Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Non è affatto indifferente che i media attribuiscano a Kim Jong-un l’irrealistico epiteto di “dittatore”, piuttosto che quello di addetto alle pubbliche relazioni della casta militare nord-coreana. Kim Jong-un svolge in Corea del Nord un mero ruolo di simbolo di continuità istituzionale, ma è evidente che tutte le scelte di carattere economico e militare del regime prescindono dalla sua persona. Anche se l’espressione “casta militare” ha un’accezione negativa, essa presuppone comunque un contesto ed una storia; proprio ciò che il sistema della propaganda “occidentale” non vuole ammettere, in quanto tutto deve essere ricondotto a patologie individuali. Si riduce quindi tutto a una fiaba moral-demenziale, nella quale Kim Jong-un interpreta la parte di una sorta di Gollum del “Signore degli anelli”: un essere inferiore che vorrebbe velleitariamente accedere ad un potere che non gli spetta e, per questo motivo, si abbrutisce ancora di più.
Ma il sistema occidentale non combatte solo i “dittatori” che rivendicano un’indipendenza, in quanto combatte soprattutto i propri stessi popoli. Per tale motivo anche interi popoli possono essere criminalizzati e inquadrati dalla propaganda in patologie morali. Le istituzioni sovranazionali svolgono proprio la funzione di Super-Io incaricato di spegnere le velleità di autonomia economica dei popoli che “vorrebbero vivere al di sopra dei propri mezzi”. L’ultima sortita del Fondo Monetario Internazionale per quanto riguarda l’Italia ha riportato al centro dell’attenzione la questione delle tasse sulla prima casa e della compressione del sistema previdenziale. Il FMI è andato quindi a colpire i punti sensibili su cui si reggono le aspettative di benessere e sopravvivenza del ceto medio.
L’aspetto beffardo delle dichiarazioni del FMI concerne il riconoscimento del fatto che l’Italia ha già fatto “più di altri” per contenere il presunto disavanzo previdenziale, ma ciò ovviamente non può bastare. Non può bastare mai, poiché siamo appunto nell’ambito della psicoguerra, quella combinazione di terrore e colpevolizzazione che ha lo scopo di abbassare le difese mentali delle persone. Il moral-terrorismo economico del FMI non trova ostacoli perché è assente dal dibattito pubblico la categoria che potrebbe spiegarlo e smascherarlo, cioè il pauperismo.
Ovunque il ceto medio è del tutto privo di “anticorpi ideologici” nei confronti della minaccia del pauperismo. Dopo l’ultimo dopoguerra l’espansione dei ceti medi è stata travolgente, ma senza che si sviluppasse analogamente una precisa consapevolezza dei propri interessi, poiché l’effetto di sollevamento di una marea economica favorevole non ha richiesto l’acquisizione di strumenti culturali. L’anticomunismo ha costituito il collante ed il fattore identitario dei ceti medi e la “reductio ad anticomunismum” ha rappresentato la panacea per qualsiasi problema. Si è creata l’illusione che bastasse essere anticomunisti perché la vita ti sorridesse e l’economia corresse.
L’anticomunismo ha finito per influenzare indirettamente anche il comunismo e la sinistra in genere, tanto da far credere che l’arma vincente fosse sempre quella di derogare dalle posizioni di principio, dai presunti “dogmi” della sinistra. Privata del suo metodo, la sinistra è stata ridotta a “valori”; e quando si rinuncia al metodo per inseguire i “valori” si è esposti ad ogni strumentalizzazione ed ogni manipolazione.
È stata la finanza globalista a schiumare dalla sinistra il grasso che le serviva per lubrificare le sue esche, cioè il lubrificante della retorica umanitaria e missionaria, ed anche il moralismo anticonsumistico. I “valori” della sinistra, opportunamente manipolati, sono così diventati l’arma ideologica della finanza globale e i partiti di sinistra sono stati chiamati a gestire il programma di deflazione insieme con la destra ed in finta alternanza con essa.
La deflazione ha impoverito il lavoro e i ceti medi e l’aumento della povertà ha consentito alla finanza di accedere a business a basso investimento, basso rischio ed altissimo profitto, come il caporalato digitale delle agenzie di lavoro interinale e, soprattutto, il microcredito. La povertà è un mega-business, ovviamente per i ricchi.
