Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La firma dell’accordo con il governo per il nuovo modello contrattuale da parte di CISL e UIL, è stata salutata con toni trionfalistici, in quanto rappresenterebbe la fine del potere di veto della CGIL. In realtà il potere di veto della CGIL, ammesso che sia mai esistito, era già finito negli anni ’80, all’epoca del governo Craxi, con il taglio della scala mobile, che ebbe l’approvazione delle sole CISL e UIL. Con il secondo governo Berlusconi vi fu il cosiddetto “Patto per l’Italia”, anche questo con CISL e UIL e senza la CGIL. Da questo punto di vista non ci sono vere novità, semmai era inusitato che un segretario generale della UIL potesse celebrare una divisione tra organizzazioni sindacali come l’alba di una nuova e luminosa era.
Toni di così sfrenato compiacimento per l’emarginazione della CGIL non si erano usati neppure negli anni più aspri della guerra fredda, quando CISL e UIL indicavano, seppure con affettazione e ipocrisia, la divisione sindacale come un doloroso stato di necessità.
La differenza con allora è che l’Unione Sovietica rappresentava sì una minaccia esagerata e strumentalizzata, ma costituiva comunque un avversario di una certa consistenza, con cui fare i conti, e che certo non si poteva controllare esclusivamente in base ai tempi ed alle scadenze della propaganda ufficiale. Il nemico attuale, il terrorismo, è invece una costruzione giudiziario-mediatica puramente fittizia, rispetto alla quale la propaganda ufficiale non deve subire nessun adattamento dettato da effettivi rapporti di forza.
Non è un caso che all’accordo sul nuovo modello contrattuale sia stata fatta corrispondere la sceneggiata del professor Pietro Ichino al processo contro le presunte nuove Brigate Rosse, dove si è costituito parte civile pur senza averne nessun titolo.
I titoli dei giornali hanno riportato la notizia di minacce rivolte dagli imputati al professore, con il seguito delle solite reazioni indignate da parte di esponenti politici, primo fra tutti Walter Veltroni, segretario del partito per il quale Ichino è stato eletto parlamentare. Sennonché, leggendo gli articoli, si scopre che da parte degli imputati non vi sono state né minacce né insulti, ma solo ordinate manifestazioni di dissenso; anzi è stata avanzata da uno di loro un’obiezione che consiste in una oggettiva constatazione, e cioè che Ichino ha costruito le sue fortune criminalizzando i lavoratori. Procedendo nella lettura degli articoli si scopre poi che, in realtà, Ichino si è minacciato da solo, dato che la frase riportata dai titoli dei giornali con tanta enfasi - “Chi tocca lo Statuto dei Lavoratori muore” -, non è stata pronunciata da nessuno dei cosiddetti brigatisti, ma proprio dallo stesso Ichino.
A paragone con l’attuale situazione giudiziaria in Italia, c’è ormai di che far passare persino Torquemada per un garantista, poiché assistiamo al sequestro di cittadini che sono non solo processati per accuse che non si è in grado di provare, ma che vengono anche esposti alla gogna, e per opinioni neppure espresse da loro. La violazione dei diritti e della dignità degli imputati, come tutta la messinscena giudiziaria, avevano quindi un preciso scopo, cioè associare nella mente dell’opinione pubblica lo Statuto dei Lavoratori al terrorismo, per cui è terrorista o loro complice chiunque difenda lo Statuto dei Lavoratori. L’intimidazione nei confronti della CGIL non poteva esser più palese, e sono già cominciati i ricatti da parte di Veltroni per indurla ad accettare l’accordo; cosa che non dovrebbe risultare difficile, data la storica incapacità del gruppo dirigente della CGIL di reggere a questo tipo di accerchiamenti.
Non sorprende perciò che il segretario generale della UIL possa esibire tanta sicumera, dato che, in caso di bisogno, non ha altro da fare che imitare Ichino, cioè minacciarsi da sé, per poter immediatamente raccogliere una messe di solidarietà e di elogi. I segretari generali della UIL sono personaggi anonimi, di cui nessuno sa o si ricorda il nome o la faccia, ma, con qualche auto-minaccia terroristica, anche per loro ci potrà essere un panegirico sulla prima pagina di “La Repubblica”, un panegirico pari a quello che si è meritato Ichino.
