Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Mentre a Gaza oltre un milione di persone è a rischio di genocidio, per i media ed il governo la vera emergenza è costituita dalle bandiere israeliane bruciate e da presunte “scritte antisemite”. Dato che il presidente della Repubblica Napolitano ha sancito che antisionismo ed antisemitismo si identificano, oramai quest’ultimo deve intendersi in senso molto lato, sino a comprendere qualsiasi forma di mancanza di entusiasmo per Israele e per le sue imprese.
A questo punto manca solo che i soliti servizi segreti organizzino un attentato contro qualche sinagoga o cimitero ebraico, ed i ruoli di carnefice e vittima saranno completamente rovesciati, consentendo un’ondata mediatica che travolgerà e metterà alla gogna per primi tutti coloro che in questi giorni hanno fatto esercizio di “equidistantismo”, cercando colpe anche ad Hamas.
Il fatto è che qualunque cosa si pensi di Hamas, risulta evidente che il problema non è Hamas, e che se anche i Palestinesi si convertissero in massa al buddismo, non sfuggirebbero comunque al tentativo di soluzione finale nei loro confronti, dato che la soluzione finale della questione palestinese è inscritta nella logica stessa dello Stato di Israele.
In questi anni infatti non vi è stata nessuna pausa all’insediamento di coloni israeliani nei territori occupati della Cisgiordania, nonostante il collaborazionismo del presidente dell’Autorità Palestinese, Abu Mazen, celebrato da tutti i media “occidentali” come esempio di “moderazione”.
Ma il colonialismo israeliano non si è limitato alla Palestina. Stuoli di coloni erano al seguito delle truppe anche nelle tre invasioni israeliane del Libano (del 1978, del 1982 e del 2006); nel 1982, quando gli Israeliani davano per scontata la vittoria, i coloni si mossero addirittura insieme con l’esercito. Del resto questi coloni sono organizzati in vere e proprie formazioni paramilitari, con abbondante equipaggiamento di ogni tipo di arma. Fu proprio questa presenza di coloni, peraltro segnalata dalla informazione “occidentale”, a determinare la nascita del movimento di resistenza Hezbollah nel sud del Libano; un movimento etichettato poi come “terrorista” dagli stessi media occidentali che avevano ammesso in precedenza che gli scopi delle invasioni israeliane erano di attuare un’occupazione coloniale.
Era quindi ovvio che il ritiro israeliano da Gaza fosse solo temporaneo, ed infatti è stato seguito da un assedio, con lo scopo di prendere per fame i Palestinesi lì residenti e spingerli a cercare scampo altrove. L’attacco armato di questi giorni è quindi la conseguenza del fallimento di questa strategia israeliana, dato che non solo i Palestinesi non se ne sono andati, ma hanno costruito una rete assistenziale che ha consentito sia la loro sopravvivenza, sia la costruzione di un modello sociale alternativo al darwinismo sociale oggi imperante in Israele.
Qualsiasi confronto storico astratto, il cercare di stabilire se nella situazione attuale la parte dei nazisti la facciano quelli di Israele o quelli di Hamas - o un po’ tutti e due -, risulta fuorviante rispetto al fenomeno che si ha di fronte, cioè un colonialismo di occupazione e ripopolamento, che si muove secondo le sue dinamiche interne, le quali prevedono che, in un modo o nell’altro, le popolazioni autoctone vengano eliminate.
Gli Israeliani che a questo gioco al massacro non ci stanno, sanno bene di non avere davanti a sé la chance della “pace”, ma quella di andarsene o di cercare di andarsene; ed è infatti quello che in molti stanno già facendo da tempo. Uno dei maggiori problemi economici di Israele è, di conseguenza, il crollo del valore degli immobili: chi ha soldi da spendere non compra certo case in Israele, ma all’estero. Tutta la propaganda israeliana sui razzi di Hamas, costituisce perciò un modo di mascherare questa situazione, attribuendo al “terrorismo” il fatto che la gente non voglia più comprare case.
La popolazione israeliana è soggetta ad un rigido conformismo ideologico costituito da luoghi comuni vittimistici, e neppure molti di coloro che scappano sono poi in grado di sottrarsi a questo conformismo; ma ciò non vuol dire affatto che tale conformismo vittimistico si esprima in una determinazione collettiva a proseguire la colonizzazione, anzi le defezioni si fanno sempre più estese. Il colonialismo israeliano viene così alimentato attraverso il continuo reclutamento di mercenari: è il denaro a sostituire un movente ideologico ormai sempre più debole.
