Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
L'immagine del Renzi "dittatore" sembra l'ovvio coronamento della collana di "successi" che egli ha riscosso negli ultimi mesi, dal Jobs Act all'Italicum, sino all'approvazione alla Camera della "riforma" della Scuola. Un'opposizione che dipingeva Renzi come ciarlatano e cialtrone, sembra oggi ricredersi e cominciare finalmente a prendere sul serio il personaggio; e affibbiargli l'epiteto di "dittatore" costituisce implicitamente un modo di celebrarne l'immagine.
In realtà Renzi rimane quel piccolo cialtrone che era sembrato sin dall'inizio, e l'effetto ottico dell'ingigantirsi della sua immagine è solo il risultato di una serie di errori comunicativi delle stesse opposizioni. Renzi è solo il Buffone di Turno, mentre da più di venti anni la vera dittatura è quella delle organizzazioni sovranazionali come il Fondo Monetario Internazionale e la NATO. Tutti i governi-fantoccio che si sono succeduti in Italia in questi anni hanno mostrato una linea di continuità nelle proprie azioni. I trattati internazionali sono una forma di guerra a bassa intensità che distrugge l'indipendenza di un Paese e lo asservisce agli interessi del lobbying multinazionale.
Non si era affatto aspettato Renzi per distruggere l'istruzione pubblica, ci avevano già pensato i ministri Berlinguer e Gelmini. L'ultima pseudo-riforma si muove sulla stessa linea della destabilizzazione e del caos, con norme che vanno oltre il limite del ridicolo volontario. Si attribuisce al preside la facoltà di assumere a sua discrezione, ma poi gli si vieta di assumere personale a lui legato da rapporti di parentela e di coniugio. Il divieto è facilmente aggirabile con l'espediente dello scambio di favori tra presidi, ma con quel divieto si è anche ammesso che gli abusi sono impliciti nella norma. Il pasticcio giuridico arriva al paradosso di costituire una discriminazione verso i parenti dei presidi, esclusi per principio anche se in possesso dei titoli necessari. Qualcuno ha ironizzato sul fatto che non si sia vietato di assumere le amanti, ed in effetti la norma si presta, più che a favoritismi parentali, a vere e proprie forme di prossenetismo a favore delle gerarchie ministeriali, che sono le vere padrone dei presidi, oggi vincolati alle singole scuole da contratti triennali.
L'equivoca figura del preside tenutario distrae però dalla vera trappola del DDL, quell'articolo 21 - ora diventato articolo 22 - che attribuisce al governo la delega per ulteriori decreti applicativi sulla Scuola nei prossimi mesi. Il vero cambiamento atteso è l'attribuzione dell'ultimo anno delle superiori all'Università, in vista della creazione di College all'americana che si occupino della preparazione pre-universitaria, erogata a pagamento o a credito. Gli intoppi dell'edilizia universitaria hanno determinato una dilazione dei tempi; ma, quando i Campus come quello di Bologna saranno pronti, si verrà messi di fronte al fatto compiuto. Allo stesso modo non si era aspettato Renzi per eliminare i diritti del lavoro, dato che aveva già provveduto il ministro Sacconi, così come l'articolo 18 era già stato svuotato dalla Fornero. L'Italicum è un broglio elettorale legalizzato; ma la totale indifferenza che Renzi sta mostrando per la tradizionale base elettorale del PD (insegnanti in primis), dimostra che, quanto a brogli, l'Italicum e tutte le altre leggi elettorali passate, presenti e future, sono l'ultimo dei problemi.
Ciò che fa ora Renzi si pone quindi nella stessa linea del lobbying multinazionale insediato nelle organizzazioni sovranazionali; e sono quelle organizzazioni, non le minacce di Renzi, a terrorizzare i dissenzienti interni al PD. I meccanismi dell'opposizione sono troppo spesso improntati ad una sorta di roleplay, che comporta l'obbligo di vestire i panni dell'anima bella a beneficio dei media. Iniziative di mobilitazione che in sé sarebbero assolutamente valide, vengono però accompagnate da messaggi che sembrano evocare ogni volta la difesa dell'ultima trincea di una democrazia che in effetti non esiste più, semmai è esistita. Il disastro comunicativo è duplice, poiché si può essere facilmente incasellati nel ruolo dei "conservatori" dalla propaganda ufficiale, ed inoltre si perpetuano l'equivoco e l'illusione della possibilità di una lotta politica interna ad un Paese sovrano.
