 32 i settlers che perdono la vita – a fronte di decine di migliaia di combattenti africani, sia "lealisti” che Mau Mau uccisi in battaglia o nei campi di internamento, mentre le vittime africane tra militanti e civili saranno di molto superiori a centomila, forse centinaia di migliaia. Ma gli amministratori locali, i missionari cattolici, i collaborazionisti e i servizi costruiscono una macchina efficientissima che resiste alle critiche per molto tempo. In realtà vi furono una serie di denunce che però caddero nel vuoto di fronte ai dinieghi del governo. Contro le persone che denunciarono in modo già allora inequivocabile l'orrore coloniale, come Eileen Fletcher ed Emily Hobhouse, si mise in moto la criminalizzazione del dissenso, tipica delle democrazie, operando sulla denigrazione e sul discredito: esse furono accusate di avere un carattere malevolo, di aver prodotto resoconti superficiali e pieni di errori grossolani, di essere in malafede e, naturalmente, di essere isteriche. Le richieste di commissioni d'inchiesta sui massacri e le torture furono negate e, di fronte alle prove più schiaccianti, vennero evocati i trionfi della "lotta al terrorismo”; e, pur ammettendo un paio di "sfortunati incidenti” [come la reclusione e lo stupro di molte bambine] si aggiungeva tuttavia "che vanno compresi alla luce degli straordinari successi della riabilitazione di fronte all'inimmaginabile barbarie Mau Mau”. La stessa deportazione che coinvolse un numero molto elevato di Africani verrà giustificata in modo paternalistico: i Kikuyu andavano riuniti per fronteggiare la piaga dei Mau Mau e proteggerli da questi.

Che simili schemi propagandistici abbiano funzionato, è dimostrato dal fatto che il libro di Caroline Elkins Britain's Gulag ha riscosso un così ampio successo pur essendo stato pubblicato nel 2005. Persino in Italia, nei libri di testo delle scuole elementari e medie degli anni '60, i Mau Mau venivano presentati come esempio del tribalismo africano più sanguinario ed aggressivo; il tutto condito con immagini di Mau Mau dipinti in pose cannibalesche per impressionare la mente dei giovani lettori. Ancora oggi è possibile trovare un numero consistente di pubblicazioni e siti che giustificano o minimizzano lo sterminio britannico, e non sono siti nazisti… Sul sito Peace Report possiamo leggere: ”…i Mau Mau furono dipinti come selvaggi e terroristi da parte del governo britannico. Ma i militari inglesi non si comportarono con minore ferocia.” E ancora "I campi vennero allestiti in risposta ai brutali omicidi dei coloni bianchi, tra cui donne e bambini, da parte dei Mau Mau.” Quindi, tutto sommato, una risposta dura, ma proporzionata!

Nel dicembre del 1959, il nuovo ministro delle colonie Ian Mac Leod decreta la fine dello stato d'emergenza nel Kikuyuland e si avvia il processo di decolonizzazione. Quando decideranno di andare via, gli Inglesi staranno ben attenti a fare la pulizia necessaria: prima di abbandonare la colonia, e con l'aiuto dei servizi segreti, cancellano minuziosamente le tracce dei loro crimini: fanno sparire rapporti e testimonianze; bonificano gli archivi del ministero degli affari africani e di quello delle prigioni da gran parte dei documenti riguardanti la "Pipeline”; impongono al governo "indipendente” di Nairobi l'assoluto silenzio sulla lotta dei ribelli Kikuyu che scompaiono dalla memoria storica ufficiale del paese.


Gulag Britannici

Lo stato d'emergenza viene decretato il 21 ottobre del 1952. Da quel momento il coprifuoco notturno, i controlli capillari, le detenzioni arbitrarie, le sevizie indiscriminate sono imposte a tutti i sospettati di appartenere al movimento dei Mau Mau o di fornire appoggio logistico.

