"
"Gli errori dei poveri sono sempre crimini, mentre i crimini dei ricchi sono al massimo 'contraddizioni'."

Comidad (2010)
"
 
\\ Home Page : Archivio (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.

Di comidad (del 03/09/2015 @ 00:29:49, in Commentario 2015, linkato 1649 volte)
Proprio a metà agosto, quando tutti erano distratti, il governo ha rettificato le cifre sulle assunzioni a tempo indeterminato in conseguenza dell'entrata in vigore del "Jobs Act". Gli assunti effettivi sarebbero in realtà poco più della metà dei seicentotrentamila annunciati in un primo momento. Probabilmente a Natale, o a Capodanno, dalla pagina interna di qualche quotidiano, verremo a sapere che anche questa seconda cifra sarà stata ulteriormente rettificata al ribasso.
Fin qui niente di strano, poiché alla spinta occupazionale del "Jobs Act" non aveva creduto nessuno, meno che meno quelli che avevano fatto finta di crederci. Il problema è che queste "riforme strutturali" falliscono anche, e soprattutto, laddove persino gli oppositori più decisi si aspetterebbero un risultato, cioè nell'aumento della produttività e della competitività nei confronti delle cosiddette "economie emergenti". La scorsa settimana l'agenzia Reuters ha raccolto una serie di pareri di esponenti del Fondo Monetario Internazionale e dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo, per spiegare come mai queste "riforme strutturali" non soltanto non raggiungano nessuno degli obiettivi di aumento della competitività, ma, all'opposto, deprimano ancora di più l'economia.
Le spiegazioni fornite da questi "prestigiosi esperti", come al solito, si dimostrano piuttosto fumose e contraddittorie. Sì, sono venti anni che in Italia si fanno "riforme strutturali" in tutti i campi, ma non sono poi strutturali-strutturali come dovrebbero essere. Come diceva Sergio Endrigo, manca sempre una lira per fare un milione.
Insomma, le mitiche "riforme strutturali" non falliscono mai, falliscono solo i governi che le attuano, o perchè non hanno saputo fare i decreti attuativi, o perché la Pubblica Amministrazione non le ha sapute applicare, visto che è rimasta inefficiente nonostante le "riforme strutturali". Qualcuno, come l'ex del FMI Vito Tanzi, si atteggia a maoista del sedicente liberismo, e si spinge a dire che l'Italia avrebbe bisogno di una "rivoluzione culturale". Queste "argomentazioni" sono inattaccabili proprio perché non argomentano su nulla. Lo straparlare di questi "prestigiosi tecnici" serve solo a ribadire il vincolo gerarchico e coloniale che sottopone i governi nazionali come quello italiano alle direttive delle organizzazioni sovranazionali come il FMI e l'OCSE.
In realtà gli effetti recessivi di queste riforme strutturali non sono poi così male, se si considera che la stagnazione europea ha determinato una stagnazione mondiale che sta mettendo in crisi i piani di industrializzazione dei Paesi più poveri, perciò la gerarchia imperialistica è salva. Né il FMI, né l'OCSE, sono mai stati minimamente interessati allo sviluppo dei Paesi più poveri, semmai il contrario; e non ci vuole una mente superiore per capirlo. Più un Paese è povero, più il suo PIL arranca, più alti dovranno essere gli interessi che questo Paese paga sui suoi titoli di Stato. Uno Stato che possa esibire tassi di crescita vivaci, non sarebbe un debitore interessante per le grandi banche internazionali, poiché il suo basso rischio di insolvenza gli permetterebbe di pagare interessi bassi sui propri titoli. Il concetto di "crisi del capitalismo" va quindi completamente rivisto, se si considera che, proprio nel periodo di "crisi", i ricchi sono diventati molto più ricchi ed i poveri molto più poveri. C'è infatti da sottolineare che le "riforme strutturali" hanno favorito lo sviluppo di una serie di business tipici della recessione. Ci sono, ovviamente, le privatizzazioni/svendita. In Grecia la compagnia telefonica OTE, che era di Stato, oggi è controllata in maggioranza da Deutsche Telekom.
I vari "Jobs Act" favoriscono l'intermediazione parassitaria delle agenzie di "somministrazione del lavoro" (quelle che una volta si chiamavano agenzie di lavoro "interinale"). Il caporalato istituzionalizzato delle agenzie di somministrazione del lavoro rappresenta un business trasversale, che piace molto anche alle "sinistre", visto che il ministro del Lavoro (?), Giuliano Poletti, era a capo di una di queste agenzie, Obiettivo Lavoro. Quindi, se c'è qualcuno a cui la disoccupazione fa piacere, è proprio Poletti. Poi, visto che i salari sono bassi ed i posti precari, c'è l'esplosione del credito ai consumi, con il proliferare di agenzie finanziarie, che vengono, direttamente o indirettamente, generate dalle banche. Più sei povero, e più sei costretto ad indebitarti. Ed, infine, ultime, ma non meno importanti, ci sono le agenzie di recupero crediti, perché anche l'insolvenza dei troppo poveri può diventare un grosso business se sai come organizzare la loro persecuzione.
Articolo (p)Link   Storico Archivio  Stampa Stampa
 
