Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Un articolo sul giornale online “il Post” ci intrattiene sulle ”finte opposizioni” costruite in Russia per fare da sponda al regime di Putin. Il sottinteso dell’articolo è che qui da noi, nel Sacro Occidente, queste cosacce brutte non succedono. In realtà non succedono più perché da noi siamo già “oltre”. François de La Rochefoucauld diceva che l’ipocrisia è pur sempre un omaggio che il vizio rende alla virtù. Quando si cessa persino di fingere, allora sì che c’è da preoccuparsi davvero.
In Italia abbiamo visto come il Presidente della Repubblica abbia scavalcato completamente il parlamento imponendo un governo di unità nazionale guidato da un banchiere; tutto ciò nel frastuono del plauso mediatico inneggiante alla “saggezza” del Capo dello Stato che avrebbe supplito al “fallimento” della politica. Senza alcuno scrupolo, il presidente Mattarella ha umiliato il proprio partito di provenienza, costringendolo ad accettare una collaborazione di governo in funzione subordinata persino rispetto all'avversario “antropologico” della cosiddetta sinistra, la Lega.
Si tratta del quarto “bidone” che il PD rimedia da parte di un proprio uomo al Quirinale, dopo i tre che gli erano stati inflitti dal presidente Napolitano, il quale nel 2010 ritardò pretestuosamente il voto di sfiducia al governo del Buffone di Arcore nel momento in cui non aveva più maggioranza parlamentare, concedendogli il tempo per ricomprarsi i voti. Lo stesso Napolitano fregò di nuovo il PD di Bersani nel 2011 bloccando le elezioni anticipate per imporre il governo Monti; e ancora nel 2013, con l’incarico “esplorativo” a Bersani, che rese inutili le consultazioni del segretario del PD per raggiungere una maggioranza. Il partito più ligio e servile ai dettami dell’establishment, il PD, è anche quello a cui vengono riservate le maggiori umiliazioni da parte del despota del Quirinale, il quale si bea non solo delle sue illimitate prerogative costituzionali, ma anche di un filo diretto con i media e l'alta finanza.
All'atto delle sue dimissioni, il segretario del PD Zingaretti non ha fatto alcun cenno a questo ennesimo sopruso presidenziale, non osando violare l’aura di sacralità che circonda la figura di Mattarella. Zingaretti ha preferito perciò ripiegare sui soliti luoghi comuni dell’antipolitica, descrivendo il proprio partito come dedito più alla ricerca delle poltrone che al perseguimento dei valori della sinistra.
Quando la discussione si sposta sul piano della pochezza “antropologica” della “sinistra”, vuol dire che non si vuole realmente discutere. Da sempre tutti i partiti sono accozzaglie di opportunismi e carrierismi personali (nel caso della “sinistra” anche di infondati snobismi culturali); perciò scoprirlo ogni volta, lascia il tempo che trova.
La cosiddetta “sinistra” dal 1979, l’anno dell’istituzione del Sistema Monetario Europeo, ha cessato di svolgere la sua tradizionale funzione, che era quella di ridistribuire il reddito, o in forma diretta di salario, oppure nella forma indiretta del welfare. Il Trattato di Maastricht del 1992 ha addirittura formalizzato la deflazione (la “stabilità dei prezzi”) come principio fondante dell'Unione Europea, mettendo di fatto la “sinistra” completamente fuori gioco, anzi, fuori legge. Con l'introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione nel 2012, si può dire che la sinistra sia diventata persino incostituzionale.
L’inalterabilità del valore dei crediti, non scalfiti più dall’inflazione, è così diventata la costante dell'ultimo trentennio, consacrando lo strapotere della finanza. Ciò ha costretto la “sinistra” a spostare la questione dal piano concreto e oggettivo della ridistribuzione del reddito, al piano astratto e fumoso dell'identità, dei “valori” e degli “ideali”, mettendosi così nelle condizioni di vedersi il proprio linguaggio rovesciato e strumentalizzato dagli “spin doctor” delle oligarchie finanziarie.
Sarebbe tutto più semplice se il problema riguardasse solo la “sinistra” e l’impresentabile PD. In realtà qualsiasi partito, quale che sia l'area politica a cui appartiene, può assumere un ruolo sociale soltanto se svolge la funzione di canalizzare risorse finanziarie. A parte la maggiore aggressività e la maggiore spregiudicatezza sul piano propagandistico, la “destra” va infatti a riscontrare la stessa crescente impotenza. La politica, senza denaro, non è nulla.