Vengono progressivamente allestiti campi di detenzione - solo intorno a Nairobi se ne contano una ventina - dove affluiscono migliaia di individui tratti in arresto. Così se nei campi di detenzione passano centinaia di migliaia di persone, la deportazione dei civili kikuyu è molto più vasta. Secondo Caroline Elkins quasi un milione e mezzo di persone – ossia la totalità della popolazione kikuyu - viene mandato a vivere dietro un filo spinato o negli emergency villages, i villaggi protetti, ovvero delle aree sprovviste di ogni mezzo di sostentamento e dalle quali era possibile uscire solo una volta a settimana per procurarsi cibo. Un immenso Panopticon a cielo aperto trova la sua realizzazione nella colonia inglese. D'altro canto, le tecniche di controllo e detenzione utilizzate nei campi non sono affatto improvvisate, ma seguono delle procedure precise che ne consolidano l'efficacia.

  • Lo screening (interrogatorio) è il primo passo di questa procedura: i detenuti sospettati di appartenere ai Mau Mau (tra cui anche donne e bambini) vengono condotti in questi centri dove vengono interrogati, picchiati e torturati anche con l'elettrochoc, per giorni interi. Appesi per ore a testa in giù ”finché il sangue non usciva dagli occhi e dalle orecchie”, immersi in vasche piene di disinfettante, privati di acqua e cibo, brutalizzati e sodomizzati, bruciati, costretti a mangiare feci e bere urina, castrati. Le donne vengono stuprate con oggetti, come bottiglie, e serpenti.
  • Il secondo livello era quello della selezione; ad ogni prigioniero viene assegnato un colore a seconda del livello di pericolosità e del grado di affiliazione: il bianco era riservato ai semplici fiancheggiatori, il grigio a quanti erano considerati animati da un grado di militanza "medio”, il nero ai militanti "irriducibili”.
  • Il terzo livello consiste nell'invio dei detenuti in diversi campi di lavoro e di detenzione a seconda del colore che era stato loro assegnato. "L'universo concentrazionario britannico in Kenya è un labirinto ordinato, cui viene dato il nome ufficiale di "Pipeline” (conduttura), ma attraverso queste condutture rimane aperta la possibilità di cambiare colore e quindi status”.
  • Se da un lato si profila la minaccia di essere spediti, in caso di scarsa collaborazione, nel settore "grigio” o peggio in quello "nero” – e dai campi per i resistenti cosiddetti "hardcore” ben pochi facevano ritorno – dall'altro si delinea la possibilità di una redenzione.
  • La confessione, la denuncia e il tradimento del vicino davano la possibilità di accedere ad un colore più vicino alla salvezza. La completa emancipazione e cambiamento di status si concretava nelle figure di ascari e "lealisti”, veri e propri "kapò” neri che sotto il comando dei bianchi si occupavano di controllare e vessare, mettendo in atto da fedeli esecutori le più disparate tecniche di tortura elaborate dagli strateghi delle Pipeline.

Due considerazioni per concludere. Non bisogna dimenticare che gli otto anni di stato d'emergenza in Kenya 1952/1959, sono gli anni che seguono la fine del secondo conflitto mondiale, sono gli anni in cui gli Alleati avevano da poco "scoperto" con indignazione l'orrore dei lager nazisti.

D'altro canto, l'elaborazione di queste tecniche di internamento, di controllo fisico e mentale, non può non evidenziare la sua stretta parentela con le tecniche della confessione e purificazione del cristianesimo post-tridentino. Il corpo come espressione delle bassezze umane e dell'animalità degli Africani deve essere mortificato e diventare punto di applicazione di mutilazioni e torture per far emergere la verità dell'affiliazione: confessione, colpa, punizione, denuncia, mortificazione, redenzione, salvezza, sono evidenti in queste pratiche, così come è evidente la metafora dei colori: bianco, grigio, nero / paradiso, purgatorio, inferno. Il razzismo dell'uomo occidentale incontra la procedura religiosa per produrre l'orrore coloniale.