Anche per il segretario della UIL sarà riservata una scorta, dato che la scorta oggi non costituisce più un semplice status symbol, ma un vero segno di santità, come le stimmate di Padre Pio. Come le stimmate, però, anche la scorta fa soffrire chi può esibirla, ed infatti Ichino ha intrattenuto la stampa narrando del dolore che questa condizione di scortato gli comporta.
Ichino ha le sue ragioni, poiché lo Stato, in effetti, gli ha dato la scorta non per proteggerlo, ma per tenerlo in ostaggio, pronto a sacrificarlo se ciò dovesse servire ad esasperare la pseudo-emergenza terroristica. Uno Stato così affamato di terrorismo - che costituisce per esso l’alibi/pretesto/giustificazione universale ed onnicomprensiva per ogni suo crimine affaristico -, può essere tentato di sacrificare i suoi servi. D’altra parte inconvenienti del genere fanno parte del gioco e dei privilegi che Ichino ha accettato, quando ha assunto il ruolo ufficiale di pubblico accusatore del pubblico impiego al fine di privatizzarlo. Altri invece vengono sacrificati senza aver accettato nessun gioco e senza accedere a nessun privilegio.
(Osservazioni sul libro "Stalin, Storia e Critica di una Leggenda Nera" di Domenico Losurdo)
Stalin fu celebrato in vita dai più illustri uomini di Stato "occidentali", per poi subire da morto la sorte di essere criminalizzato e presentato come un'incarnazione del Male. Questo paradosso costituisce il punto di partenza del libro del filosofo Domenico Losurdo: "Stalin, Storia e Critica di una Leggenda Nera".
Il paradosso potrebbe però essere solo apparente. Stalin può aver riscosso tanta ammirazione da parte dei controrivoluzionari proprio per la sua attività controrivoluzionaria, per poi diventare un comodo bersaglio propagandistico dopo la sua morte, quando la sua figura poteva essere strumentalizzata in funzione anticomunista.
Losurdo dimostra che a Stalin sono stati attribuiti dalla propaganda "occidentale" molti crimini non provati, ma è anche vero che non gli vengono contestati crimini su cui invece abbonda una precisa documentazione ufficiale. Ad esempio, se da una parte non c'è nessuna prova che Stalin sia effettivamente responsabile del genocidio per fame in Ucraina, dall'altra sono invece accertate le sue responsabilità - sia pure indirette - nel genocidio dei Palestinesi nel 1948, quando furono proprio la decisa azione diplomatica e l'aiuto materiale dell'Unione Sovietica, contro le remore della Gran Bretagna, a consentire la nascita dello Stato di Israele. È un tema ritornato da poco alla ribalta della storiografia, anche se lo storico comunista Luciano Canfora nell'aprile 2002 si presentò addirittura ad una manifestazione di piazza pro-Israele (organizzata dal giornalista - e confesso agente della CIA - Giuliano Ferrara), per vantare in quella pubblica occasione i determinanti meriti di Stalin nella nascita di Israele.
Nel 1948 i sionisti costituivano già da mezzo secolo una banda di mercenari al soldo del colonialismo britannico, ma la Gran Bretagna e gli Stati Uniti temevano che la nascita di uno Stato di Israele costituisse una provocazione eccessiva e insostenibile verso gli Arabi, perciò risultò decisivo alla fine l'atteggiamento favorevole di Stalin. La propaganda ufficiale non soltanto ha taciuto sul fatto che Stalin sia il vero padre dello Stato di Israele, ma è arrivata ad inventarsi un suo presunto antisemitismo, in modo che il nesso Stalin-Israele sia considerato inconcepibile.
A differenza dei leader "occidentali", Stalin non si lasciò mai andare a dichiarazioni razzistiche, ma la sua scarsa sensibilità verso le spinte anticolonialistiche nel mondo arabo fa comunque pensare che subisse dei pregiudizi in tal senso.
