Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Sino all'anno scorso affermare che la NATO ed il Fondo Monetario Internazionale sono i veri padroni dell'Unione Europea, poteva apparire come una sbrigativa semplificazione. La crisi ucraina ha costretto invece ad affrontare questo dato come un'evidenza. In tutta la vicenda ucraina, la NATO ha dettato l'agenda militare e il FMI quella economica finanziaria, e la UE si è posta ogni volta come docile strumento dell'una e dell'altra. Per tutti coloro che, anche nelle prossime elezioni europee, vorrebbero continuare ad affrontare la prospettiva di un'uscita dall'euro come questione a sé stante, si tratta di una pietra d'inciampo non facile da aggirare, poiché ormai non si può fare più finta che il problema sia solo quello del "rigorismo" tedesco. In più, per l'anno prossimo si prepara anche la scadenza del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), cioè la "NATO economica", che prospetta tanti nuovi guai, da far impallidire molte diatribe attuali sull'euro. E intanto la stessa UE, così com'è ancora adesso, si è già rivelata come una prima forma di "NATO economica".
Anche la divisione e la gerarchia tra Nord e Sud all'interno della UE, risultano in una luce diversa se si tiene conto che la vera sudditanza europea si esprime nei confronti del FMI. Ci si chiedeva come mai il Paese/salotto del Nord Europa, l'Olanda, si fosse ridotto a fare da paradiso fiscale, alla stregua degli Stati-isoletta del Centro-America. Andando sul sito del FMI, ci si accorge che anche
l'Olanda è trattata come una colonia, con istruzioni e compiti a casa da eseguire. Le lodi maggiori allo scolaro riguardano però proprio il sistema fiscale olandese a pro dell'elusione fiscale delle multinazionali.
L'unica argomentazione che questo Occidente, allineato e gerarchizzato sotto la direzione NATO-FMI, riesce a produrre nella crisi ucraina, riguarda la personalizzazione della questione, tutta e sempre centrata sulla impresentabilità del personaggio Putin. La propaganda sulla presunta arroganza di Putin deve però scontrarsi con la realtà di un segretario di Stato USA che si comporta da padrone in Europa. Kerry ha infatti ammutolito i governanti europei, che aspettano i suoi cenni per eseguire gli ordini.
Ma anche mettendo da parte la protervia di Kerry, e tralasciando persino Guantanamo, Abu Ghraib e la Kill-List, rimarrebbe il fatto che questa propaganda ad personam costituisce di per sé la più grave auto-delegittimazione che il cosiddetto Occidente potesse mai esprimere. Nel 1989 la caduta del Muro di Berlino era stata spacciata come l'alba di una nuova era di pace, libertà e sviluppo, mentre i venticinque anni successivi non hanno fatto altro che riproporre il continuo affacciarsi di effigi di dittatori da abbattere, come in un macabro luna-park. I fanatici integralisti islamici ed i "nuovi Hitler" hanno rappresentato però un pessimo surrogato della minaccia comunista, poiché costituiscono la prova che l'unico ed autentico potenziale espansivo del mitico Occidente rimane quello dell'aggressione militare.
Inoltre si deve assistere al paradosso di un integralismo islamico che è ritornato utile per aggredire Gheddafi ed Assad, mentre il neonazismo dei nostalgici dello Hitler originale è risultato decisivo per abbattere i regimi dell'Est sgraditi al Sacro Occidente. Il neonazismo filo-occidentale infatti prospera non soltanto in Ucraina, ma anche in Croazia e nei Paesi baltici, mettendo in mora persino la equiparazione tra nazismo e comunismo proclamata dall'OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) a Vilnius nel luglio 2009. La dichiarazione OSCE suscitò a suo tempo le
rimostranze della Russia, che si era trovata inopinatamente ad essere considerata responsabile alla pari della Germania per lo scoppio della seconda guerra mondiale. Non c'è quindi da stupirsi che gli "osservatori" dell'OSCE siano stati riconosciuti dai russo-ucraini come spie, o quantomeno provocatori, della NATO.
