Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Un’insperata sentenza della Corte Costituzionale ha riconosciuto l’incompatibilità della pena dell’ergastolo con il quadro accusatorio nei confronti dell’anarchico Alfredo Cospito. Ciò potrebbe forse (forse!) indicare che nel fronte forcaiolo qualcuno ha cominciato ad accorgersi che aver tenuto sotto i riflettori il 41bis si sta rivelando una catastrofe per tutta la mitologia legata a questo regime carcerario, per cui sarebbe meglio avviare, come dicevano al Foreign Office, una “exit strategy”.
In questi mesi è montato l’odio dei forcaioli, che avrebbero voluto festeggiare alla svelta la morte di Cospito, invece quello non si decide. A Cospito si è intimato di fare il martire e di togliersi presto dalle scatole, in modo da far contenti i forcaioli, e magari offrire un contentino anche ai “garantisti”, ai quali elargire una vittima da immolare alla chimerica attesa di un mitologico Stato di Diritto. D’altra parte l’arma dei deboli non è il martirio, e neppure il vittimismo, che è prerogativa esclusiva dei potenti come Giletti. L’arma dei deboli è demistificare il potere, sputtanarlo confutandone le pretese. Trascinando il suo sciopero della fame, Cospito ha tenuto per molto tempo sulla corda gli “organi preposti”, tanto che a molti, specialmente nel governo, sono saltati i nervi, così da scoprire parecchi altarini. Si pensava che con il governo Draghi si fosse ormai raschiato il fondo del barile, invece al suo posto si è presentata una surreale banda di buffoni fascio-nostalgici. Pur avendo ereditato il caso di Cospito dal precedente governo, Meloni e soci lo hanno adottato entusiasticamente, pensando, da buoni fascio-nostalgici, di mascherare le proprie nefandezze con la retorica vendicativa e “pugnodurista”. La stessa cosa è avvenuta anche su altre questioni, per cui un governo che, in un periodo di crescente disoccupazione, ha appena eliminato la rete di protezione del Reddito di Cittadinanza per coloro che hanno figli o vorrebbero averne, poi si permette di denunciare la denatalità ed il pericolo della “sostituzione etnica”. Come a dire: togliamo reddito e protezioni sociali alle famiglie, ma in cambio le facciamo divertire con un po’ di caccia ai migranti.
Grazie alla cialtroneria di ministri e sottosegretari del governo Meloni, si è scoperto che il 41bis è un oggetto misterioso: la magistratura ed il governo si palleggiano la responsabilità di infliggerlo, non si sa se il 41bis è una misura cautelativa o una pena aggiuntiva, non c’è un elenco ufficiale dei detenuti, non c’è isolamento dei detenuti ma una manipolazione dei contatti tra di loro. Insomma, il 41bis è un puro e oscuro strumento di potere, non si sa in mano a quali lobby e per quali scopi. Il 41bis era sino a qualche mese fa un mito indiscusso; ma, dopo quello che si è venuto a sapere, è diventato come il Green Pass: si è capito benissimo che non ha nulla a che fare con gli scopi dichiarati, ma si è stabilito un conformismo per far finta di crederci. E poi dicono che potrebbe tornare il fascismo. Ma quando mai se n’è andato?
Bisognerebbe avere il tatto e il buongusto di non stressare troppo i potenti, perché altrimenti quelli si scompongono, si confondono e poi fanno brutte figure. Macron potrebbe starsene rilassato e tranquillo mentre persegue i suoi progetti ai danni dei lavoratori francesi, dato che ha dalla sua parte le banche, i militari, la polizia, la gendarmeria, la magistratura. Persino i media di tutta Europa fanno sfacciatamente il tifo per Macron e ne esaltano il coraggio di “tirare dritto” davanti alle orde che osano contestarlo. Macron però va lo stesso in ansia da prestazione, perciò si preoccupa del fatto che la sua immagine di despota prepotente in patria sia contraddetta dai suoi atteggiamenti da zerbino nei confronti di Biden e Zelensky. Purtroppo Macron ha una formazione da lobbista, perciò reagisce senza discernimento, bensì con una ripetitività da dispositivo automatico. Non è colpa sua; è un po’ come capita ai fascisti, che sono macchinette gerarchiche, perciò odiano Soros finché ne sono a distanza, ma, se lo avessero a disposizione, correrebbero a leccargli il culo.