Durante la guerra di Spagna, dalle colonne del suo giornale "Guerra di Classe", l'anarchico Camillo Berneri si batté perché il governo repubblicano concedesse l'indipendenza al Marocco spagnolo, in modo da togliere a Franco la sua base di appoggio; ma anche in quel caso prevalsero nel governo, controllato dagli stalinisti, sia i pregiudizi contro società arretrate e tribali, che avrebbero potuto costituire un ostacolo al progresso se liberate dall'oppressione coloniale, sia - e soprattutto - il timore di infastidire le grandi potenze coloniali. Considerando nella giusta dimensione l'importanza della questione marocchina, l'assassinio di Berneri potrebbe essere stato concepito dagli stalinisti anche come un favore nei confronti di Francia e Gran Bretagna.
In tutta la visione staliniana pare completamente assente la consapevolezza che anche l'Unione Sovietica costituisce un bersaglio per il colonialismo "occidentale"; un fatto che risulta evidente oggi che la Russia post-comunista non costituisce più una sfida ideologica per il sedicente "Occidente", che però continua a cercare di accerchiarla e smembrarla per impadronirsi dei suoi serbatoi naturali di materie prime.
Avendo svolto la sua funzione controrivoluzionaria da vivo, Stalin poteva essere poi infangato da morto, poiché la sua figura funziona da comodo pretesto per mettere sotto accusa ogni istanza rivoluzionaria. La destalinizzazione dell'Unione Sovietica ha sicuramente favorito questa propaganda, poiché gli argomenti contro Stalin contenuti nel rapporto segreto del XX Congresso del PCUS del 1956 finivano, volontariamente o meno, per mettere sotto accusa la stessa idea di Rivoluzione.
Losurdo riferisce nel suo libro di una testimonianza del ministro degli Esteri sovietico Molotov, secondo cui Stalin avrebbe avuto una premonizione sul fatto che la sua tomba sarebbe stata ricoperta di immondizia. Stalin poteva profetizzarlo con cognizione di causa, dato che doveva essere a conoscenza dell'opportunismo del gruppo dirigente che egli stesso aveva selezionato. Alla morte di Stalin, il suo pupillo Beria, e l'annessa mafia georgiana, vennero eliminati, ma il resto del gruppo dirigente sovietico era comunque di derivazione staliniana e, dal punto di vista ideologico, non rappresentò mai una rottura in tal senso.
In un discorso all'Assemblea Costituente, Benedetto Croce affermò che il fascismo continuava nell'antifascismo, poiché la nuova classe dirigente seguita alla caduta del regime mussoliniano proseguiva nel costume fascista di denigrare l'Italia. Anche lo stalinismo è continuato nella destalinizzazione, poiché è proseguita la pratica staliniana di trovare il nemico soprattutto a sinistra, e di cercare il potenziale interlocutore sempre a destra.
Oggi, con Veltroni, siamo addirittura allo stalinismo senza comunismo e senza sinistra, poiché il segretario del PD è persino riuscito, contro ogni evidenza, ad attribuire il fallimento del governo Prodi alla mitica "politica dei no" della cosiddetta "sinistra radicale", isolandola da ogni futura ipotesi di governo, anche a costo di condannare se stesso ed il suo Partito Democratico all'estinzione.
Quando Losurdo deve smantellare molti dei miti negativi su Stalin costruiti dalla propaganda anticomunista, allora si serve di una puntuale documentazione, che certamente mette in crisi i luoghi comuni sul fenomeno Gulag. Ma allorché Losurdo si trova di fronte all'evidenza della eliminazione del gruppo dirigente della Rivoluzione di Ottobre, allora deve ricorrere a sofismi o a illazioni. Se abbiamo ben compreso l'argomentazione di Losurdo, Stalin sarebbe stato costretto ad eliminare la vecchia guardia rivoluzionaria per la propensione dei sovversivi di professione a continuare la loro attività anche contro il governo rivoluzionario; quindi la sovversione viene interpretata come nevrotica coazione a ripetere, anche quando le circostanze lo sconsiglierebbero.