Per decenni ci si è propinata una propaganda ossessiva sull’esperienza “socialista” dei kibbutz in Israele, ma si trattava della enfatizzazione di fenomeni comunitari, o pseudo-tali, che in realtà avevano una portata limitatissima, irrilevante rispetto al resto della società israeliana. Oggi qualche kibbutz è conservato in Israele allo stesso titolo di un museo delle cere, ma della pur esile spinta ideologica che li motivava, non vi è più alcuna traccia.
Il sionismo reale che esiste attualmente è perciò definibile negli stessi termini di una battuta che circolava un secolo fa: “Cos’è il sionismo? Il sionismo è un ebreo che chiede i soldi ad un altro ebreo per mandare un terzo ebreo in Palestina.”
Alla base del colonialismo israeliano vi è dunque il denaro spillato alle comunità ebraiche di tutto il mondo, tenute sotto controllo con il ricatto morale, i sensi di colpa ed il terrore delle liste di proscrizione. Il reclutamento mercenario dei coloni avviene inoltre con metodi sempre meno scrupolosi, tanto che oggi anche l’effettiva origine ebraica dei coloni appare molto dubbia. In molti casi è evidente che si tratta semplicemente di criminali comuni, addestrati ad esibire una fittizia motivazione ideologica. Nessun giornalista “occidentale” oserebbe mai fare indagini sulla effettiva provenienza di questi soggetti, poiché sa benissimo che se ci provasse gli rimarrebbe ben poco da vivere.
Ecco dunque cos’è Israele oggi: uno Stato militarista mercenario al soldo degli Stati Uniti, usato per compiere operazioni sporche in tutto il mondo, dall’America Latina all’Africa, sino alla recente e fallimentare avventura in Georgia; uno Stato mercenario che a sua volta alimenta la propria occupazione della Palestina reclutando come coloni degli altri mercenari.
In questi giorni prosegue l’unanime e “spontaneo” moto di opinione pubblica per spingere alle dimissioni il sindaco di Napoli Jervolino e il suo protettore, il governatore della Campania Bassolino. Nessun commentatore ha sinora ricordato come, sino a poco più di dieci anni fa, Bassolino era il beniamino dei media, che avevano inventato a sua gloria un inesistente “rinascimento bassoliniano”; un rinascimento di cui era incaricato di cantare le lodi nel mondo anche Renzo Arbore, bravissimo e simpaticissimo uomo di spettacolo, ma anche, purtroppo, noto collaboratore di centrali statunitensi di psychological war.
Nell’ambito della guerra psicologica americana, Arbore aveva svolto parecchie operazioni importanti.
Ad esempio, a metà degli anni ’80, aveva confezionato uno spettacolo televisivo di enorme successo, “Quelli della Notte”, che costituì un contenitore non solo di propaganda anticomunista, ma anche di propaganda anti-araba ed anti-islamica. Il tutto veniva insinuato attraverso un’abile illusione di spontaneità e casualità: l’attore Maurizio Ferrini ridicolizzava in ogni puntata il personaggio di una sorta di comunista tipico - ottuso e conformista -, la cui battuta/tormentone era “non capisco ma mi adeguo”.
L’attore americano Andy Luotto si esercitava invece nella parodia di un arabo; una parodia che, a suo dire, egli fu costretto a sospendere a causa di minacce di morte da parte di alcuni sconosciuti di provenienza araba. Insomma, lo scherzo, il divertimento, la finta improvvisazione diventavano il veicolo di messaggi da fissare nella mente degli spettatori, che così si abituavano alle due equazioni: comunista uguale a stupido, arabo/islamico uguale a terrorista.
Perché negli anni ’90 un agente della psychological war statunitense come Arbore divenne il cantore delle virtù di Bassolino?
Semplicemente perché in quel periodo Bassolino, allora ancora sindaco di Napoli, stava indebitando il Comune di Napoli con fondi di investimento statunitensi, attraverso l’emissione di BOC, Buoni Ordinari del Comune. Il generoso finanziamento americano avrebbe consentito a Bassolino di rinnovare il parco autobus del Comune.
