Tra i filoni mediatici più praticati, e più fortunati, c'è quello dei commenti falsamente critici nei confronti dell'establishment. La situazione in Libia è talmente confusa e disastrata che non si può certo fingere di ritenere salvifica l'aggressione della NATO del 2011 che ha dato il via alla destabilizzazione del Paese, perciò, in un articolo su "Il Fatto Quotidiano", dai toni irriverenti e sbarazzini, l'economista Loretta Napoleoni non esita a parlare di
"fiasco" della NATO, e si spinge a considerare del tutto strumentale agli interessi economici dell'Occidente l'accordo fatto firmare ai due governi in guerra tra loro in Libia, quello di Tripoli e quello di Tobruk. La Napoleoni conclude il suo commento esprimendo scetticismo nei confronti delle posizioni del governo di Tobruk, il quale non chiede interventi militari esterni per stabilizzare il Paese, ma solo di potersi dotare di armamenti più adeguati.
Se la Napoleoni fosse contraria per principio alle vendite di armi, la sua posizione avrebbe un senso, ma, per come si presenta, non fa altro che adagiarsi nei paradossi della posizione occidentale. Il governo di Tobruk è infatti quello ufficialmente riconosciuto dai governi occidentali, con l'eccezione della Turchia, la quale invece rifornisce di armi il governo di Tripoli, il più legato alle formazioni sedicenti jihadiste. La Napoleoni avrebbe potuto cercare di spiegarci che senso abbia riconoscere un governo e poi tenerlo sotto embargo di fornitura di armi, tanto più che l'altro governo le armi le riceve, eccome; per di più da Paesi nostri "alleati", come la Turchia, il Qatar e l'Arabia Saudita. Certo, gli embarghi e le sanzioni sono anche un business, perciò almeno una parte di quelle armi che non si potrebbero vendere, poi arriva lo stesso, magari per farsela pagare dieci volte tanto. Sta di fatto però che il business è a spese del governo di Tobruk, cioè il governo ufficialmente considerato come "amico" dall'Occidente.
Ci sono quindi tutti gli elementi per ritenere che l'intervento della NATO del 2011 non sia stato affatto un "fiasco", ma abbia raggiunto tutti i suoi obiettivi, che non consistevano soltanto nella caduta di Gheddafi, ma soprattutto nella destabilizzazione della Libia. La NATO ha applicato, e sta continuando ad applicare, alla Libia, come alla Siria, il "modello Congo", cioè la colonizzazione diretta di un territorio, le cui istituzioni abbiano solo un ruolo di facciata, ed i cui governi non estendano il loro effettivo potere oltre il quartiere di residenza. Si tratta di trasformare questi Paesi in paradisi delle multinazionali, che possono così rinverdire i fasti delle Compagnie Commerciali del XVII secolo. Le Compagnie Commerciali gestivano direttamente i territori in cui si insediavano, finanziando ed allevando milizie mercenarie locali. Un vecchio film, ma è tornato in prima visione.
Nel 2011 il dibattito della sinistra si impantanò in termini come "diritti umani", "democrazia" e "dittatura", rimuovendo completamente il concetto di colonialismo. Si fu quindi costretti ad assistere allo spettacolo di una "sinistra" entusiasticamente, o talvolta tiepidamente, interventista, in nome dell'appoggio alle cosiddette "primavere arabe".
Il fatto è che il razzismo si è dimostrato un'ideologia molto duttile, e con un altissimo potenziale mistificatorio. Quello che lo scrittore inglese Rudyard Kipling, in una sua poesia del 1899, chiamava "il fardello dell'Uomo Bianco", ora è diventato il tema dei "diritti umani", con un proliferare di ONG che fanno da battistrada alle aggressioni della NATO. La retorica sui "popoli minorenni" dell'altro grande cantore del colonialismo britannico, il filosofo John Stuart Mill, si è riciclata come orrore nei confronti dei "dittatori" che opprimono i popoli inferiori; popoli che vedrebbero nelle cosiddette "libertà occidentali" il loro faro, peraltro sempre irraggiungibile, appunto a causa della loro irrimediabile inferiorità.
Il sistema occidentale è maestro di dissimulazione, ed i suoi popoli vivono beatamente inconsapevoli del grado di militarizzazione della propria vita. Ci si ricorda del militarismo quando ci sono le guerre, e si ignora che è militarizzata la pace. L'Unione Europea e l'euro sono stati creati per esigenze di disciplina NATO, in base all'articolo 2 del Patto Atlantico, che impone l'integrazione economica dei suoi membri. Intanto le tecnologie elaborate dal Pentagono vengono commercializzate dai grandi prestanome, i Bill Gates, gli Steve Jobs ed i Mark Zuckerberg, con tutto il contorno di fiabe che avvolge questi nuovi santini. In fondo chi sta più inguaiato? Chi crede alla capanna di Betlemme, o chi crede al garage di Steve Jobs?
L'Occidente "filantropico" ed "umanitario" ci fa anche credere di andare alla guerra sempre controvoglia, per rispondere al "grido di dolore" dei popoli bisognosi. La retorica del soccorso occidentale nei confronti dei "popoli minorenni" ha le sue implicazioni sfacciatamente militari, ma anche quelle diplomatiche. Visto che il governo di Tobruk dimostra crescenti simpatie verso la Russia, e dato che la stessa Russia ha cominciato a fare sul serio in Siria, decidendosi a restituire stabilità al regime di Assad, ecco che la NATO, tramite l'ONU, dà il via all'ipocrita balletto diplomatico degli "accordi" in Libia, simulando un senso di responsabilità che in realtà non ha, e non ha mai avuto. Ma l'opzione dell'aggressione militare diretta rimane sempre sul tavolo, e se non c'è un "grido di dolore", ce lo si inventa. Visto che il governo di Tobruk non è d'accordo, adesso ci si fa credere che sia la
compagnia petrolifera libica ad invocare soccorso contro l'ISIS.
In questa situazione ai governi italiani è riservato il consueto ruolo del fantoccio che si dà importanza. I giornali titolano, nientemeno, che l'Italia guiderà una coalizione per un nuovo intervento in Libia, ufficialmente contro l'ISIS, ma poi si precisa che
le truppe non saranno italiane. E allora a chi obbediranno? A Renzi e alla Pinotti?