Su una piccola approssimazione si possono costruire enormi edifici di mistificazioni, quindi bisogna essere precisi. Quando qualcuno bara un po’ sui dati e sulle date, allora i nostri media mainstream corrono immediatamente ai ripari, però nel modo che gli è congeniale, cioè sparando ancora più scemenze. Il giornalista Paolo Mieli ha ottenuto, chissà come, una patente di storico, e ciò gli consente di entrare a gamba tesa su tutti gli argomenti; perciò laddove prima c’era solo confusione, egli può prontamente seminare il caos. Pare che in Russia un testo scolastico abbia offerto un’immagine negativa di Michail Gorbaciov, attribuendogli un’ingenua fiducia nei confronti degli USA e, indirettamente, persino la responsabilità dell’attuale conflitto con l’Ucraina. Di fronte a queste ingenerose valutazioni, Mieli, come un novello Giove Pluvio, manifesta la propria indignazione scatenando un diluvio di puttanate
a proposito di Stalin, dei confini polacchi e così via; insomma, tutta roba che non c’entra niente.
Nel curriculum di Gorbaciov purtroppo ci sono davvero documentati dei crimini orrendi, come la sua partecipazione al Festival di Sanremo nel 1999; per quanto riguarda altri aspetti però la sua figura è tirata spesso in ballo a sproposito, a fare da capro espiatorio per situazioni che in realtà non dipendevano da lui. Si può cercare di rimettere ordine attingendo ad una fonte che il mainstream considera particolarmente attendibile, come l’archivio del “Washington Post”. Nel settembre del 1985 il prestigioso quotidiano della capitale degli USA dava
la notizia che il capo del governo polacco dell’epoca, il generale golpista Jaruzelski, sarebbe arrivato a New York, insieme col primate cattolico polacco Glemp, per conferire con alcuni banchieri, tra cui David Rockefeller. Nella memoria polacca questo episodio dell’incontro del 1985 tra Jaruzelski e Rockefeller è un po’ come per noi italiani l’aneddoto del panfilo “Britannia” del 1992, cioè l’avvio della svendita della Polonia ai privati. Gorbaciov era diventato Segretario del PCUS nel marzo del 1985, sei mesi prima di quell’incontro; quindi, in base alle date, il colpevole per aver ispirato quella svendita della Polonia sembrerebbe proprio lui. Sennonché nel corpo dell’articolo c’è un dettaglio che è ancora più interessante dell’incontro tra Rockefeller e Jaruzelski, e cioè che nel 1985 la Polonia era già soffocata dai debiti con banche occidentali.
Da un articolo del “Washington Post” del 1982 scopriamo anche che l’indebitamento con le banche occidentali riguardava tutti gli Stati dell’Europa dell’Est sotto il controllo sovietico, ed anche un paese socialista classificato come “non allineato”, come la Jugoslavia si trovava carico di debiti. Nell’articolo c’è un dettaglio persino più importante, e cioè che quell’indebitamento dei paesi dell’Est Europa era cominciato negli anni ’70, quindi ben prima dell’arrivo di Gorbaciov alla guida del PCUS. Negli anni ’70 Mosca aveva già elargito ai suoi Stati satelliti del Patto di Varsavia la “libertà” di indebitarsi con l’estero, quindi di diventare sudditi delle banche occidentali.
Questi dettagli delimitano di molto le responsabilità di Gorbaciov per la smobilitazione del Patto di Varsavia, visto che Mosca non avrebbe mai potuto farsi carico dei debiti dei suoi Stati satelliti; anzi, il fatto che quei debiti fossero stati contratti, costituiva il segno che da tempo l’occupazione sovietica dell’Europa dell’Est era economicamente insostenibile. Per quanto riguarda invece la questione ucraina, Gorbaciov ha veramente un alibi di ferro, in quanto nelle modalità dell’indipendenza ucraina egli non risulta aver avuto alcun ruolo, semplicemente perché ormai non contava più nulla.
Dal “Washington Post” del dicembre 1991 veniamo a sapere che la smobilitazione dell’Unione Sovietica era avvenuta per accordi diretti da parte dei governi della Federazione Russa, dell’Ucraina e della Bielorussia. Gorbaciov, sebbene formalmente ancora alla presidenza dell’URSS e contrario alla sua dissoluzione, era stato ignorato e scavalcato. Tra l’altro il presidente russo Eltsin nell’agosto del 1991 si era affrettato a riconoscere l’indipendenza ucraina. Se c’era qualcuno che doveva chiedere garanzie di non adesione dell’Ucraina alla NATO prima di riconoscerne l’indipendenza, questo era proprio Eltsin.
