Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Nei suoi interventi contro il Decreto “Sicurezza” voluto dal ministro Salvini, Emma Bonino ha affermato che costringere i migranti nel ghetto nella clandestinità otterrà l’effetto di aumentare l’insicurezza e l’illegalità. In realtà c’è anche di peggio, in quanto tenere i migranti in condizione di clandestinità li rende più ricattabili, mettendoli perciò in condizione di dover accettare salari ancora più bassi; quindi si intensifica quell’effetto di deflazione salariale che costituisce uno dei motivi per i quali viene incentivata l’immigrazione, che serve anche a far concorrenza al ribasso ai lavoratori residenti.
Non c’è da sorprendersi che la Bonino abbia omesso questo dettaglio realistico, poiché sarebbe risultato stonato nel gioco delle parti tra i “cattivisti” che gridano all’invasione e i “buonisti” che predicano l’accoglienza. Magari si rischiava anche di notare il business dei “migration loans” e delle rimesse dei migranti (qualcosa come cinquecento miliardi all’anno), tutti business organizzati e incentivati dalla Banca Mondiale.
La cosiddetta “sinistra” si è appiattita sotto le posizioni della Bonino, quindi del suo ideologo/mandante George Soros. In tal modo la “sinistra” ha aderito alla impostazione secondo cui il Decreto era dettato solo da “insipienza” e “cattivismo elettorale”, non cogliendo la sfida ideologica nazionalistica al modello mondialistico alla Soros che Salvini voleva muovere.
Mentre la “sinistra” si ostina a ritenere la disuguaglianza come un effetto collaterale delle contraddizioni economiche, le destre considerano la disuguaglianza un valore in sé. In altre parole le destre sono tali perché propugnano un modello gerarchico di società. La destra mondialista vuole una società composta di una massa informe e multietnica, appiattita verso il basso; ovviamente sotto la “tutela” pelosa di élite che da un lato sono sì rigorosamente bianche ma, dall’altro lato, vogliono far intendere alle masse che il loro appartenere ad etnie bianche non conferisce loro alcun diritto di accesso alle élite. Come diceva Julius Evola, un vero razzista non acconsentirebbe mai a riconoscere l’uguaglianza, neppure tra bianchi DOC.
La destra nazionalista difende invece la tradizionale stratificazione sociale basata sul ruolo del ceto medio, con i migranti, in particolare quelli di colore, in condizione di acclarata inferiorità e con un piede fuori della porta. La destra nazionalista non può essere quindi accusata di razzismo tout-court, poiché oppone la sua propria visione razzistica della scala sociale ad un’altra visione razzistica, ancora più esclusiva, quella appunto del mondialismo. I vari Bilderberg e le varie Trilateral non sono importanti per i complotti che vi si organizzano, bensì per il messaggio elitario che lanciano: una congrega di super-ricchi e di loro politici vassalli che si riunisce a spese del contribuente che paga la protezione poliziesca contro i curiosi ed i manifestanti. Lasciare la denuncia di queste esibizioni elitarie a Mario Borghezio non rappresenta una scelta molto oculata, soprattutto se dettata dal solito timore di essere etichettati come “complottisti” dai media.
Una “sinistra” che accusi di razzismo solo la destra nazionalista, si condanna a soccombere a livello elettorale e, in generale, a livello ideologico alla destra nazionalista, che viene percepita comunque dalla gran parte dell’opinione pubblica come una difesa contro lo schiacciamento sociale indifferenziato condotto dal mondialismo della finanza. L’educazionismo antirazzista della “sinistra” irrita le masse e le spinge sempre di più verso i vari Salvini, i quali hanno buon gioco ad indicare la stessa “sinistra” come un agente del mondialismo.
La consapevolezza delle destre che la disuguaglianza non è un dato naturale e “oggettivo”, bensì una costruzione convenzionale e valoriale, le rende molto più disinvolte e spregiudicate sul piano della propaganda. Di tale propaganda la maggiore vittima è l’opinione di “sinistra”, sempre facile ad essere spaventata e intimidita con i più assurdi spauracchi. Ecco allora una “sinistra” pronta ad adottare lo slogan del debito che verrebbe scaricato sulle future generazioni, dimenticandosi persino di Marx, che spiegava che è impossibile consumare ciò che non è stato ancora prodotto.
Un altro tema su cui la credulità della “sinistra” ha sfiorato il ridicolo è quello della Brexit. Dopo aver vissuto la Brexit come un dramma esistenziale, la “sinistra” si beve ora con acritico compiacimento la propaganda mediatica che descrive un Regno Unito in difficoltà a causa di un estenuante negoziato per le condizioni di uscita. Basterebbe un po’ di realismo per capire che il governo britannico non ha nessun motivo per darsi fretta, anzi, ha tutto l’interesse a dilatare i tempi del negoziato, poiché la sua controparte si fa ogni giorno più debole.