In base alle vigenti teorie dello Stato, questo non avrebbe alcun interesse a creare povertà, poiché ciò si risolverebbe in un calo delle entrate fiscali. Gli Stati costituiscono però pseudo-organismi le cui parti non solo non rispondono alla testa, ma principalmente non rispondono al corpo. Non c’è quindi da stupirsi se il governo combatte il proprio popolo e le proprie entrate fiscali fondando addirittura un ministero della pauperizzazione, cioè l’Ente Nazionale per il Microcredito. Questo ente, costituito con la Legge 106/2011, non si presenta come un’agenzia con dirette funzioni economiche, bensì di lobbying a favore degli istituti che operano nel campo del microcredito. Nella sua autopresentazione, l’Ente Nazionale per il Microcredito rivendica una “mission” (sic!), cioè diffondere tra i poveri il vangelo del microcredito: beati i poveri perché saranno schiavi per debiti.
L’Ente Nazionale per il Microcredito sarebbe stato fondato in ossequio a indicazioni dell’ONU, ma in effetti l’ONU ha agito come cinghia di trasmissione del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Esiste, manco a dirlo, anche un’agenzia europea del microcredito, con il compito di “ispirare” le agenzie a livello nazionale.
Il microcredito ha sortito effetti devastanti nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo, dove ha determinato indebitamento cronico, disperazione sociale e spinta migratoria. Nei Paesi occidentali il microcredito si presenta come servizio alle piccole imprese ma, di fatto, tende a creare figure atipiche di lavoratori autonomi costrette ad offrire servizi sottopagati.
Il terremoto in Italia centrale costituisce oggi l’occasione per un grande laboratorio sociale del microcredito. Il governo si è rimangiato la promessa di seri sgravi fiscali per le aree colpite dal sisma e, in alternativa, manda il suo sicario, cioè l’agenzia Nazionale per il Microcredito, ad irretire le popolazioni bisognose di aiuto. Nel cuore dell’area terremotata, ad Amatrice, è stato aperto il primo sportello per il microcredito, sapendo che lo stato di bisogno della popolazione inibirà qualsiasi riflessione sulle conseguenze dell’indebitamento.
Sebbene i media lo abbiano detto solo incidentalmente, si è immediatamente notato che il nocciolo “hard” del recentissimo Decreto del governo Gentiloni presentato come un provvedimento per il Sud, era costituito in realtà dal via libera alla multinazionale tedesca Flixbus. Il caporalato digitale rappresenta uno dei business multinazionali del futuro e Flixbus ha superato Uber, poiché ha allargato la nozione di caporalato digitale dai semplici autisti addirittura alle aziende di trasporti. Dalla pauperizzazione del lavoro si è passati alla pauperizzazione del ceto medio.
La retorica meridionalista è servita quindi ad una pura operazione di lobbying a favore di una multinazionale. Per quanto riguarda la parte del Decreto che incentiva la formazione di nuove aziende al Meridione, il trucco sottostante è sempre lo stesso: si prevedono certi incentivi ma questi possono essere prontamente ritirati se i progetti non partono in tempo. In base ai dati, mai smentiti, di un’agenzia ufficiale come lo Svimez, i tagli di spesa pubblica sono stati storicamente più intensi al Meridione e gli ultimi governi hanno confermato la tendenza. Storicamente la pauperizzazione del Sud ha quindi svolto la funzione di strumento deflattivo a vantaggio della finanza. La deflazione preserva il valore dei crediti e rende impagabili i debiti, incentivando la spirale dell’indebitamento.
Ci sarebbero gli estremi per parlare di colonialismo, ma la vigente parodia del politicamente corretto non lo consente poiché il denunciare la colonizzazione rende sospetti di “nazionalismo”. Il “politicamente corretto” era nato negli anni ’80 come tentativo di bon ton comunicativo in chiave soprattutto antirazzistica, in modo da evitare tutti i giudizi e gli epiteti a carattere liquidatorio che non riconoscessero i punti di vista diversi. La metamorfosi del “politicamente corretto” data agli anni ‘90, che si sono conclusi con la prima guerra “politicamente corretta”: l’aggressione della NATO alla Serbia per il Kosovo. Da anni il “politicamente corretto” è diventato tutt’altro rispetto alle origini, cioè si è trasformato in una rappresentazione del mondo caricaturale, nella quale da una parte ci sono la democrazia, i diritti umani e la cooperazione internazionale, dall’altra ci sono il fanatismo religioso, il nazionalismo e le dittature. In questo quadro non sono contemplati il colonialismo e l’imperialismo, anzi il citarli fa rischiare non solo di essere annoverati come nazionalisti, ma anche come “complottisti”.
È avvenuto così che la parodia del politicamente corretto sia diventata l’ideologia mistificatoria a supporto del colonialismo della finanza globale. In questa ideologia c’è anche spazio per i razzismi politicamente corretti, come quello antimeridionale e quello antirusso. Sono razzismi necessari per mascherare la pauperizzazione di certi popoli; una pauperizzazione attuata all’interno con taciti tagli di spesa ed all’esterno con plateali sanzioni economiche. Roberto Saviano è un propagandista-icona sia dell’autorazzismo meridionale che del razzismo antirusso, ossessionato com’è sia dalla camorra che dalla mafia russa. La pauperizzazione richiede una criminalizzazione, ovviamente a turno, dei popoli.