L’espansione della NATO ad est è stata un atto ostile e aggressivo nei confronti della Russia, ma non comunque tale da configurare la famosa “minaccia esistenziale”. Più la NATO si espande, più diventa vulnerabile, perché le nuove adesioni non possono compensare in termini di potenza la dilatazione del territorio da difendere. Persino i missili collocati in Polonia, che sono certamente un segno di irresponsabilità della NATO, oggi di per sé non comportano uno squilibrio di forze, perché dal 1962 la tecnologia è cambiata. Nel 1962 l’Unione Sovietica era minacciata dai missili nucleari installati dalla NATO in Turchia; missili talmente vicini da non lasciare il tempo di reazione. Per restituire il favore, il Cremlino installò a sua volta missili a Cuba; ne sortì una famosa crisi che si concluse con il contestuale ritiro dei missili sia da Cuba, sia dalla Turchia. La propaganda occidentale ha sempre messo in ombra il dettaglio del ritiro dei missili dalla Turchia, facendo passare la vicenda come una mera ritirata di Mosca; ma queste omissioni fanno parte del gioco. Il punto è che con
i nuovi sistemi automatizzati come il “Perimeter” russo, il problema del tempo di reazione non esiste più; anche se si piazzano i missili nucleari sotto il naso del nemico, ciò non ti salva comunque dal colpo di rappresaglia.
L’Ucraina è una cosa diversa, perché significa controllare la Crimea ed il Mar d’Azov, cioè il Mar Nero, verso il quale si era attuata la proiezione dell’impero moscovita per secoli. Non per nulla, le zone limitrofe al Mar Nero (Crimea e Donbass) erano state meticolosamente “russificate” dal XVIII secolo in poi. Lo sviluppo tecnologico ha cambiato molte cose ma non la dipendenza dal mare come principale via di trasporto; a meno che non s’inventi il teletrasporto come in Star Trek. La responsabilità di non aver reclamato i territori russi prima di riconoscere l’indipendenza ucraina, ricade quindi su Eltsin o, più precisamente, sulla sua cosca d’affari. La cosca evidentemente doveva avere un motivo per agire con tanta fretta, al punto da ignorare secoli di storia russa. Il motivo della fretta è più chiaro se si seguono i soldi. Sempre secondo
la fonte del Washington Post, nonostante diatribe e cause legali, l’Ucraina è stata per decenni il cliente di Gazprom più importante dopo la Germania. Per Eltsin e Gazprom si trattava di trasformare gli ex sudditi in clienti paganti, perciò si sono preferiti i soldi alla Santa Madre Russia. Nei fattacci ucraini Gazprom non ha un alibi, in compenso ha un movente.
L’attuale conflitto tra la NATO e la Russia viene spacciato dai media come uno scontro ideologico tra democrazia e autocrazia, oppure tra globalismo e nazionalismo. In realtà chi lo dice è il primo a non crederci ed a sapere che le ideologie non c’entrano niente, in quanto l’impero russo ha cercato di evolversi in un imperialismo puramente commerciale. Allo scopo le oligarchie russe non hanno esitato a scatenare un attacco alle proprie classi subalterne ai limiti del genocidio (solo che non l’ha fatto Stalin, quindi da noi si è fatto finta di non accorgersene). È stata l’aggressività della lobby delle armi statunitense a bloccare la transizione dell’imperialismo russo al livello affaristico/commerciale. La lobby delle armi ha portato il suo azzardo ad un livello di ludopatia, contagiando una parte di opinione pubblica che ora assiste alla guerra come se fosse un videogioco. Tanta irresponsabilità è dovuta al fatto che la Russia, a differenza dell’URSS, non è percepita davvero come una minaccia; e ciò non perché si creda che la Russia sia debole, ma perché si coglie la sostanziale affinità col suo sistema d’affari. Il paradosso sta nel fatto che la falsa coscienza delle classi dominanti nel sistema capitalistico non è assolutamente in grado di percepire il pericolo se questo non si esprime come sfida ideologica. È proprio questa falsa coscienza a rendere i conflitti intercapitalistici molto più pericolosi e distruttivi dei conflitti ideologici.