Di comidad (del 27/08/2015 @ 01:36:08, in Commentario 2015, linkato 2049 volte)
Il funerale di Vittorio Casamonica è stato un'ulteriore dimostrazione di come un non-evento, attraverso l'orchestrazione dell'allarmismo mediatico, possa assurgere al rango di emergenza sociale e politica. A dirigere l'orchestra mediatica è stato, come sempre, il quotidiano di fintosinistra "La Repubblica", una vera e propria centrale della manipolazione dell'opinione pubblica a fini coloniali.
Uno dei tanti funerali pacchiani del boss di quartiere è così diventato un affare di Stato, anzi, una "sfida allo Stato". Una criminalità burina e casereccia viene accreditata di aver messo in crisi le istituzioni: un rione contro la nazione. Ad essere messo sotto accusa dai media è stato infatti più il quartiere che non il clan. Tutto ciò non è fine a se stesso, e lo scopo non è affatto di "distrarre", bensì di creare un'immagine distorta dei rapporti sociali. Il copione era già stato sperimentato lo scorso anno, durante la finale di Coppa Italia, elevando al ruolo di divo della "trattativa Stadio-Mafia" l'ultrà "Genny ' a Carogna".
Anche in quel caso la lettura degli eventi fu forzata al punto da offrire l'immagine di uno Stato "troppobuonista", debole e inerme davanti alla violenza, quindi vittima di "qualunque" prepotente; uno Stato che "chiunque", anche un Genny qualsiasi, potrebbe ricattare e prendere per i fondelli. I fatti successivi raccontano tutta un'altra storia, con un Genny condannato nell'aprile scorso a una pena sproporzionata rispetto alle effettive imputazioni, a riprova di come lo "Stato", sempre comprensivo e "garantista" nei confronti dei potenti come De Gennaro e Deutsche Bank, si riveli invece punitivo e vendicativo nei confronti dei soggetti deboli. I commenti razzistici sui blog indicano che l'effetto ipnotico è stato raggiunto, perciò, nell'epoca della Diaz e di Federico Aldovrandi, il "violento" è uno che scavalca le recinzioni.
Si tratta di vere e proprie operazioni di guerra psicologica, mirate alla fascistizzazione dell'opinione pubblica. La narrazione deformata di vicende da rione o da stadio fornisce alle persone un paradigma generale, un automatismo mentale, da applicare ad ogni situazione, interna o internazionale. L'idea da imporre è che i maggiori pericoli non provengono dai potenti, ma dai deboli. Tramite la fiaba mediatica allestita sul funerale di Casamonica, il mito interclassista della "legalità" ha fatto breccia anche, e soprattutto, nell'opinione pubblica di "sinistra", dagli anni '70 riconvertita alla "questione morale" ed al culto della magistratura.
Si viene quindi convinti che ci vuole uno "Stato forte" (in politically correct: "autorevole"), che tenga a bada l'illegalità che proviene da "tutti", poveri e ricchi, deboli e potenti; ma, dato che i deboli e i poveri sono di più, ed anche più arrabbiati, ignoranti e "fanatici", è da loro che proviene la minaccia più insidiosa. L'interclassismo, come al solito, serve come esca per veicolare un odio di classe verso i poveri, in definitiva un razzismo a tutto campo, interno ed esterno.
L'esito della finta emergenza-Casamonica non sarà quindi l'introduzione di una certificazione antimafia per i funerali, ma il consolidamento nell'opinione pubblica in generale, ed in quella di "sinistra" in particolare, dell'immagine di un potere legittimato a violare le sue stesse regole in nome della propria condizione di vittima; un potere "costretto" suo malgrado a fare il duro perché deve scontare il fatto di essere stato "troppo buono" e accondiscendente in passato verso le pretese dei poveri. Il vittimismo dei potenti diventa così lo stile di governo, con esiti anche piuttosto ridicoli, dato che poi il buonsenso è duro a morire.
