Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Tratto da Umanità Nova, n.20 del 24 maggio 2009, anno 89
I rifiuti rappresentano il tema in cui risulta più evidente l'intreccio tra affarismo criminale e militarismo.
I rifiuti più tossici e pericolosi sono quelli di origine militare e, inoltre, questi rifiuti sarebbero in grado di rivelare allo spionaggio straniero tutte le attività che si svolgono in una base militare, con le relative tecnologie utilizzate. Per questi due motivi, attorno alla questione dello smaltimento si sviluppa un gigantesco apparato che si avvale della copertura sia del segreto militare che del segreto di stato.
I militari possono permettersi perciò di violare la legge – del tutto legalmente, per ragione di stato – anche arruolando criminali comuni per impiantare discariche abusive, o per usare abusivamente discariche e inceneritori legali. Ma tutto questo apparato è troppo imponente e costoso per non prestarsi ad un altro uso, cioè al traffico e allo smaltimento di rifiuti tossici di origine industriale di ogni parte del mondo.
Il business dello smaltimento dei rifiuti tossici è quindi un sottoprodotto della militarizzazione del territorio. Man mano però che il business si allarga, da effetto secondario, esso diventa movente primario. Il territorio viene militarizzato perché in tal modo crescono e proliferano le occasioni affaristiche.
Centoquattordici basi militari straniere in Italia – senza contare le basi militari "italiane" – non si possono spiegare con esigenze di carattere strettamente militare, ma costituiscono la conseguenza dell'intreccio tra militarismo e affarismo, per cui l'uno alimenta l'altro e viceversa.
Ma in questo intreccio vi è un terzo fattore da considerare: l'informazione, o, per meglio dire, la disinformazione, intesa come arma di guerra. Uno degli apparati tipici della guerra moderna è quello della guerra psicologica, la diffusione di false notizie utili a creare una "realtà" adatta a favorire le operazioni militari e a confondere il nemico.
Quelli che vengono chiamati impropriamente organi di informazione, sono gestiti e diretti in base a esigenze militari e vengono quindi imbeccati, momento per momento, da agenzie di guerra psicologica; ciò, ovviamente, senza neppure tenere conto dei numerosi giornalisti che sono degli agenti segreti a tutti gli effetti. Un territorio prescelto come sito prioritario per la discarica di rifiuti tossici, dovrà perciò essere innanzitutto ricoperto di immondizia tossico-informativa, cioè sarà presentato sotto una luce razzistica che sigilli e consacri il legame tra questo territorio e l'immagine dell'immondizia.
Questo discorso può apparire teorico, mentre in realtà costituisce la storia concreta della Campania, che è sotto il potere assoluto di un Commissariato straordinario di governo per l'emergenza rifiuti da ben quindici anni, quindi da molto prima che l'emergenza rifiuti esplodesse. Anche il mitico Guido Bertolaso – che i media hanno santificato presentandolo come l'eroe che nel 2008 ha risolto l'emergenza rifiuti a Napoli – in realtà era stato Commissario straordinario per questa emergenza già nel 2006, su nomina del governo Prodi, quindi un anno prima dell'emergenza. Allora, questo Commissariato straordinario è stato creato per risolvere l'emergenza rifiuti, oppure per pianificarla e organizzarla?
La Campania è inoltre la Regione italiana in cui, in base all'articolo 2 comma 4 della Legge 123/2008, le discariche e gli inceneritori di rifiuti sono sotto la copertura del segreto militare, per il quale chi viola le norme di accesso a questi siti rischia l'arresto da tre mesi a un anno, come stabilito dall'articolo 682 del Codice Penale.
La Campania è anche la Regione sottoposta ad uno dei più massicci bombardamenti mediatici della Storia. Sulle emergenze campane è persino sorto il divismo giornalistico dei Saviano e delle Gabanelli, il cui mito di reporter si basa sull'illusione di una sorta di presa diretta sulla realtà.
Che non si tratti di realtà, ma di "reality", è indicato dal fatto che in tutta la rappresentazione manchino sempre domande semplici, ma essenziali, che dovrebbero essere preliminari ad ogni discorso serio sulla questione dello smaltimento dei rifiuti.
Ad esempio: visto che in Campania vi sono quattordici basi militari USA o NATO (l'ultima è in costruzione a Giugliano, in provincia di Napoli e al confine con quella di Caserta), dove finiscono i rifiuti di queste basi?
In particolare, dove vengono smaltite le scorie tossiche dei sommergibili nucleari statunitensi, che hanno proprio nel porto di Napoli il principale molo del Mediterraneo?
Se un giornalista rivolgesse alle autorità questa ovvia domanda, la altrettanto ovvia risposta sarebbe: segreto militare. Ma se a questa risposta si aggiungesse la constatazione che in Campania, in base alla Legge 123/2008, i rifiuti sono oggetto di segreto militare, ecco che la risposta sarebbe completa ed esauriente.
Ma i giornalisti d'assalto non soltanto non rivolgono alle autorità quella semplice domanda sui rifiuti delle basi militari, ma non ci fanno neppure sapere nulla della Legge 123/2008, cioè mantengono il segreto giornalistico sul segreto militare.