All’epoca tutta l’opinione pubblica venne convinta che questi crediti erano stati concessi per la fiducia che la personalità di Bassolino aveva saputo ispirare agli investitori statunitensi; mentre il vero motivo era un altro: la garanzia costituita dal patrimonio immobiliare di proprietà del Comune di Napoli, certamente tra i più preziosi al mondo.
Per la finanza americana i patrimoni immobiliari europei costituiscono una preda di notevole importanza, se si considera che invece negli Stati Uniti gran parte dei patrimoni immobiliari è soggetta a gravi problemi di deperimento: a causa delle tecniche di costruzione, la durata media di una casa americana è di pochi decenni, mentre anche i grattacieli diventano strutture sempre meno longeve, che richiedono periodici abbattimenti.
In questo contesto, appropriarsi dei terreni edificabili diventa l’unica solida garanzia.
Il sospetto che il crollo delle dighe di New Orleans sia stato provocato a bella posta, è motivato proprio dal fatto che grazie a quel crollo i vecchi quartieri popolari della città sono scomparsi, lasciando spazio all’arrivo delle immobiliari legate alla cosca Bush-Cheney.
Con la sua suprema saggezza, il nostro ministro dell’Economia Tremonti ha ammonito dicendo che “il denaro non può creare denaro”; cosa che in effetti non ha mai pensato nessun finanziere, in quanto ogni speculatore finanziario sa benissimo che il capitale deve sempre passare per la rendita fondiaria per diventare e rimanere tale. A questa conclusione sul carattere decisivo della rendita fondiaria, era giunto persino Marx nel libro terzo de “Il Capitale”, in cui smentiva ciò che aveva detto nei due precedenti libri.
Anche nell’epoca dell’industria e dell’alta tecnologia, i patrimoni immobiliari rimangono il fondamento della ricchezza.
Il ministro Tremonti, per conto delle finanziarie statunitensi di cui è sicario, si sta occupando di rastrellare i patrimoni immobiliari delle Università e del Demanio pubblico. È chiaro che però tutto questo non può bastare, poiché ci sono ancora i patrimoni dei Comuni su cui mettere le mani.
Il movente delle privatizzazioni è alla base di molte inchieste giudiziarie. Senza “Mani Pulite” - o “Tangentopoli”, che dir si voglia - non sarebbe stato possibile privatizzare molte aziende pubbliche. Il sistema dei partiti doveva essere assolutamente smantellato attraverso quelle inchieste, perché altrimenti non avrebbe ceduto la sua principale fonte di finanziamento.
In molti si sono chiesti cosa abbia cambiato la privatizzazione della SIP, divenuta Telecom. La differenza è che, in questo passaggio, il patrimonio immobiliare della SIP si è “volatilizzato” misteriosamente; cosa ben strana, trattandosi di “beni immobili”.
In tutte le diatribe sulle “toghe nere” e “toghe rosse”, non si è mai voluta prendere in considerazione la terza ipotesi, e cioè che le inchieste giudiziarie costituissero lo strumento di cosche affaristiche, in gran parte di provenienza statunitense, sempre affamate di patrimoni immobiliari da saccheggiare.
Alla caduta del sindaco Jervolino seguirebbe una scontata emergenza sui conti finanziari delle casse comunali, che giustificherebbe drastici provvedimenti di privatizzazione. Qui non si ricorre all’immaginazione, ma alla semplice memoria, poiché si tratta di copioni già visti e rivisti. All’inizio degli anni ’90, anche l’allora sindaco di Napoli, Polese, fu fatto fuori da un’inchiesta giudiziaria, con il risultato che il sindaco successivo, Tagliamonte, proclamò il dissesto del Comune, che servì a giustificare la privatizzazione delle aziende municipalizzate e dei relativi patrimoni immobiliari.
Dopo i patrimoni immobiliari del Banco di Napoli, dell’azienda del Risanamento, delle aziende municipalizzate napoletane, e mentre si avvia la privatizzazione dei patrimoni di quattro Università storiche napoletane (Federico II, Istituto Orientale, Politecnico, Secondo Policlinico), il patrimonio immobiliare del Comune, sarebbe l’ennesimo da saccheggiare. Non c’è male per una città che la propaganda colonialistica presenta come povera e dipendente dall’assistenza.
|
|
|