In realtà in fatto di "cessione di sovranità" non vi sono mezze misure possibili: cedere una parte della sovranità comporta perderla tutta, cioè si diventa una colonia. Si tratta di una cosa chiamata imperialismo, il grande sconosciuto o dimenticato. Anche negli anni '70, quando si parlava di imperialismo, si pensava al Vietnam o, al più, al Cile, ma ci si dimenticava di Piazza Fontana.
La Siria costituisce un ulteriore banco di prova di questo meccanismo ferreo dei rapporti internazionali. Il regime siriano ha concesso agli Usa l'ingresso nel proprio territorio per combattere l'ISIS. Un anno e mezzo fa, prima dell'arrivo degli USA in Siria, Assad sembrava prossimo a vincere la sua guerra contro le milizie islamiche, ma ora i media ci fanno sapere che, "nonostante" i bombardamenti statunitensi, nell'ultimo anno lo Stato Islamico è diventato più forte che mai. Non mancano le solite finte recriminazioni di rito sulle "responsabilità dell'Occidente", che alla fine sarebbe, come sempre, colpevole di essere stato "troppo buono", cioè di aver bombardato troppo poco e troppo tardi.
Obama ci fa la solita figura della mezza tacca (del resto lo pagano per questo), ma oggi è il regime di Assad ad essere in bilico. Alla fine dell'anno scorso Obama dichiarava che Assad se ne doveva andare. All'inizio di quest'anno Obama e Hollande sembravano aver cambiato idea, e dicevano che la cacciata di Assad non era più una priorità. Ora USA e Turchia fanno sapere invece che daranno un appoggio militare all'opposizione siriana non legata all'ISIS (ma quale sarebbe poi?). Con questa dichiarazione USA e Turchia ammettono indirettamente che le opposizioni "democratiche" e filo-occidentali ad Assad hanno proseguito la loro guerra al regime siriano anche in presenza del pericolo ISIS, perciò o sono state alleate dello stesso ISIS, o sono la stessa cosa.
Alla fine la finta guerra contro l'ISIS si è rivelata una vera guerra contro Assad, ed i "nonostante" si rivelano come pura mistificazione. L'ISIS avanza perché gli Stati Uniti hanno sottratto al regime di Assad il controllo dei cieli. Ancora una volta si conferma che non si può cedere "una parte" di sovranità, perciò in questi casi l'atteggiamento di chiusura paranoica, stile Corea del Nord, si dimostra più efficace.
Una notizia della prima settimana di maggio ha avuto uno scarso rilievo mediatico, sebbene fosse direttamente attinente all'attuale progetto governativo di "riforma" della Scuola. Il TAR del Lazio ha accolto un ricorso del sindacato SNALS contro la riduzione delle ore di laboratorio negli Istituti tecnici e professionali decisi dalla "riforma" Gelmini di sei anni fa. Il TAR ha riconfermato una sentenza di condanna dell'operato del Ministero dell'Istruzione già emessa nel 2013 e, constatando che il MIUR non aveva dato seguito alle decisioni della magistratura amministrativa, ha commissariato lo stesso MIUR con un commissario ad acta.
Gli effetti pratici della sentenza sono tutti da verificare; anzi, dati i precedenti, c'è da dubitare che gli effetti vi siano. Il TAR ha preso atto del controsenso di un'istruzione tecnica che non assicura l'istruzione tecnica, e quindi ha salvato ufficialmente la faccia; ma, con gli opportuni tempi giudiziari, ha anche consentito che il nuovo sistema previsto dalla "riforma" Gelmini andasse a regime. La notizia è comunque istruttiva, poiché dimostra che la "riforma" Gelmini non aveva affatto delineato un nuovo modello di Scuola, ma si era limitata a svuotare il modello precedente frodando famiglie e studenti, e obbligandoli a rivolgersi all'Università per accedere ad un'istruzione tecnica, ovviamente a pagamento.