L'arrivo del governo Draghi rappresenta una drammatica smentita per chi, come il senatore Bagnai, ha puntato sull’ipotesi politica dell’inversione dei ruoli tra destra e sinistra. Bagnai e il suo amico Borghi sono riusciti a barcamenarsi finché hanno condotto il giochetto pirandelliano di denunciare la subdola spilorceria del MES e del Recovery Fund, facendo finta che per tutta la Lega quello fosse il principale casus belli. Oggi però i due si trovano appiattiti su una linea cucita sul neo-ministro Giorgetti; la linea del “proprio perchè i soldi del Recovery sono pochi, non possono essere sprecati”. Si tratta del più classico mantra del sedicente liberismo, secondo cui sono necessarie la competenza e l’efficienza per gestire al meglio la scarsità ed evitare gli “sprechi” (la parola “spreco” è il distintivo del liberista puro e duro). Ma la scarsità non è gestibile, perché troppo spesso la scarsità è artificiosa e pretestuosa. L'Unione Europea aveva indicato la vaccinazione di massa come la via di salvezza, e invece ora ci accorgiamo che persino sui vaccini si adotta la linea della scarsità artificiosa, che consente di stabilire gerarchie e di discriminare tra figli e figliastri.
Uno studio, anzi una “proiezione”, del Fondo Monetario Internazionale analizza le eventualità di sommovimenti sociali dovuti alla sofferenza causata dalla gestione della pandemia. Il risultato dello studio è, ovviamente, confortante per le oligarchie finanziarie: dopo un periodo di fibrillazioni, tutte le opposizioni sociali saranno riportate all’ovile.
L’inattendibilità dello studio del FMI sta nel fatto che non tiene conto degli effetti sociali a breve e medio termine della dissoluzione della mediazione politica. Il sistema di potere dovrà fare i conti non tanto con l'opposizione che proverrebbe dal basso, ma soprattutto con la destabilizzazione che esso stesso sta determinando. Oggi il sistema di potere concentra gran parte delle proprie energie per umiliare i propri stessi servi, il che non è razionale ma comunque è un ovvio riflesso condizionato dovuto al delirio di onnipotenza.
Occorre però rilevare che questa tendenza alla dissoluzione della mediazione politica sembra trovare qualche contrasto almeno oltre Atlantico. Mentre in Europa ancora ci si balocca con le cifre ridicole e le false illusioni del Recovery Fund, negli USA il nuovo presidente Biden sta inondando l’economia di miliardi, ottenendo la collaborazione del Senato: 1900 miliardi per ora, e se ne prospettano altre iniezioni per il futuro.
Si era detto che Biden si sarebbe posto come docile strumento degli apparati; invece sembra, per adesso, che voglia rilanciare il ruolo della mediazione politica, una mediazione che non può esercitarsi se non con l'erogazione diretta di denaro. Tutto ciò almeno fino a quando qualche provvidenziale scandalo non giunga a ridimensionare Biden e a farlo rientrare nei ranghi.
Una delle scadenze più significative della società “occidentale” è il cosiddetto “dibattito”, a cui ognuno a modo suo sente di dover partecipare; finché forse un giorno non gli si svela l'orribile segreto, e cioè che di quello che dice, o non dice, non gliene frega niente a nessuno. Il “dibattito” è infatti un rituale che ha una sua viziosa circolarità: sembra partire da determinate premesse, procedere e acquisire nuove posizioni, salvo poi ritrovarsi puntualmente di nuovo al punto di partenza. In “democrazia” il finto ascolto e la fittizia apertura alle critiche sono cerimoniali che servono a ribadire le gerarchie comunicative tra i “superiori” e gli “inferiori”. Attraverso un contorto sentiero dialettico, si arriva persino a denunciare le malefatte dei ricchi e dei potenti, per poi alla fine concludere che è sempre colpa dei poveri e dei deboli. Questo inesorabile paradigma comunicativo può essere verificato anche tutte le volte che si parla di Africa.
L'assassinio dell'ambasciatore italiano, del suo carabiniere di scorta e del suo autista nella Repubblica Democratica del Congo ha riportato all’evidenza il paradosso dell’ex Congo belga, uno dei Paesi più ricchi di materie prime al mondo, ma anche uno di quelli economicamente più poveri. Sulla rivista online dell’Aspen Institute italiano, fondata da Giuliano Amato, si trova un articolo che, in alcuni punti, risulta sorprendente, se si considera che l’Aspen è una filiazione del Dipartimento di Stato USA. Si delinea il percorso del saccheggio delle risorse minerarie del Congo Kinshasa, constatando le responsabilità di compagnie come Volkswagen, Apple, Microsoft e Huawei. Non si risparmiano i dettagli crudi, specialmente per ciò che riguarda l'estrazione della materia prima fondamentale per la tecnologia degli ultimi decenni: il cobalto. L'elenco dei crimini comprende lo sfruttamento della manodopera minorile, i numerosi incidenti sul lavoro e le morti bianche.
