Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Il gruppo islamista nigeriano Boko Haram (tradotto: "l’educazione occidentale è sacrilega!!!") manda in giro dei video della cui autenticità non si può assolutamente dubitare. Infatti i protagonisti vi appaiono di una tale folle crudeltà da sembrare i personaggi di quei film americani sulla folle crudeltà islamista. Forse sono proprio gli attori di quei film.
Sembra che il gruppo islamista Boko Haram sia così cattivo, ma così cattivo, da spingere a dissociarsi persino Al Qaeda, che da oggi avvia una politica di sobrietà e di rigore, che consentirà finalmente alla CIA di non doversi più vergognare di collaborare con lei.
L’ignobile rapimento delle duecentocinquanta liceali nigeriane ha suscitato un’ondata di sdegno che ha toccato il mondo intero. "Ridateci le nostre ragazze" campeggiava sui cartelli di manifestanti e leader mondiali. Tenendo conto che la tratta delle schiave nigeriane ha portato finora in Europa più di cinquantamila ragazze, gli infami di Boko Haram potrebbero anche rispondere: "Ma come? Cinquantamila ancora non vi bastano?"
Circa un mese fa il settimanale britannico "The Economist" dedicava
un articolo piuttosto istruttivo alla situazione ucraina. Il sottotitolo dell'articolo è centrato su un semplice concetto: il costo per fermare Putin adesso è alto, ma se l'Occidente non fa nulla, in futuro sarà ancora più alto. L'articolo non allude a soluzioni militari, ma all'uso di sanzioni economiche, sia commerciali che finanziarie, contro la Russia.
Le argomentazioni dell'articolo sono abbastanza scontate, e si rifanno al consueto criterio dei due pesi e due misure. Si recrimina, ad esempio, sul fatto che Putin abbia mancato di parola nei confronti dell'Ucraina, ma non si fa autocritica sulla mancata promessa occidentale di non espandere ulteriormente i confini della NATO verso Est. E ancora: l'articolo esprime scetticismo sulla pretesa russa di non aver influenzato i risultati dei referendum separatisti; come se manipolare un referendum fosse più grave che organizzare un colpo di Stato in piena regola, come ha fatto la NATO a Kiev.
Ma non sono questi gli aspetti interessanti dell'articolo, che si fa notare invece per la posa di lungimirante saggezza che cerca di ostentare. L'impressione che si vuole suscitare nei lettori è di aver trovato finalmente dei capitalisti che non guardano solo all'interesse immediato, ma che sanno porsi strategicamente nei confronti dei problemi globali. Il parassitismo delle lobby private però non è soltanto economico e finanziario, ma anche ideologico. Le lobby tendono a fagocitare gli schemi di analisi e le aspettative persino degli oppositori, strumentalizzando i loro eccessi di spiegazione, e usandoli per simulare nella propaganda una sorta di "respiro strategico" delle proprie scelte. Ma l'imperialismo non è una "politica", bensì un intreccio di affari.
Si sarebbe potuto persino cascare nella retorica di "The Economist" su Putin, se non si sapesse già che le sanzioni economiche costituiscono un business, ovviamente non per chi le subisce, ma per coloro che possono offrire il servizio di aggirarle. Se la guerra è la madre di tutti gli affari, le sanzioni ne sono almeno le zie. Un Paese colpito dalle sanzioni "occidentali" può infatti continuare tranquillamente a fare i suoi affari, ma ovviamente versando una più che congrua tangente alle banche "occidentali".
La lista degli istituti di credito esperti in riciclaggio che hanno operato per aggirare le sanzioni finanziarie e commerciali nei confronti dell'Iran, è praticamente infinita. Nel 2012
anche la banca italiana Unicredit è finita sotto inchiesta negli USA, ma c'erano in ballo soprattutto multinazionali bancarie del peso di JP Morgan o della Royal Bank of Scotland. Queste inchieste governative USA ovviamente finiscono a tarallucci e vino, con qualche centinaio di milioni di dollari di multa a fronte di miliardi di profitti.
Tutto questo accade con un Paese di medio livello come l'Iran, ma se delle gravi sanzioni finanziarie e commerciali colpissero un Paese delle dimensioni della Russia, il business del riciclaggio schizzerebbe alle stelle. Non sorprende dunque di ritrovare nella lobby delle sanzioni alla Russia anche il finanziere George Soros, il quale espone le sue tesi a riguardo in
un'intervista ad un corrispondente del settimanale tedesco "Der Spiegel". L'intervista fa parte di un libro in cui Soros dispensa le sue consuete perle di saggezza sui problemi mondiali.
Come la saggezza di "The Economist", anche quella di Soros appare fin troppo sospetta. L'insano vegliardo della finanza globale ha svolto nei decenni passati un ruolo decisivo nella destabilizzazione dell'Ucraina. Oggi Soros si pone sul versante del "sanzionismo moderato ed oculato", ed appare preoccupato di offrire confortevoli sponde a quegli oligarchi russi che hanno rotto ogni legame di lealtà con il proprio territorio, depositando i propri soldi in Svizzera e mandando i propri figli a studiare all'estero. I riferimenti agli "oligarchi" russi - cioè agli affaristi di Gazprom e dintorni -, ed al modo di pensare di questi affaristi, costituiscono l'unico accenno di verità dell'intervista di Soros; e c'è da supporre che da un momento all'altro potrebbe anche verificarsi una dura resa dei conti tra Gazprom e le forze armate russe, un'eventualità che avrebbe come primo effetto di far saltare il ruolo di mediazione di Putin.
Per quanto possa apparire assurdo, ci sono davvero in giro quelli che ascoltano Soros come se questi fosse un finanziere "illuminato", anche mentre le sue parole fanno chiaramente intendere che il suo unico pensiero va a quanto potrebbe lucrare sull'esportazione e sul riciclaggio dei capitali degli oligarchi russi.