Comidad (novembre 2007)

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Di comidad (del 29/11/2007 @ 22:15:03, in Commentario 2007, linkato 1313 volte)
I "colloqui al vertice" avviati da Walter Veltroni hanno inaugurato l'ennesima "stagione delle riforme istituzionali". Tutto ciò va inquadrato nella situazione di subordinazione coloniale in cui l'Italia si trova.
È tipico del colonialismo camuffare le sue aggressioni mirate ad obiettivi affaristici come se fossero invece degli scontri di modelli politico-sociali o di civiltà, perciò ogni resistenza al colonialismo stesso viene etichettata come "antistorica", come un rifiuto del progresso e della modernizzazione. Ciò spesso può determinare nei popoli colonizzati una falsa coscienza, che sposta i termini della questione dalla difesa nei confronti dell'aggressione coloniale in sé, ad un'ansia di adeguamento ai modelli astratti con cui il colonizzatore giustifica la sua aggressione.
È quello che sta avvenendo oggi nel dibattito politico italiano. Un Paese espropriato del suo territorio da basi militari straniere che sono centri di contrabbando ed evasione fiscale, un Paese che non può più battere moneta e difendere le sue esportazioni, un Paese a cui viene impedito dalle multinazionali di avere una sua politica energetica ed una sua ricerca tecnologica, cosa fa?
Un Paese espropriato sposta la sua attenzione su riforme costituzionali, leggi elettorali e nuovi aggregati partitici, in modo da diventare sempre più simile ai modelli del Paese colonizzatore.
La falsa coscienza svolge anche un ruolo di "protezione" nei confronti di un'opinione pubblica che si sentirebbe smarrita di fronte alla gravità dei problemi. L'avventura afgana costituisce da questo punto di vista un esempio sconcertante: il governo italiano deve sostenere spese crescenti per far parte di una missione della NATO, il cui effetto è che l'Italia viene oggi inondata da eroina derivata dall'oppio di cui la NATO cura la coltivazione in Afghanistan, oppio che poi la stessa NATO smista in Europa grazie ai privilegi di extraterritorialità delle sue basi. Ogni Paese colonizzato deve infatti sostenere un prelievo fiscale sempre più oppressivo in modo da poter finanziare non servizi, ma imprese affaristiche che lucrano ai danni dello stesso Paese colonizzato.
Anche le ribellioni e le critiche al sistema di dominio sono condizionate dalla falsa coscienza, perciò alla fine risultano sempre drasticamente al di sotto della reale entità dei problemi. Ciò è stato evidente con il V-Day, i cui bersagli non erano la NATO e l'Unione Europea, ma i "politici".
Gran parte dell'opinione pubblica è davvero convinta che i nostri guai derivino dal fatto che l'Italia non sia ancora una "vera democrazia" come gli Stati Uniti, e quindi chiede ai nostri politici di adeguarsi a quel modello, il che è esattamente quello che i politici si sforzano di fare, omettendo però di avvertirci che il ceto politico statunitense non è affatto "vicino alla gente", ma è il più corrotto e privilegiato del mondo.
D'altro canto anche questi politici - che una volta venivano chiamati i "lacchè" del colonialismo - vivono una loro falsa coscienza, che li conduce ad imitare i modelli imposti dal colonialismo con un sincero entusiasmo e con un autentico senso di identificazione. Veltroni è davvero convinto di condurci ad una sorta di Terra Promessa, in cui spera di realizzare non l'interesse dei cittadini, ma la sua personale ambizione, che è quella di essere accolto finalmente alla corte dei dominatori come se fosse uno di loro. Ma Veltroni, e quelli come lui, si illudono, come già successe a suo tempo a Craxi.
La falsa coscienza dei lacchè del colonialismo consiste appunto nel sottovalutare il razzismo dei colonizzatori. Le oligarchie dominanti vivono infatti anch'esse una propria falsa coscienza, che consiste nel vedersi non come gruppi criminali e affaristici favoriti dalle circostanze, bensì come una vera razza eletta che avrebbe il diritto di dominare il mondo. Nella loro presunta élite esclusiva, non ammetterebbero mai esponenti di razze inferiori, neppure in funzione subordinata.
29 novembre 2007
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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