Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La provocazione del governo colombiano contro Rifondazione Comunista, accusata di aver collaborato con la formazione della resistenza in Colombia denominata FARC (Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane), è stata lanciata in Italia attraverso un articolo su “La Repubblica” di un certo Omero Ciai, uno che, a quanto pare, aveva il suo datore di lavoro destinato già dal cognome. Questa provocazione coglie RC in una condizione di debolezza, per aver attuato la sua lodevole solidarietà internazionalistica nell’ambito di troppe ambiguità comunicative.
Ci si poteva adoperare per la liberazione di Ingrid Betancourt - che il governo colombiano pretende essere avvenuta per un blitz, ma in realtà in seguito al pagamento di un riscatto -, ed anche esprimere soddisfazione per il fatto che una mamma potesse riabbracciare i suoi figli, senza per questo mettere in ombra il ruolo della stessa Betancourt come istigatrice alla violenza, dato che accusava il governo colombiano di debolezza verso le FARC per aver attenuato la sua pratica di genocidio nei territori controllati dalla guerriglia.
Il delirante protagonismo guerrafondaio della Betancourt la rendeva inoltre la candidata ideale per qualche operazione di provocazione della CIA, un assassinio da attribuire alla guerriglia; in una situazione di guerra civile, le FARC - che peraltro non hanno mai imitato il governo colombiano nella sua sistematica attività di tortura e sterminio - possono comunque aver ritenuto che sequestrare la Betancourt per ottenerne qualcosa in cambio, potesse costituire un modo di minimizzare i danni.
Che le FARC siano indicate come “organizzazione terroristica” dall’ONU e dalla UE, è indicativo solo dell’asservimento dell’ONU e della UE agli interessi statunitensi, e non della effettiva natura delle FARC, che, nonostante il reboante suono militaresco del nome, costituiscono un’organizzazione politica di opposizione che cerca il contatto e il dialogo con la popolazione e ne riceve il sostegno, e ricorre alla guerriglia solo per ciò che è necessario per rispondere all’aggressione colonialistica.
In base alla “Ragion di Stato”, anche leader anticolonialisti come Castro e Chavez, hanno preso le distanze dal “sequestro” della Betancourt, e la stessa ragion di Stato ha finito per infilare Rifondazione Comunista nello stesso vicolo cieco.
Il governo colombiano risulta essere il più finanziato dagli Stati Uniti, e Noam Chomsky ha rilevato che c’è una diretta corrispondenza tra l’entità di questi finanziamenti statunitensi ai governi e la estensione della pratica della tortura da parte di questi stessi governi. In Colombia è impossibile una opposizione legale, dato che ad ogni vigilia pre-elettorale si verificano arresti o sparizioni di sindacalisti e uomini politici invisi al governo. Questa è la situazione reale in cui agiscono le FARC, e giornalisti “liberi e indipendenti” come la Betancourt servono a svolgere sul campo una doppia attività: raccolta di informazioni utili a reprimere la guerriglia e, contemporaneamente, diffusione di false notizie ai media per accreditare la tesi di una guerriglia al servizio dei narcotrafficanti; soggetti come la Betancourt vengono inoltre ritenuti, dai servizi segreti per cui lavorano, particolarmente idonei ad essere sacrificati per operazioni di propaganda.
L’ONU, che ha accettato di indicare le FARC come organizzazione terroristica, è la stessa organizzazione che in documenti di alcune sue agenzie ha dovuto rilevare il diretto coinvolgimento del governo colombiano nel narcotraffico. Che poi le FARC si finanzino tassando a loro volta il narcotraffico, è l’effetto del rilievo che la coltivazione della coca ha nell’economia agricola colombiana. Una situazione analoga si verifica in Afghanistan, dove la produzione e il traffico dell’oppio sono direttamente gestiti dalla NATO e dal governo “filo-occidentale”, mentre la resistenza si finanzia imponendo tributi in alcuni svincoli del percorso del business imposto dai colonizzatori.
Il problema è che il parlamentarismo impone ad una forza di opposizione dapprima di girare attorno alla verità, poi di escluderla del tutto. L’anticolonialismo viene così annacquato in terzomondismo, cioè in un concetto vago che fa perdere di vista le affinità tra il cosiddetto terzo mondo ed il sedicente Occidente. La Colombia è divenuta uno stato iper-militarizzato e terroristico per essersi adattato al mito del capitalismo, che prevede che il compito del governo sia solo quello di favorire gli investimenti privati.