Comidad
Tratto da Umanità Nova, n.19 del 17 maggio 2009, anno 89
La domanda che corre in questo periodo sui media a proposito delle acquisizioni operate dalla FIAT, riguarda la sorte degli stabilimenti italiani. Che fine faranno Pomigliano, e persino Mirafiori?
Ottime domande in sé, ma assolutamente non pertinenti con quanto sta avvenendo in questi giorni. L’ipotesi che l’acquisizione della Chrysler - o l’eventuale acquisizione della General Motors tedesca -, possa avere come corrispettivo il sacrificio di una parte delle maestranze italiane, rientra invece nella retorica sacrificale, quella che si rivolge allo strato più oscuro e barbarico del senso comune. Quella che sembra all’inizio una domanda sensata, avvia solo un gioco al massacro a cui l’opinione pubblica viene chiamata a partecipare.
È giusto sacrificare Mirafiori alla salvezza e alla grandezza della Patria? Sondaggio! Chi vota sì? Chi vota no? Telefonate al numero, ecc., ecc.
Perché sacrificare uno stabilimento storico come Mirafiori? Non è meglio sacrificare uno stabilimento del sud come Pomigliano? Puntata di “Report”: è vero che c’è la camorra a Pomigliano?
Odio antioperaio e razzismo antimeridionale possono convergere, fingere di contrapporsi o semplicemente alternarsi in una discussione all’infinito, apparentemente urgente e fondata, ma, in effetti, del tutto fuori luogo.
In realtà, non esiste sacrificio che l’Amministratore delegato Sergio Marchionne possa imporre ai lavoratori FIAT, che sia in grado di pagare la sua attuale avventura americana. L’unico che può pagarla è il governo, attingendo alla spesa pubblica, come è sempre accaduto in tutto ciò che ha riguardato la FIAT.
Nata verso la fine dell’800, la FIAT conobbe già nella culla i vantaggi dei primi sussidi statali e dei primi appalti pubblici per le forniture per l’esercito. La vicinanza e l’amicizia con Casa Savoia degli aristocratici Agnelli, favorivano - chissà perché - la vittoria nelle gare d’appalto e assicuravano loro l’attenzione premurosa dei governi.
La costruzione di nuovi stabilimenti costituiva un ottimo pretesto per lottizzare terreni agricoli attorno a Torino, per trasformali in aree edificabili; così, già nei primi anni del ’900, la FIAT era diventato il maggiore speculatore immobiliare italiano. Non tutte le speculazioni riuscivano sempre bene, anzi alcune portavano l’azienda sull’orlo della rovina, ad un passo da quel baratro da cui la mano soccorrevole dello Stato era sempre pronta a riprenderla. Un capitolo a sé, ma non meno interessante, riguarda i regali di cui la Fiat è stata fatta oggetto, dall’Alfa Romeo al “Corriere della Sera”.
La storia della FIAT è quella di un bambino viziato, di un piccolo lord, a cui lo Stato ha pagato sempre tutto, compresi i vestitini alla marinara.
Anche adesso che la famiglia Agnelli è stata in parte fatta fuori ed in parte marginalizzata nella gestione della FIAT, non si è spenta questa predilezione governativa per l’azienda.
In tutta la vicenda mediatica FIAT di queste settimane il governo è invece - ma solo in apparenza - il grande assente. È chiaro che se i soldi pubblici elargiti dal governo italiano non fossero i garanti e i pagatori di tutte queste acquisizioni effettive o eventuali della FIAT, non si spiegherebbero gli entusiasmi di Barack Obama, e a Sergio Marchionne non sarebbe stato concesso neppure di fiutare il portone della Chrysler o della Opel; anzi non sarebbe stato preso sul serio neanche per l’acquisto di una fabbrica di biciclette.
In passato, quando aziende italiane hanno cercato di aprirsi spazi all’estero, ciò non gli è stato concesso. Negli anni ’70 la Montedison riuscì ad acquistare con “soldi veri” un’azienda chimica statunitense, ma il governo federale bloccò l’operazione in base ad una norma che impedisce l’acquisto di aziende americane da parte di potenze straniere ostili; e ciò nonostante l’Italia fosse, come purtroppo è tutt’oggi, un “alleato” della NATO. Sorti analoghe hanno avuto tentativi in terra straniera da parte dell’Enel, a cui i “soldi veri” pure non hanno mai fatto difetto. Allora, cos’ha di particolare Marchionne per essere così bene accetto negli USA (a parte, forse, il suo tesserino della CIA)?
Il fascino che la FIAT è oggi in grado di esercitare all’estero non riguarda la sua consistenza o il suo prestigio come azienda, semmai il contrario. Ciò che i media fanno passare per un’offensiva trionfale all’estero dell’industria italiana, costituisce esclusivamente un’operazione coloniale nei confronti dell’Italia, per la quale oggi la spesa pubblica italiana viene asservita agli interessi dei colonizzatori. Nei suoi centoventi anni di storia, la FIAT è sempre stata una sanguisuga della spesa pubblica italiana, ma da ora non svolge più questo ruolo di sanguisuga per sé, bensì per conto delle multinazionali statunitensi. Comidad
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