Infatti, come è riuscito Macron a dimostrare di non essere lo zerbino di Biden? Andando a fare lo zerbino di Xi Jinping. Certe dichiarazioni di indipendenza nei confronti di un potente alleato hanno senso se collocate nel contesto appropriato; se invece le si vanno a pronunciare proprio davanti al potente concorrente di quell’alleato, allora suonano come piaggeria e doppiogiochismo. Macron ha fatto anche ricorso ad una certa magniloquenza per farsi apprezzare dal leader cinese, ed ha dichiarato di essere un alleato e non un vassallo degli Stati Uniti.
Usando a sproposito la parola “vassallo”, Macron ha dimostrato di essere un po’ impreparato in Storia, nonostante si dica che egli sia un prodotto della mitica École Nationale d’Administration (ENA), la scuola per quadri dell’alta burocrazia francese fondata da De Gaulle, e che poi lo stesso Macron ha chiuso nel 2021 per sostituirla con INSP, un ente governativo che fa da centrale d’affari per distribuire appalti a ditte private. Se Macron non avesse saltato le lezioni, saprebbe che il vassallaggio non era affatto un rapporto meramente subordinato; anzi, poteva essere molto conflittuale, per cui i vassalli rappresentavano la principale controparte, la spina nel fianco, dei loro sovrani. La famosa Magna Charta Libertatum del 1215 fu estorta al re d’Inghilterra dai baroni e dai vescovi. Quel documento è certamente uno dei più sopravvalutati dalla storiografia ufficiale, poiché l’oligarchia inglese si è sempre autocelebrata magnificando ogni insignificante dettaglio del proprio passato; tutto il contrario di ciò che fa l’oligarchia italica, che usa l’autodenigrazione come strumento di dominio. Al di là dei falsi miti e delle esagerazioni sulla Magna Charta come pietra angolare di presunte libertà inglesi, quel documento rappresenta comunque una prova storica del fatto che i vassalli erano dei grandissimi rompiscatole per i loro signori. Macron quindi avrebbe dovuto semmai discolparsi dall’accusa di essere uno zerbino, non un vassallo.
Macron ha ricevuto una pioggia di critiche da parte degli altri leader europei per i suoi atteggiamenti da servo di due padroni; anche se il presidente polacco si è reso ridicolo a sua volta esagerando i toni sulla questione delle presunte minacce cinesi a Taiwan. Le plateali velleità del regime polacco di regolare a tutti i costi i conti storici con l’imperialismo russo, prospettano guai molto più considerevoli delle figuracce rimediate in giro da Macron. L’unica eccezione al coro di critiche sembrerebbe quella del presidente ungherese Orban, che però ha rilanciato le dichiarazioni di Macron in modo del tutto strumentale, come sponda per dire tutt’altro.
Un assist diretto e inaspettato a Macron è invece arrivato dal quotidiano nostrano “il Foglio”, uno di quei giornali che non legge nessuno e che esistono solo in funzione delle rassegne stampa e degli inviti ai talk show. Il quotidiano fondato da Giuliano Ferrara ha svolto però una funzione ideologica abbastanza importante, fino ad aver trasformato il leccaculismo verso i potenti in una vera e propria mistica, in una specie di religione di salvezza. Secondo quelli del “Foglio”, Macron non si è saputo spiegare, dato che uno come lui, che ha dedicato una vita alla missione di derubare i poveri e beneficare i ricchi, non può essere così cattivo, deve avere qualcosa di buono nel fondo del suo animo. Quelli del “Foglio” hanno il merito di riportarci al nocciolo autentico dell’imperialismo, senza fermarsi solo a quell’aspetto esteriore, quello della gerarchia tra le nazioni. Le gerarchie internazionali stabilite dagli imperialismi consentono infatti alle varie oligarchie locali di farsi da sponda e supporto a vicenda per tenere sottomesse le proprie popolazioni. Il confronto imperialistico tra le nazioni è soprattutto in funzione dello scontro di classe interno. Macron non ha saputo comunicare, è stato goffo e frettoloso e, a causa dello stress, si è sputtanato più del necessario; ma fa quel che deve fare, cioè si mette all’ombra dei potenti per rapinare i deboli.