Da più parti si è sottolineato che l’inasprimento delle sanzioni economiche contro la Russia è stato deciso dalle camere USA in base ad un’ipotesi di “hackeraggio” che non ha trovato sinora alcun riscontro di prova. Il problema è che, seppure queste prove fossero esistite, la decisione del Congresso e del senato USA sarebbe stata comunque illegittima ed eversiva. Nei rapporti internazionali tra gli Stati vi sarebbero infatti delle procedure da rispettare allorché uno Stato pensi che un altro Stato lo abbia danneggiato: si convoca l’ambasciatore per chiedere chiarimenti e, se questi non sono ritenuti sufficienti, si procede prima per sanzioni diplomatiche. C’era quindi un ruolo del governo che doveva poi relazionare alle camere per eventuali altre decisioni. In questa circostanza invece l’ambasciatore russo è stato considerato una sorta di paria la cui frequentazione da parte del presidente e del suo entourage andava evitata ad ogni costo, come se si rischiasse una specie di contaminazione razziale. In più la decisione quasi unanime del Congresso e del senato USA ha posto le sanzioni anti-russe sotto una specie di clausola di protezione contro il proprio stesso capo dell’esecutivo. Si è trattato di un atto eversivo sia verso l’interno che verso l’esterno, a cui la stragrande maggioranza dei parlamentari si è adeguata nel timore di diventare sospettabile di atteggiamenti filorussi. Stato e governo sono concetti distinti, ma un parlamento che delegittima preventivamente un governo, delegittima lo Stato nel suo complesso.
Probabilmente almeno una parte della cordata che aveva spinto CialTrump alla presidenza si era illusa di poter recuperare un margine di manovra dello Stato per la trattativa diretta con altri Stati, in particolare la Russia. Ma già l’affidarsi ad uno come CialTrump doveva indicare che il tentativo era disperato. Quando si è andati a cercare lo Stato, si è scoperto che non c’era. Il concetto di “deep State” è una suggestione consolatoria per non ammettere che le lobby finanziare detengono poteri di veto.
Secondo alcuni lo Stato costituirebbe una formalizzazione dei rapporti di forza sociali. Si tratta di una di quelle affermazioni che possono apparire come critiche, ma che in effetti si risolvono in mere cortine di fumo in quanto non dicono nulla. Lo Stato non va considerato una veste giuridica dei rapporti sociali, bensì come una mera astrazione giuridica, che può assumere, di volta in volta, valenze mitologiche o superstiziose. In questo senso lo Stato non è affatto una formalizzazione del rapporto di forza, bensì una componente del rapporto di forza in funzione di espediente illusionistico di distrazione, inganno e manipolazione. Sottrarsi a questa suggestione ingannevole comporterebbe quindi un piccolo riequilibrio del rapporto di forza a proprio favore.
Un formalismo infatti non potrebbe essere abbandonato a piacimento, poiché ciò avrebbe appunto delle conseguenze sul piano formale. Quando il governo Gentiloni rifiuta di riconoscere la validità delle ultime elezioni venezuelane, dovrebbe motivare la sua decisione in base a procedure precise, previste da trattati sottoscritti sia da Italia che Venezuela. Senza questo “formalismo” nulla impedirebbe a Maduro di considerare a sua volta Gentiloni come un abusivo di passaggio (cosa, peraltro, non molto lontana dal vero) .
Nel 2012 il Presidente francese Hollande attribuì un riconoscimento diplomatico alle “opposizioni moderate e democratiche” al regime siriano di Hassad. Ma uno Stato che ne delegittima un altro, delegittima anche se stesso. Se non avesse avuto in quel periodo impegni più urgenti, Hassad avrebbe potuto benissimo rivendicare gli stessi titoli per offrire il proprio riconoscimento diplomatico ad un qualsiasi oppositore di Hollande. Il punto è che i rapporti tra gli Stati rappresentano l’apparenza e invece sono i movimenti di capitale a dare il via alle destabilizzazioni ed alle macchine belliche, e i governi e i parlamenti si adeguano.
Lo Stato quindi non è una formalizzazione o un formalismo, bensì una pantomima e, come tale, può essere messa da parte a piacimento, a seconda delle convenienze dei movimenti di capitali. I primi a non dar troppo credito a questa pantomima sono coloro che la mettono in scena e che escono troppo spesso dalla parte.
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