La disinvoltura propagandistica delle destre consente loro anche degli utili giochi delle parti. Se si fosse voluto davvero mettere in difficoltà Salvini si sarebbe cercato di rafforzare l’ala tradizionale separatistica della Lega; ed a questo scopo sarebbe bastato alla UE di consentire che l’agenzia europea del farmaco fosse spostata a Milano. Al contrario, si è stati pronti persino a barare pur di assegnare la sede dell’agenzia del farmaco ad Amsterdam.
La realtà è che un Salvini in versione divistica in questo momento fa gioco poiché costituisce un comodo capro espiatorio su cui addossare le crescenti difficoltà della UE. Il Sud dell’Europa può quindi essere additato ai virtuosi popoli del Nord come il responsabile dell’affossamento dell’Europa. L’importante è che il valore della disuguaglianza sia salvo e su questo perno una destra mondialista, oggi in difficoltà a causa dei suoi stessi eccessi, possa in futuro prossimo ricostruire le proprie fortune.
È chiaro che denunciare il razzismo delle élite significa mettere non solo in crisi, ma sotto accusa, tutta la visione ecumenica su cui la “sinistra” ha vissuto negli ultimi trenta anni, mettendo in ridicolo l’idillio europeistico secondo il quale i popoli del Nord accetterebbero di integrarsi alla pari con i popoli del Sud. In altre parole, la “sinistra” dovrebbe essere costretta a spiegare (ed a spiegarsi), come sia potuta passare da Stalin ad Alice nel Paese delle Meraviglie.
La “sinistra” è oggi in predicato di arruolarsi nella campagna contro il presunto pericolo fascista costituito dal cosiddetto populismo. Il problema è che si andrebbe alla guerra con armi spuntate, poiché la stessa “sinistra” ha subito passivamente nel recente passato delle campagne tese a screditare proprio l’antifascismo. Nel 2003 la pubblicazione del libro di Giampaolo Pansa “Il Sangue dei Vinti”, con la relativa campagna mediatica a supporto, ha fatto sì che si passasse direttamente dalla mitizzazione acritica della Resistenza (il “Secondo Risorgimento”) ad una altrettanto acritica, quanto pretestuosa, criminalizzazione. Non si tratterebbe di una questione di incoerenza, in quanto purtroppo una coerenza della “sinistra” ci sarebbe, poiché ora, come quindici anni fa, la costante è sempre quella della dipendenza dalla comunicazione mainstream.
Molti hanno notato che queste campagne tese a screditare l’antifascismo coincidevano con le tesi, esplicitamente enunciate da documenti di JP Morgan, secondo cui i problemi economici dell’Europa deriverebbero dalle “Costituzioni antifasciste”. Dagli stessi ambiti della finanza globale erano provenute quaranta anni prima le lamentele di marca Trilateral circa presunti “eccessi di democrazia”, cioè l’eccesso di una cosa che non esiste. Il documento commissionato nel 1975 dalla Trilateral sulla crisi delle democrazie ripercorreva i soliti schemi del lamento dei ricchi per il presunto assalto dei poveri alla cassa. Il punto è che qualsiasi mediazione sociale, o semplice gestione sociale, ha comunque un costo. Anche se si decidesse di eliminare i poverissimi ed i pensionati nei campi di concentramento o in forni crematori condominiali, ciò comporterebbe inevitabilmente una spesa che, nel loro eterno vittimismo, i ricchi interpreterebbero come assistenzialismo per poveri.
Il documento di JP Morgan era del 2013 e segnalava che dal 1975 la linea della finanza globale non è cambiata. Nel 2007 infatti era stato lanciato un altro best-seller, “La Casta”, dei giornalisti Stella e Rizzo. In questo caso il bersaglio era costituito dai costi e dai privilegi del ceto politico, in altri termini dai costi della “democrazia reale”. Manco a dirlo, la “sinistra” non reagì anche in quel caso, andando completamente in braccio alla retorica dei “vincoli esterni” necessari per tenere a freno un ceto politico spendaccione. La delegittimazione si completava così in un’auto-delegittimazione. A far le spese di questo clima ostile alla politica fu il secondo governo Prodi, quotidianamente attaccato dai media e dalla Confindustria.
Ma negli attacchi alla “sinistra” ed alle amministrazioni locali da essa gestite, si era distinto già all’epoca della prima esperienza di governo di centrosinistra degli anni ‘90 anche il quotidiano “La Repubblica”, pur considerato il massimo referente mediatico della stessa “sinistra”. L’alibi invocato per questa incongruenza era quello dell’imparzialità, ma gli sviluppi successivi dimostrarono che si trattava d’altro.