A causa dell’invadenza della lobby Neocon, attualmente gli USA stanno facendo un sacco di scemenze, perciò il loro dominio mondiale è a rischio. Oggi la locuzione “esperto di geopolitica” è diventata sinonimo di “deficiente che straparla”, infatti non ha senso considerare come un successo statunitense il fatto di aver impedito l’integrazione economica della Germania con la Russia; come se l’attuale integrazione economica e militare tra Russia e Cina non fosse molto più pericolosa.
Alcuni commentatori americani di maggiore buonsenso temono addirittura per la sopravvivenza della NATO e dell’UE se in Ucraina dovesse finire male. A quel punto bisognerà badare al sodo, e ricostituire le gerarchie internazionali in modo da preservare il dominio di classe interno, cioè di garantire una distribuzione del reddito esclusivamente a vantaggio delle oligarchie finanziarie. La finanza e le Borse gonfiano valori fittizi che non possono essere riempiti col semplice plusvalore, ma necessitano di un prelievo forzoso su tutti i redditi da lavoro, ricorrendo sia ai tagli, sia alle tasse e accise sui consumi popolari. Se per continuare a tagliare salari e pensioni, i lobbisti come Macron dovranno fare da zerbino al governo cinese invece che a quello statunitense, non ci sarà nessuna difficoltà ad adeguarsi.
In Italia ti devi preoccupare se i governi ti tolgono qualcosa, ma soprattutto c’è da allarmarsi quando sembra che vogliano darti qualcosa, poiché immancabilmente se la riprenderanno, in più trattenendosi persino gli interessi, per cui alla fine ti ritroverai due passi indietro rispetto al punto di partenza. La riproduzione di questo schema di potere si è puntualmente verificata nel caso dei cosiddetti Reddito di Cittadinanza e Superbonus. Si tratta della consueta sceneggiata con la quale l’oligarchia nostrana esercita la propria avarizia; un canovaccio teatrale che ormai si recita a soggetto con assoluta disinvoltura, e che ha come inevitabile corollario la litania delle colpevolizzazioni e delle recriminazioni moralistiche, come il mantra del “volevate prendere il sussidio per starvene sdraiati sul divano”, oppure del “volevate farvi la casa gratis”. Stavolta la messinscena a sfondo espiatorio è così ben riuscita che non c’è stato bisogno neppure dell’alibi europeo, o di dare la colpa alla micragna tedesca. Non ci si è preoccupati di nascondere il fatto che l’avarizia messa in campo è tutta di matrice italica, cioè proviene interamente dall’oligarchia nostrana e dall’opinione pubblica che le fa da sponda.
Nell’analizzare la tribù italica, l’antropologo culturale noterà infatti che nella riproduzione di questo schema di dominio una funzione fondamentale di supporto e rilancio comunicativo è svolta dalla pubblica opinione, la quale trova una sorta di infantile rassicurazione nel sentirsi raccontare sempre la stessa fiaba e nel ripeterla a propria volta. Non conta che la fiaba non abbia lieto fine, che anzi risulti squallida ed avvilente; l’aspetto gratificante consiste nel fatto che la fiaba riconfermi il risaputo ed il già visto, e si concluda sempre con la stessa sentenza morale.