Equiparare nazismo e stalinismo in base al loro comune carattere criminale, costituisce chiaramente un'operazione ideologica tendente ad assolvere preventivamente le "democrazie occidentali" dal sospetto di svolgere a loro volta un ruolo criminale e guerrafondaio. Ma dall'assoluzione si passa automaticamente alla santificazione, che consente alle sacre democrazie occidentali addirittura di rivendicare doti taumaturgiche, facendo assurgere a piacimento chiunque, persino i demoni del neonazismo, all'Olimpo dei "combattenti per la libertà e la democrazia". Che l'eroe del 1989 sia stato il drammaturgo ceco Vàclav Havel, proveniente da una famiglia di collaboratori del nazismo, avrebbe dovuto costituire già un'avvisaglia di ciò che sarebbe accaduto in futuro, e che costringe ora a rileggere tutto l'89 dell'Est europeo come la prima grande "rivoluzione colorata" allestita dalla NATO.
La rilettura degli eventi potrebbe spingersi ancora più indietro, ricordandosi che almeno sino al 1944 rimase in piedi l'ipotesi del "cambio di fronte", cioè che gli alleati anglo-americani rivolgessero le armi contro l'Unione Sovietica accogliendo i nazifascisti come cobelligeranti della crociata anticomunista. Fu solo la rapida avanzata dell'Armata Rossa nel corso del 1944 a far tramontare definitivamente l'ipotesi del "cambio di fronte". In caso contrario il nazifascismo si sarebbe potuto ritrovare arruolato a pieno titolo nella "democrazia occidentale" con molti decenni di anticipo.
Nelle scorse settimane sono cominciate ad arrivare al governo Renzi le prime
"critiche" per la mancata enfasi sul tema della lotta all'evasione fiscale. Più che di vere critiche si trattava però del consueto "porgere la battuta" su una questione che appare sempre al centro dell'attuale parodia di dibattito politico.
La lotta all'evasione fiscale sembrerebbe addirittura al centro dell'attenzione mondiale, con un diretto interessamento del G-20, imbeccato da alcuni rapporti stilati a riguardo dall'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) nello scorso anno, sulla questione della
"concorrenza fiscale dannosa".
I costosissimi "rapporti" OCSE non erano altro che la solita rimasticatura di notizie già risapute, ma hanno ugualmente suscitato recriminazioni da parte di ambienti del sedicente "liberismo", che hanno persino paventato il pericolo di una omologazione delle legislazioni fiscali dei vari Stati, con la conseguenza di togliere quella presunta remora alla voracità del fisco costituita dall'esistenza di paradisi fiscali con cui doversi confrontare. La propaganda dei ricchi (anzi, il loro monopolio ideologico) tende sempre a presentarli come vittime di un fisco ingordo, posto al servizio delle esorbitanti pretese dei poveri. Ed ecco che anche una lobby delle privatizzazioni al servizio delle multinazionali, come è notoriamente l'OCSE, viene fatta apparire dal vittimismo dei ricchi come una insidiosa congrega di comunisti.
Si parla molto in questo periodo del caso della
legislazione fiscale irlandese, che, sebbene leggermente modificata, consente ancora - anzi, meglio di prima - alle multinazionali del Web, come Google o Apple, di eludere la tassazione dei Paesi in cui fanno i loro affari.
D'altra parte l'Irlanda non può più essere spacciata come un caso di "libera concorrenza fiscale", dato che dal 2010 questo Paese è sotto il diretto controllo del Fondo Monetario Internazionale e dell'Unione Europea, un controllo che si esercita attraverso un "pacchetto" di misure economiche poste a condizione di un mega-prestito. Visto che il regime fiscale "paradisiaco" non aveva evitato all'Irlanda il tracollo finanziario - al contrario, lo aveva favorito -, appare ben strano che il
"pacchetto" imposto dai "moralizzatori" non prevedesse un ritorno alla normalità fiscale.
L'OCSE ed il FMI non sono certo due estranei che parlano lingue differenti, dato che si tratta in pratica della stessa organizzazione. I rapporti del FMI e dell'OCSE a proposito dell'Italia sembrano infatti delle fotocopie, con le scontate e ricorrenti
litanie sull'urgenza delle privatizzazioni e della diminuzione delle tutele sul lavoro. L'OCSE ha continuato ad insistere sulla necessità di privatizzare l'acqua anche dopo che l'esito referendario del 2011 sembrava aver chiuso definitivamente il discorso. Ma, ultimamente, le due organizzazioni internazionali hanno posto anche l'accento sull'aumento della base imponibile, da ottenere, manco a dirlo, con la "lotta all'evasione fiscale".