Nel febbraio 2001, a ridosso della campagna elettorale per il rinnovo del parlamento, “la Repubblica” avviò lo scandalo Telekom Serbia, con un’inchiesta di Giuseppe D’Avanzo e Carlo Bonini che riguardava presunte tangenti versate nel 1997 durante il primo governo Prodi. Si trattava di un mega-affare tra la italiana Telecom e l’omologa azienda di Stato serba. L’affare aveva disturbato potentati economici sia statunitensi che europei. Il successivo governo D’Alema rientrò all’ovile, non solo partecipando al bombardamento della Serbia, ma anche privatizzando la Telecom che sino ad allora era stata al 60% di proprietà del Tesoro. Rientrare all’ovile però non servì a nulla, poiché nel 2001 lo scandalo scoppiò lo stesso ad opera del quotidiano “amico”; uno scandalo che fu usato dalla propaganda di destra finché non si sgonfiò sul piano giudiziario, quando però ormai i danni erano fatti. In parlamento l’allora ministro degli Esteri, Lamberto Dini, osservò che il dossier presentato da D’Avanzo e Bonini non era alla portata di due semplici giornalisti, perciò ipotizzò un’imbeccata da parte della CIA; cosa che comportò anche un contenzioso giudiziario tra i giornalisti e Dini. Il procedimento si concluse con una più che prevedibile non autorizzazione a procedere da parte del Senato.
Strano che la “sinistra” non si sia mai accorta di questa subdola ostilità dei quotidiani “amici”. Nelle elezioni del 2006 il “Corriere della Sera” diretto da Paolo Mieli prese esplicitamente posizione a favore della coalizione di centrosinistra diretta da Prodi, che poi vinse di misura. Ma nel 2007 fu proprio la casa editrice Rizzoli-Corriere della Sera a pubblicare “La Casta”.
Ci si è sorpresi poi della nascita e della crescita improvvisa della “antipolitica”, cioè del Movimento 5 Stelle (avrebbe dovuto chiamarsi “5 Stelle e 5 Rizzi”, visto che i veri teorici erano stati loro e non Grillo). I 5 Stelle si sono ampiamente giovati del fatto di non avere un passato che potesse essere loro rinfacciato, come accade invece alla “sinistra”. Il passato senza consapevolezza non diventa Storia ma mera coazione a ripetere, così una “sinistra” che non ha superato il trauma della destalinizzazione è caduta in una sorta di smania del parricidio: prima D’Alema ha fatto fuori Occhetto, poi D’Alema è stato criminalizzato da Renzi, poi il PD in parlamento ha ammazzato il padre fondatore Prodi non votandolo per la Presidenza della Repubblica.
Il moralismo/onestismo dei 5 Stelle aveva trovato ulteriore spinta in altre operazioni mediatiche, come quella del docu-romanzo “Gomorra”, del 2006. Nel 2013 è arrivato anche il romanzo “Suburra”, un best seller, con annessa campagna mediatica, funzionale alla criminalizzazione/meridionalizzazione di Roma. Il coautore di “Suburra” è quello stesso Bonini dello scandalo Telekom-Serbia.
A conferma dell’aforisma di Oscar Wilde, secondo cui è la vita ad imitare l’arte, nel 2014 arrivava l’inchiesta giudiziaria su Mafia Capitale, di cui faceva le spese l’ignaro e ingenuo sindaco del PD, Ignazio Marino, brutalmente spodestato da Renzi. Il procedere della campagna di meridionalizzazione/criminalizzazione di Roma ha comportato che la tempesta giudiziaria colpisse anche il sindaco 5 Stelle Raggi, ma le sue peripezie sono nulla al confronto dell’entità delle accuse che avevano travolto Marino.
La “sinistra” è un bersaglio delle agenzie di disinformazione ma non sa di esserlo, poiché non ne capirebbe giustamente il motivo. Il punto è che questi attacchi non partono da centrali europee, ben consapevoli che la sinistra non esiste più, bensì da centrali statunitensi che non conoscono la realtà europea e che agiscono ancora in base a schemi di guerra fredda. Gli esecutori europei di queste operazioni di psicoguerra non sono probabilmente nelle condizioni di avvisare i propri mandanti della cantonata che prendono, poiché ciò comporterebbe il rischio di perderne la fiducia e quindi i finanziamenti.
Eppure i segnali concreti per la sinistra che la guerra fredda per gli USA non era mai finita non sono mancati. Agli iscritti alla CGIL ancora dieci anni fa era infatti precluso di poter lavorare nella costruzione di basi NATO o di svolgervi attività di rappresentanza sindacale.
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