Non si trattava quindi di una riforma, ma di una semplice operazione di lobbying universitario, e anche del lobbying bancario connesso al business dei prestiti agli studenti. Mentre lo spazio mediatico era a suo tempo occupato da diversivi come il grembiulino o il "seppellimento del '68", silenziosamente il governo liquidava uno dei capisaldi del modello di istruzione italiana - l'istruzione tecnica - che risaliva ai tempi post-unitari, e persino pre-unitari. Persino il termine "riforma" costituiva esso stesso un diversivo rispetto ai veri obiettivi, dato che la cosiddetta riforma non proponeva alcuna nuova forma. Si tratta di una logica da pubbliche relazioni caratteristica del lobbying, per la quale un business sordido viene ammantato di motivazioni ideali, spesso contenenti altri risvolti di possibile distrazione rispetto al quadro reale.
Non sussiste un serio motivo per ritenere che le cose stiano diversamente per ciò che riguarda la "Buona Scuola" di Renzi, il quale, tra i politici degli ultimi anni, è quello che denota più chiaramente le caratteristiche antropologiche del lobbista puro. I media sono occupati dalle discussioni sulla figura del cosiddetto "preside sceriffo", un epiteto che costituisce un vero nonsenso, dato che non corrisponde minimamente al testo del DDL, né al contesto in cui tale tipo di dirigente scolastico dovrebbe operare. Viene il sospetto che l'espressione "preside sceriffo" sia stata un'imbeccata mediatica organizzata per intossicare la comunicazione delle opposizioni, ed anche per compiacere gli istinti vendicativi contro gli insegnanti che si annidano nella parte peggiore dell'opinione pubblica, quella che va in euforia ogni volta che avverte il tanfo di macelleria sociale.
In base al DDL di Renzi, la figura di preside che viene fuori, appare più come quella di un prosseneta, di un magnaccia che può usare il ricatto del posto di lavoro per avviare alla prostituzione il personale della Scuola a pro delle gerarchie ministeriali desiderose di finanziare a spese del contribuente i propri vizi privati. Visti i precedenti, ci sarà sicuramente anche questo; ma potrebbe anche darsi che questa figura di dirigente scolastico sia stata creata a scopi di distrazione e depistaggio rispetto ad altri obiettivi affaristici. Si commette un delitto per coprirne un altro, come nel film "Match Point" di Woody Allen. Una "Scuola-Azienda" che si dimostri una Scuola-lupanare, può dare anche vita a tanti scandali giudiziari e mediatici che distoglieranno negli anni a venire l'attenzione dell'opinione pubblica da quanto accade effettivamente nella Scuola. Quando si tratta di distrarre, nulla funziona bene come il sesso.
Questa tattica della confusione da parte del governo mette in ombra il fatto che il DDL di Renzi, all'articolo 21, contenga una delega in bianco al governo per decidere delle sorti della Scuola nei prossimi mesi e nei prossimi anni, lasciando spazio ad operazioni inconfessabili di lobbying bancario. Era accaduto anche con il cosiddetto "Jobs Act". La "libertà di licenziare", ed anche la libertà di mobbing (cioè il "demansiomanento", la possibilità di spostare il lavoratore ad incarichi meno qualificati) appaiono come crimini tanto mostruosi da distrarre dallo scopo principale del "Jobs Act", quello di aprire al business delle agenzie di lavoro interinale, oggi ribattezzate pomposamente come "agenzie di somministrazione del lavoro", cioè il parassitismo di un caporalato istituzionalizzato.
Le agenzie di somministrazione del lavoro sono inoltre abilitate a loro volta a mediare l'indebitamento dei lavoratori con banche ed agenzie finanziarie. La condizione di precarietà rende i lavoratori particolarmente vulnerabili alla seduzione dei "servizi finanziari", cioè della schiavitù per debiti.
Ma anche nella Scuola si registra un'invasione del lobbying bancario. Dietro l'alibi della sedicente "alternanza Scuola-lavoro", i governi nell'ultimo decennio hanno riservato una pioggia di denaro pubblico ad imprese private, soprattutto banche. La banca che pare più attiva in questo momento è Unicredit, la quale, a spese del contribuente, sta usando le scuole per pubblicizzare e vendere i suoi prodotti finanziari a famiglie e studenti, abbindolati con la promessa di un'inesistente professionalizzazione.
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