Che accanto a Stalin non sia rimasto nessuno dei rivoluzionari della prima ora, costituisce una di quelle evidenze che non si possono risolvere con argomenti di questo genere. Far fuori i rivoluzionari, in definitiva, è un'attività controrivoluzionaria; nel caso di Trotzsky il fatto si può spiegare con la terribile radicalità della contrapposizione che si è verificata, ma è un argomento che certo non può valere quando si tratti di un Kamenev o di un Bucharin.
È la propaganda reazionaria a sostenere che la destabilizzazione sociale provenga sempre dalla nefasta azione di mostri mitologici, come i fanatici utopisti, i terroristi, o i tiranni. Un classico dell'antistalinismo, "Animal Farm" di George Orwell, nonostante i suoi pregi letterari, costituisce dal punto di vista politico una colossale mistificazione, poiché colloca la Rivoluzione Russa in una metafora astratta, un mondo ingiusto ma ordinato, che all'improvviso viene sovvertito dall'illusione rivoluzionaria dei "maiali", chiaramente discendenti dei "demoni" di dostoevskiana memoria.
Le motivazioni utopistiche dei "maiali", come quelli dei "demoni", alla fine si rivelano sempre la maschera di un desiderio di privilegi, perciò si ristabiliscono gli schemi reazionari della fiaba ufficialmente imposta, secondo cui la ricchezza soddisfatta viene minacciata dalla invidia sociale.
È sempre lo stesso luogo comune reazionario per cui bisogna votare il ricco perché non avrebbe bisogno di rubare, come se fosse possibile diventare e restare ricchi senza rubare. Già Aristotele avvertiva invece che la minaccia alla stabilità proviene dai ceti privilegiati, sempre ansiosi di ulteriori privilegi. Persino la Rivoluzione Francese cominciò per l'attacco mosso al potere regio da parte di un'aristocrazia desiderosa non solo di difendere, ma di estendere i suoi privilegi.
Che la Rivoluzione Russa sia sortita dal macello della prima guerra mondiale, che si sia radicalizzata sulla questione di uscire dalla guerra, che sia proseguita in una guerra civile fomentata e sostenuta dalla aggressione coloniale degli ex alleati della Russia zarista, sono fatti che si mettono in ombra troppo facilmente. Nel 1919 era pronto persino un corpo di spedizione italiano per aggredire la Georgia e strapparla all'Unione Sovietica. Questo progetto, ispirato e incoraggiato da Francia e Gran Bretagna, fu liquidato solo per l'arrivo alla Presidenza del Consiglio nel 1919 di Francesco Saverio Nitti - che ne riferisce nelle sue memorie -; altrimenti ad aggredire l'Unione Sovietica vi sarebbero state anche truppe italiane, oltre che francesi, statunitensi, britanniche e giapponesi.
La propaganda borghese non ha mai dubbi: dietro ogni mossa dei comunisti c'è sempre un movente utopistico, poiché secondo questa propaganda esistono due mondi separati, quello delle "scelte pragmatiche" e quello delle scelte dettate da utopismo e fanatismo. Il continuo sospetto nei confronti del movente utopistico, ha trasformato la ricerca storica su vicende come la collettivizzazione dell'agricoltura in un processo alle intenzioni a scapito dell'attenzione ai dati di fatto.
In realtà, parlare di una Russia strappata dal suo idillio e trasformata a forza dai rivoluzionari in un laboratorio di Utopie, costituisce un puro falso storico, ma ciò non toglie nulla alla constatazione che Stalin non abbia contribuito assolutamente a render chiaro che "rivoluzione" non significa violazione di un ordine, bensì resistenza ad un'aggressione coloniale e di classe.
Stalin ha condiviso i luoghi comuni reazionari, ed è stato per tutta la vita soprattutto un cacciatore di utopisti, di "demoni" in senso dostoevskiano. E per tutta la vita, Stalin ha cercato intese "pragmatiche" con i mitici e inesistenti "ricchi soddisfatti" di cui Churchill era solito cantare le lodi. I sedicenti "ricchi soddisfatti" - ingrati - hanno poi demonizzato anche Stalin.
|
|
|