Pochi giorni fa oltre duecento "imprenditori" hanno firmato una lettera-appello, pubblicata sul "Corriere della Sera, per "salvare" Renzi, manco si trattasse di un detenuto di colore nel braccio della morte in Alabama. Lo strumento degli "appelli", caro alla sinistra umanitaria, viene riciclato come espediente vittimistico di un potere che recita la parte dell'incompreso esposto agli strali dell'ingratitudine.
Che duecento "imprenditori" difendano con toni accorati un governo che, al di là degli slogan sulla "crescita", compie solo scelte recessive e depressive, la dice lunga sul come questi intendano la cosiddetta impresa. Non interessa che il governo crei condizioni economiche favorevoli allo sviluppo, ma solo che impoverisca i poveri.
Nel cosiddetto capitalismo, l'impoverimento del lavoro non è un fastidioso effetto collaterale, bensì la relazione fondamentale, la base della gerarchia sociale e della gerarchia coloniale. Per venti anni ci è stato detto che umiliare il lavoro era indispensabile per la competizione internazionale con i "Paesi emergenti". Si è creato così un "alibi cinese", che è alla base dei tanti "Jobs Act" imposti in questi anni. Sennonché oggi si scopre che la recessione europea alla fine sta trascinando anche la Cina, la quale, nonostante tutti i tentativi di questi anni, non è riuscita a sviluppare una domanda interna tale da preservarla dal crollo dei consumi a livello mondiale. Il rallentamento dell'economia cinese, evidente da almeno tre anni, ha portato al prevedibile - e previsto - scoppio delle varie bolle finanziarie. La "competizione" con la Cina era quindi solo un pretesto, ed il vero scopo era di esportare nei Paesi "emergenti" la recessione europea. La depressione dovuta alla disciplina dell'euro era la grande bomba a tempo che l'imperialismo USA aveva collocato sotto i piedi dei Paesi "emergenti", impegnati a tentare di accedere all'industrializzazione.
La risposta del governo italiano alla crisi cinese è infatti basata, ancora una volta, sulla compressione del costo del lavoro, con la priorità assegnata ai contratti aziendali, che comporterà gli ovvi e ulteriori effetti depressivi sulla domanda interna. La conseguenza è che i lavoratori dovranno indebitarsi anche per accedere a consumi primari.
E l'alibi cinese che fine fa? L'alibi cinese viene riciclato in forma rovesciata, ma con gli stessi effetti pratici. Altrimenti a cosa sarebbe servita tutta quella guerra psicologica per criminalizzare preventivamente i poveri?
Se fino a ieri bisognava svalutare il lavoro e fare sacrifici per "competere" con la Cina, d'ora in poi umiliazioni e sacrifici saranno necessari per difenderci dalla "minaccia" cinese, la "bomba atomica" che incombe sull'economia mondiale. La nuova versione dei fatti è che l'Occidente "troppobuonista" in passato ha dato troppo spazio e fiducia alle pretese di arricchimento dei Cinesi, che, come i Malavoglia, hanno fatto il passo più lungo della gamba. Anche i Cinesi, come i Greci, ora sono presentati come dei poveri che hanno preteso di vivere al di sopra dei propri mezzi, ed ora rischiano di far saltare tutto. Ora si riscopre persino che la Cina è "comunista", e la si accusa di aver saputo prendere dal capitalismo solo gli aspetti "peggiori" (gli aspetti "migliori", evidentemente, sono riservati ai popoli superiori). Anche la colpa del disastro economico non sarà perciò da attribuire al capitalismo, ma si potrà catalogare tranquillamente come l'ennesimo crimine del comunismo.
Articolo (p)Link   Storico Archivio  Stampa Stampa
 