Nel conflitto sociale lo squallore è un’arma, un napalm comunicativo, cioè un’intossicazione narrativa ed emotiva che tende a disarmare psicologicamente l’avversario attraverso un drastico abbassamento del livello comunicativo. Il Buffone di Arcore ed i suoi sodali hanno dimostrato più volte l’efficacia dello squallore come stile comunicativo; poiché, se per certi versi lo squallore è sconcertante, per altri aspetti invece è rassicurante, dato che non richiede sforzo di comprensione. Il Buffone ci racconta la fiaba secondo cui sarebbero la “sinistra”, e i perfidi “comunisti”, a volerci costringere a diventare migliori; mentre al Buffone piacciamo come siamo. In tal modo il Buffone è riuscito a farsi percepire come un Padre Nobile, un Nonno della Repubblica, che, in quanto nonno, mette in scena per la famiglia la propria agonia, vera o finta che sia.
Ma anche questa rappresenta appunto l’ennesima fiaba. Il compianto Oliviero Beha osservava che il Buffone di Arcore nel contesto italiano svolge un’importante funzione di distrattore e parafulmine, come se assumesse su di sé l’esclusiva di tutta una serie di comportamenti, dal conflitto di interessi ai rapporti sfacciati con la mafia; comportamenti che in effetti sono caratteristica anche di personalità al di sopra di ogni critica. Si può dire altrettanto per lo stile comunicativo dello squallore. La sguaiataggine è più frequentata dalla destra, ma non è assolutamente una sua esclusiva; anzi, è uno stile che è trasversale a tutti gli schieramenti politici ed a tutte le cosiddette istituzioni, poiché non può esistere un modo pulito e pacato di negare l’evidenza, perciò l’unica soluzione è quella di sbracare, di gelare l’interlocutore con la spudorata esibizione della propria abietta arroganza. Nel corso della psicopandemia si è visto come la sedicente “sinistra” sia riuscita a coniugare l’aulica retorica collettivistica e palingenetica con un drastico abbassamento del livello comunicativo, per cui abbiamo udito persino colti ed insospettabili intellettuali di “sinistra” paragonare il green pass alla patente di guida, e plaudire al paradosso demenziale degli “ambienti immuni per immunizzati”. Abbiamo assistito anche a sentenze della Consulta e della Cassazione che avevano la stessa compostezza e solennità di uno sputo in faccia. Il contribuente (quello povero, perché quello ricco trova il modo di eludere il fisco) paga lautamente dei giudici per fargli compiere lo sforzo di sentenziare che i deboli hanno sempre torto ed i potenti sempre ragione.
Nel momento in cui i rapporti di forza sono completamente squilibrati a favore delle lobby d’affari, cessa non solo l’illusione dello Stato di Diritto, ma persino quella dello Stato, perciò lo sbracamento diventa il mainstream. Enrico Mentana vent’anni fa definiva Emilio Fede come l’AIDS del giornalismo italiano; ma nel periodo psicopandemico e nell’attuale periodo bellico, Mentana non ha esitato ad adottare lo stesso registro comunicativo infimo ed ammiccante di colui il quale era considerato un paria del telegiornalismo. Il giornalismo “nobile” sta così diventando indistinguibile rispetto quello triviale, per cui oggi sono annoverati tra i “nobili” dei giornalisti come Feltri o Sallusti, considerati degli osceni gaglioffi sino a qualche anno fa.
La narrazione dello squallore ha i suoi risvolti e le sue varianti; se si conosce il trucco però si capisce facilmente dove si vuole andare a parare; anzi, ce lo dicono proprio loro, come si è visto nella vicenda del Recovery Fund e del PNRR. La fiaba suonava così: la burbera Europa stavolta è stata generosa e ci ha elargito la bellezza di duecentonove miliardi, una quantità di soldi che non avevamo mai visto tutta assieme. Ma era già scritto nel libro del destino che tutti quei soldi non avremmo saputo meritarceli, che non saremmo stati neppure capaci di spenderli. La burbera Europa era stata generosa ma vigile, perciò ha preteso progetti precisi e tempi certi; condizioni che ovviamente non siamo stati capaci di soddisfare. Vi sembra abbastanza squallida come narrazione? Vi sono già cascate le braccia? Abbiate un attimo di pazienza, perché sulla torta dello squallore non poteva mancare la ciliegina, come l’esternazione del presidente della Regione Veneto, che è sbottato con un altro prevedibile mantra: “Se non sanno spendere i soldi, li diano a noi”. Sbracamenti in serie per dissimulare nonsensi e grossolane falsità.