Ad un governo perciò si impone di tenere bassi i salari, di evitare ogni forma di assistenza sociale, di mantenere alta la disoccupazione; tutto questo per aumentare al massimo la produttività del lavoro, poiché i lavoratori dovranno lavorare il più possibile sia per tenersi il posto che per guadagnare quel tanto che gli consenta di sopravvivere. Realizzata questa prima parte del mito, si aspetta che si avveri la seconda, ma sta di fatto che i tanto attesi investimenti privati non arrivano, anzi le misure di “apertura agli investimenti” creano solo depressione economica.
Anche le potentissime multinazionali devono infatti attendere che siano i propri governi a finanziare le loro esportazioni e i loro investimenti all’estero. Questi finanziamenti governativi alle imprese private sono quelli che vengono denominati ipocritamente come prestiti o, con sfacciata malafede, “aiuti allo sviluppo”; con questi “aiuti” i Paesi colonizzati comprano a credito merci, impianti o armi dalle aziende private legate al governo che ha concesso il prestito. L’aspetto più paradossale è quindi che una Benetton o una Nike non vanno a investire direttamente nei Paesi in cui collocano le proprie produzioni, ma sono gli stessi Paesi colonizzati a doversi indebitare per fare entrare queste aziende sul territorio nazionale.
Il capitalismo mitico si fonda sull’iniziativa privata, mentre il capitalismo reale è sempre mediato dai governi o da istituzioni di supporto al colonialismo, come le Banche Mondiali o i Fondi Monetari Internazionali. Il ministro della difesa Statunitense Mc Namara fu trombato dal presidente Johnson per aver sbagliato del cento per cento il preventivo del bilancio della difesa (ventiquattro miliardi di dollari di spesa contro i dodici previsti), ma, viste le sue doti di amministratore, fu immediatamente spostato a dirigere la Banca Mondiale per esportare il vangelo capitalistico nei Paesi poveri.
Il capitalismo non è quindi soltanto un fenomeno economico, ma è una pratica di aggressione a tutto campo, che produce un’ideologia funzionale a questa aggressione. Proprio in questi giorni, papa Ratzinger ha ricevuto a Castelgandolfo Ingrid Betancourt, ciò per dimostrare per l’ennesima volta la sua sudditanza nei confronti del colonialismo statunitense, che prevede che le sofferenze di una apologeta della violenza coloniale, e non quelle delle vittime del colonialismo, costituiscano la vera tragedia della nostra epoca.
Sempre a proposito di Ratzinger, molti si chiedono da dove abbia tirata fuori questa storia della condanna del relativismo. La risposta è sin troppo ovvia: dalla propaganda delle Amministrazioni statunitensi. La condanna del relativismo culturale fu pronunciata infatti per la prima volta dal Segretario di Stato americano Warren Cristopher nel 1993 alla Conferenza Internazionale di Vienna sui Diritti Umani. La tesi di Cristopher era che i governi occidentali non si dovessero far frenare nei loro interventi “militar-umanitari” da considerazioni di rispetto delle specifiche tradizioni culturali locali. Le stesse cose Ratzinger le ha ripetute anche nel suo ultimo discorso all’ONU, aggiungendo che il Diritto internazionale non deve ostacolare i bombardamenti umanitari.
Questo è quindi lo scenario reale con cui ci si deve confrontare: un’aggressione affaristico-militare a livello planetario, sostenuta da una ferrea ideologia, che ha ormai fagocitato anche istituzioni tradizionali come la Chiesa cattolica; un’aggressione coloniale che investe non solo Paesi come la Colombia, ma anche Paesi “occidentali” come l’Italia.
4 settembre 2008
La guerra in Georgia ha costituito un indiretto insuccesso militare degli Stati Uniti, che è stato interpretato da alcuni come un segno significativo del declino americano, cosa che, sempre secondo alcuni, potrebbe favorire uno sganciamento dell’Europa dal dominio USA.
Non c’è dubbio che la vittoria russa in Georgia abbia incontrato una malcelata simpatia nei gruppi dirigenti europei, stanchi dei soprusi statunitensi ed ansiosi di ritrovare un margine di manovra tramite il contrappeso russo. Il problema è però che il dominio americano non rappresenta un semplice riflesso della potenza militare ed economica degli USA. Anzi, sin dal 1946 - anno di inizio di ciò che è impropriamente definito “impero americano”- le difficoltà incontrate dagli Stati Uniti per realizzare i propri progetti di dominio globale sono risultate sempre più evidenti.
La storia militare statunitense di questi ultimi sessanta anni è, infatti, più una storia di insuccessi militari che di vittorie. Già prima delle sconfitte nella guerra di Corea, i marines americani diedero prove disastrose sul terreno quando accorsero in appoggio di Chiang Kai-shek nella guerra civile cinese, che vide poi la vittoria dei comunisti di Mao Tse Tung.