Pagine: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 104 105 106 107 108 109 110 111 112 113 114 115 116 117 118 119 120 121 122 123 124 125 126 127 128 129 130 131 132 133 134 135 136 137 138 139 140 141 142 143 144 145 146 147 148 149 150 151 152 153 154 155 156 157 158 159 160 161 162 163 164 165 166 167 168 169 170 171 172 173 174 175 176 177 178 179 180 181 182 183 184 185 186 187 188 189 190 191 192 193 194 195 196 197 198 199 200 201 202 203 204 205 206 207 208 209 210 211 212 213 214 215 216 217 218 219 220 221 222 223 224 225 226 227 228 229 230 231 232 233 234 235 236 237 238 239 240 241 242 243 244 245 246 247 248 249 250 251 252 253 254 255 256 257 258 259 260 261 262 263 264 265 266 267 268 269 270 271 272 273 274 275 276 277 278 279 280 281 282 283 284 285 286 287 288 289 290 291 292 293 294 295 296 297 298 299 300 301 302 303 304 305 306 307 308 309 310 311 312 313 314 315 316 317 318 319 320 321 322 323 324 325 326 327 328 329 330 331 332 333 334 335 336 337 338 339 340 341 342 343 344 345 346 347 348 349 350 351 352 353 354 355 356 357 358 359 360 361 362 363 364 365 366 367 368 369 370 371 372 373 374 375 376 377 378 379 380 381 382 383 384 385 386 387 388 389 390 391 392 393 394 395 396 397 398 399 400 401 402 403 404 405 406 407 408 409 410 411 412 413 414 415 416 417 418 419 420 421 422 423 424 425 426 427 428 429 430 431 432 433 434 435 436 437 438 439 440 441 442 443 444 445 446 447 448 449 450 451 452 453 454 455 456 457 458 459 460 461 462 463 464 465 466 467 468 469 470 471 472 473 474 475 476 477 478 479 480 481 482 483 484 485 486 487 488 489 490 491 492 493 494 495 496 497 498 499 500 501 502 503 504 505 506 507 508 509 510 511 512 513 514 515 516 517 518 519 520 521 522 523 524 525 526 527 528 529 530 531 532 533 534 535 536 537 538 539 540 541 542 543 544 545 546 547 548 549 550 551 552 553 554 555 556 557 558 559 560 561 562 563 564 565 566 567 568 569 570 571 572 573 574 575 576 577 578 579 580 581 582 583 584 585 586 587 588 589 590 591 592 593 594 595 596 597 598 599 600 601 602 603 604 605 606

Cerca per parola chiave
 

Titolo
Aforismi (5)
Bollettino (7)
Commentario 2005 (25)
Commentario 2006 (52)
Commentario 2007 (53)
Commentario 2008 (53)
Commentario 2009 (53)
Commentario 2010 (52)
Commentario 2011 (52)
Commentario 2012 (52)
Commentario 2013 (53)
Commentario 2014 (54)
Commentario 2015 (52)
Commentario 2016 (52)
Commentario 2017 (52)
Commentario 2018 (52)
Commentario 2019 (52)
Commentario 2020 (54)
Commentario 2021 (52)
Commentario 2022 (53)
Commentario 2023 (53)
Commentario 2024 (46)
Commenti Flash (62)
Documenti (30)
Emergenze Morali (1)
Falso Movimento (11)
Fenêtre Francophone (6)
Finestra anglofona (1)
In evidenza (33)
Links (1)
Manuale del piccolo colonialista (19)
Riceviamo e pubblichiamo (1)
Storia (9)
Testi di riferimento (9)



Titolo
Icone (13)


Titolo
FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


23/11/2024 @ 09:18:54
script eseguito in 58 ms