Nell'articolo si osserva anche che il saccheggio è stato favorito dal Fondo Monetario Internazionale, il quale ha imposto per decenni al governo congolese di applicare una tassa di solo il 2% sul minerale estratto, una quota troppo piccola per favorire una redistribuzione del reddito alla popolazione. Ma ora che l’aliquota della tassa è stata portata al 10%, la mancata redistribuzione andrebbe addebitata alla corruzione locale. Quindi, se le cose continuano ad andare male, è dovuto al fatto che i Congolesi sono corrotti.
Che i Congolesi siano corrotti è indicato anche dal fatto che pare siano riusciti a corrompere persino l’integerrimo FMI. Per rientrare nelle grazie del FMI, il governo di Kinshasa ha dovuto infatti accordare un ricco contratto alla Baker McKenzie, la società privata di consulenza finanziaria in cui lavorava (guarda la combinazione) Christine Lagarde prima di andare a dirigere il FMI, ed ora la BCE. L’intreccio della gestione pubblica con gli affari privati se riguarda i poveri si chiama corruzione, ma se riguarda i ricchi si chiama “competenza”. Uno degli elementi ideologici più importanti delle attuali gerarchie imperialistiche è proprio l’etichetta di “corrotto” riservata ai Paesi inferiori. La superiorità in termini di potenza materiale si mistifica come gerarchia morale e antropologica: la super-razza dei “competenti” e la sotto-razza dei “corrotti".
Ora è diventato frequente mettere in dubbio l'idea che i fallimenti economici dell'Africa siano colpa del colonialismo. Già l'uso della parola “colpa” risulta abbastanza subdolo, dato che spostando la questione sul piano morale, si può dimostrare qualsiasi cosa. La domanda seria sarebbe invece chiedersi se il colonialismo ci sia ancora. In effetti vige tuttora in Africa un dominio coloniale, mediato però da istituzioni sovranazionali ufficialmente “imparziali”. Non c’è solo il FMI, che è già di per sé un’agenzia ONU, ma anche la stessa ONU in prima persona, impegnata in operazioni di “peace keeping”, cioè di occupazione militare del territorio congolese. In questa opera di “pace”, le truppe ONU si servono di aerei droni “Falco”, prodotti dalla ex Finmeccanica, che ora si fa chiamare Leonardo.
Il quotidiano “La Stampa” nel 2015 diede anche una rappresentazione entusiasticamente truculenta sull’uso di questi droni italiani in Congo, narrando di guerriglieri che, pur ammoniti, non si erano lasciati intimidire dalla sorveglianza h24 da parte dei droni “Falco”, pagando così un duro prezzo di sangue. In Congo quindi l'Italia non è solo presente con operazioni umanitarie, ma anche come fornitrice di armi per la repressione interna.
Finmeccanica è organica ai servizi segreti italiani, e la commistione è evidenziata da un sistema di porta girevole, che ha visto avvicendarsi al vertice dell’azienda prima Gianni de Gennaro e poi l’ex direttore dell’AISE, Luciano Carta, tuttora in carica. Persino l’ex ministro Marco Minniti, anche lui proveniente dai servizi, è andato ad occupare una poltrona dirigenziale in una società del gruppo Finmeccanica.
La porta girevole non è corruzione, è “competenza”. Non si tratta di un comportamento esclusivamente italiano, poiché la osmosi tra aziende produttrici di armi (e non solo di armi) con i servizi segreti e con gli alti gradi militari, riguarda tutto il sistema internazionale.
Ora, possibile che Finmeccanica ed i servizi non si siano resi conto del pericolo a cui esponevano l’ambasciatore italiano? In effetti era logico pensare che il ruolo dell’Italia nella vendita di armi all’ONU, rendesse Luca Attanasio un bersaglio per ritorsioni, sia da parte della guerriglia, sia da parte di eventuali concorrenti nel business degli armamenti.
In questa vicenda le responsabilità di Finmeccanica e dei servizi segreti nostrani sono abbastanza evidenti. I media però preferiscono non toccare gli interessi del grande business e mettono invece sotto accusa il ministero degli Esteri ed il suo attuale occupante, lo zimbello di professione Luigi Di Maio, messo lì apposta per fare da parafulmine in situazioni del genere.
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