Che la lotta all'evasione ed all'elusione fiscale delle multinazionali vada oltre le dichiarazioni, è davvero molto irrealistico; perciò l'impressione è che si parli delle multinazionali, ma poi il capro espiatorio sarà al massimo il ceto medio, affidato alle cure del carnefice Equitalia. C'è da considerare però anche la possibilità che lo slogan della lotta all'evasione fiscale serva al FMI ed all'OCSE come contentino ed alibi mitologico per allontanare i riflettori dalle misure veramente concrete, e cioè le privatizzazioni.
L'opinione pubblica progressista è stata addestrata a considerare le tasse come un culto laico, una sorta di religione civile, per la quale le tasse vanno pagate con un intimo godimento, poiché andrebbero a vantaggio del benessere della collettività. La chimera del ricco costretto a pagare le tasse, costituisce il sogno ricorrente dell'opinione progressista, costretta dalla propaganda a non soffermarsi mai a considerare l'ossimoro, la contraddizione in termini, contenuta nell'immagine del ricco che non evade il fisco. Alla fintosinistra piacciono gli ossimori, come dimostra anche la loro insistenza sul mettere insieme l'Europa e la "crescita".
Ma ciò che è pensabile non necessariamente è possibile; anzi, spesso non lo è. L'imporre legalità al privilegio è un controsenso, poiché il privilegio consiste appunto nella superiorità rispetto alle regole comuni. Sarebbe molto più facile e sensato abolire la ricchezza privata che imporle dei limiti. Del resto non sarebbe necessaria neppure una particolare ingegneria sociale, dato che non esiste una ricchezza privata che non sia legata in qualche modo ai flussi di denaro pubblico. La privatizzazione costituisce, da sempre, lo strumento principale dell'arricchimento privato, e le privatizzazioni comportano per la comunità un doppio impoverimento poiché non consistono soltanto nella perdita di un bene pubblico, ma devono essere finanziate dalla spesa pubblica in ogni loro fase.
Uno degli attuali bersagli della lobby delle privatizzazioni riguarda il settore dei beni culturali, lasciati decadere nell'incuria per presentare i privati come i salvatori della patria. Nelle rappresentazioni mitologiche della propaganda sedicente "liberista", ci si prospetta un mondo in cui tutto - proprio tutto - sia affidato ai privati; ma si tratta appunto di una millanteria propagandistica. Il privato infatti non può sopravvivere senza un settore pubblico da parassitare in continuazione. Se, ad esempio, il settore previdenziale venisse interamente privatizzato e finanziarizzato, non potrebbe più sussistere il business privato dei prestiti ai pensionati, poiché, per poterne prelevare una quota, la pensione deve esserci davvero. Si spiega così il provvedimento del Medicare (o Obamacare) negli Stati Uniti, dove ormai la gente non era più disposta a contrarre assicurazioni sanitarie presso un privato che non garantiva nulla; a questo punto è intervenuto il governo, che ha fiscalizzato i contributi sanitari, per poterli poi versare alle solite assicurazioni private.
La religione civile delle tasse non tiene conto del fatto che il principale destinatario-beneficiario dei proventi del fisco non è il bene pubblico, ma il lucro privato. Le tasse, pagate soprattutto dai poveri, vanno a finanziare principalmente i ricchi. La spesa pubblica si accolla non solo i costi delle privatizzazioni, ma anche i costi del lobbying delle privatizzazioni, che ha la sua centrale proprio nelle organizzazioni internazionali come l'OCSE ed il FMI. Ciò è dimostrabile con esempi precisi: nel settembre del 2011, in piena tempesta finanziaria, l'Italia è stata costretta a raddoppiare la sua
quota di partecipazione al FMI, con un conseguente ulteriore aggravio a carico della spesa pubblica.
Ciò accadeva mentre in parlamento già ci si accingeva ad inserire l'obbligo del pareggio di bilancio nella Costituzione, che sarebbe stato approvato definitivamente nell'aprile successivo. Ma forse per ottenere il pareggio di bilancio basterebbe non accollarsi almeno il costo del lobbying delle multinazionali, uscendo dalle esose organizzazioni internazionali.