In realtà se si considera la cifra che ogni anno il nostro Tesoro rastrella vendendo BOT e BTP, i duecentonove miliardi non sono tanti; considerando inoltre che oltre centottanta miliardi del Recovery Fund consistono appunto in prestiti, offerti per di più a condizioni molto meno convenienti di quelle dei vari programmi di acquisto di titoli pubblici e privati che la Banca Centrale Europea ha condotto in grande stile fino all’anno scorso e che continua ora in tono minore, ma comunque continua. Se c’è una vera dipendenza è quella nei confronti di quei programmi di acquisto della BCE, non certo nei confronti della barzelletta del Recovery Fund. Ma la BCE non sta sorreggendo l’Italia, bensì il baraccone dell’euro, perciò la vera origine dell’avarizia va cercata qui, non nei mitici “vincoli esterni”.
L’oligarchia dell’Italietta è la più avara del mondo e proviene dall’esperienza di più di centocinquanta anni di politica della “lesina”, nella quale uno degli espedienti più usati è stato quello dell’alibi dell’inefficienza, della presunta incapacità di spendere i fondi stanziati; fondi che sin dall’inizio si intendeva tenere bloccati. Non per niente si è sempre agevolata la carriera di quei funzionari pubblici abbastanza privi di scrupoli da violare leggi e regolamenti pur di ostacolare gli investimenti. Insomma, è tutto l’opposto di ciò che ci viene narrato: non è vero che non si spende perché ci sono troppe regole; anzi, spesso si violano le regole pur di non spendere. Quando il primo governo Prodi istituì l’obbligo scolastico fino ai sedici anni, nel Sud molti Provveditori, pur di tagliare classi, non lo applicarono, sostenendo persino che tale obbligo non sussistesse. Quei Provveditori non furono mai perseguiti dal governo e tantomeno dalla magistratura.
L’avarizia non può confessare di essere tale e perciò mette in campo un’avvilente narrazione di incapacità e inettitudine a spendere. Non si può mettere nero su bianco che una certa parte della nazione è destinata al sottosviluppo allo scopo di evitare che si importino troppe materie prime; infatti un eccesso di importazioni comporterebbe una svalutazione della moneta nazionale che danneggerebbe i creditori. Al di là di tutte le leggende sull’importanza dello sviluppo economico nel capitalismo, la realtà è che la lobby dei creditori è sempre la più forte; ed è meglio sacrificare lo sviluppo che svalutare i crediti di chi ha prestato soldi agli Stati ed alle famiglie. Si sapeva perciò fin dall’inizio che i programmi di spesa del PNRR non sarebbero stati attuati e che la colpa sarebbe stata scaricata sulla solita “inefficienza”.
Mentre Conte e Travaglio possono vantare la limpida coerenza di chi si è sempre bevuto fin dagli albori la fandonia del Recovery Fund, il partito della cosiddetta “premier” sta invece esibendo un tipo di coerenza più sordido, cioè quello di chi sta lì apposta per offrire la propria complicità all’establishment adottando di volta in volta il pretesto ad hoc. La mistificazione nazionalista-sovranista attribuisce la responsabilità dei nostri mali allo straniero, quindi indirettamente assolve l’oligarchia nostrana. Due anni fa Meloni e soci potevano anche esprimere scetticismo e diffidenza circa l’effettiva consistenza delle promesse del Recovery Fund; mentre oggi ai loro padroni fa comodo la narrazione del tutto opposta, cioè accreditare un nuovo disastro nazionale legato all’inadempienza sugli impegni del PNRR; in parole povere, una nuova emergenza in grado di giustificare altre estorsioni e vessazioni ai danni della popolazione. Anzi, ancora meglio che giustificare, poiché si lascerà all’opinione pubblica forcaiola il compito di invocare i tagli più severi e punitivi.
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