Fu nella guerra di Corea che il comandante in capo delle forze USA e ONU, Mc Arthur, inventò la formula propagandistica per la quale gli eroici soldati statunitensi venivano defraudati della vittoria dai loro pavidi dirigenti politici, timorosi di vincere davvero la guerra.
Questo tipo di propaganda vittimistica fu utilizzato poi massicciamente durante la guerra del Vietnam e negli anni successivi a quella guerra. Il vittimismo militare americano costituì infatti l’oggetto di famosi film come “Apocalypse Now”, in cui un pelato Marlon Brando pronunciava un monologo in cui attribuiva la sconfitta in Vietnam all’incapacità americana di emulare i Vietnamiti in fatto di crudeltà, e si richiamava ad un episodio in cui i Vietcong avrebbero tagliato un braccio a dei bambini loro connazionali, colpevoli di essersi lasciati vaccinare dai soccorrevoli soldati americani; questo episodio di crudeltà dei Vietcong non ha nessun riscontro in nessuna delle cronache dell’epoca, perciò costituisce una pura invenzione, anche se, grazie all’impatto del film, ha assunto la consistenza di un fatto realmente accaduto.
Gli Stati Uniti hanno quindi costruito una propaganda che aveva il preciso scopo di dissimulare i limiti della loro potenza militare, attribuendo le sconfitte ad un eccesso di scrupoli morali. Tutto il dibattito imposto dalla propaganda americana è sempre infarcito di dilemmi morali, dilemmi tanto più fasulli dal momento che sono dei criminali in servizio permanente effettivo a proporli. Del resto non si capisce quali scrupoli morali oggi si stiano facendo le truppe ed i mercenari statunitensi in Iraq ed in Afghanistan.
Il dominio statunitense non è quindi legato esclusivamente o principalmente alla potenza militare, ma soprattutto all’alleanza organica con i reazionari di tutto il mondo. In Europa la reazione ha sognato l’America sin dagli inizi del ‘900 e, dalle pagine del “Mein Kampf”, si apprende che Hitler non faceva eccezione. La propaganda statunitense inventa ogni giorno un “nuovo Hitler”, però quello originale era un filo-americano.
Nel 1946 le oligarchie europee sono diventate “americane” non per il timore di un’Unione Sovietica prostrata dalla guerra, ma per timore dei loro operai. Un avvenimento del 1946 di cui pochi storici si sono occupati - ad esempio: Joyce e Gabriel Kolko - riguarda l’esperienza dei consigli operai nella Germania Est. Questa parte della Germania era stata da sempre la meno industrializzata e, nello stesso periodo, la Germania Ovest deteneva l’ottanta per cento dei suoi impianti industriali ancora intatti, poiché in gran parte di proprietà di multinazionali americane, e infatti i bombardamenti USA si erano concentrati soprattutto sulle abitazioni civili e sulle città d’arte come Dresda.
Nonostante questa inferiorità in fatto di impianti industriali, la Germania Est superò nel corso del 1946 la produzione dell’Ovest, dimostrando che i consigli operai costituivano un’alternativa non solo in termini di giustizia, ma anche di efficienza. Per un certo periodo, Stalin non si oppose all’esperienza dei consigli a causa dell’impellente bisogno di prodotti industriali da parte della Russia. Quando gli operai di Berlino Est nel 1953 tentarono di riproporre quell’esperienza, la risposta del potere fu invece una brutale repressione.
L’esperienza dei consigli operai è stata screditata anche a causa dell’apologetica dei consiliaristi e dei situazionisti, che li hanno proposti come un improbabile modello di potere assoluto; in realtà la loro validità si dimostrò proprio nel determinare una spinta sociale a cambiamenti molto più vasti e profondi, cosa che determinò il terrore nelle oligarchie europee, che si dimostrarono pronte ad inchinarsi agli USA purché li difendessero da questa prospettiva.
Il piano Marshall è presentato nei libri di storia come una grande prova di generosità americana, mentre in realtà costituì un finanziamento governativo alle esportazioni statunitensi; ma la cosa più rilevante è che esso fu accompagnato dalla imposizione di una serie di stretti vincoli alla spesa pubblica dei Paesi europei che determinarono una terribile depressione e una disoccupazione di massa. Con il piano Marshall arrivarono in Europa anche le basi militari americane e, nel 1949, la NATO. Le basi americane e NATO per le oligarchie europee sono come tanti baluardi antioperai sparsi sul territorio, veri e propri templi dell’antioperaismo.
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