Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La narrazione ufficiale sulle manifestazioni in Iran sta seguendo il protocollo obbligato in questi casi. Non manca ovviamente la solita ragazza che si ribella al regime rifiutando di mettersi il velo. Secondo le regole ferree dell’istupidimento propagandistico, niente di meglio che propinare una fiaba edificante e piena di buoni sentimenti. Il tutto viene narrato in modo abbastanza vago e impreciso, tanto da risultare inverificabile.
Il presidente iraniano Rohani ha dunque chiuso con una rogna un 2017 che era stato per lui pieno di trionfi. Rohani, capo dell’ala clepto-clericale e affaristica del regime iraniano, era stato rieletto nel maggio scorso e la sua vittoria elettorale fu salutata da un balzo della Borsa di Teheran. Appena un paio di mesi fa Rohani aveva anche annunciato e celebrato, insieme con Assad, la vittoria militare in Siria sul cosiddetto “Isis-Daesh”, cioè sui mercenari americo-sauditi.
Uno dei maggiori problemi che ha dovuto affrontare Assad in Siria è stata la presenza ostile delle ONG, tra l’altro sempre pronte ad accusare il regime di ogni nefandezza. In particolare, due anni fa Assad, in sede ONU, ha accusato esplicitamente l’ONG “Medici senza Frontiere” di essere gestita dai servizi segreti francesi.
Sembrerebbe che la notizia sia sfuggita a Rohani, visto che “Medici senza Frontiere” è una delle ONG maggiormente presenti ed attive in Iran, soprattutto nella capitale Teheran.
È oggi ampiamente documentato il nesso tra le ONG e le “rivoluzioni colorate”. Ci sarebbero motivi per rivoltarsi ovunque e, infatti, negli anni scorsi ci sono state rivolte anche in Inghilterra e USA. Ma le "rivoluzioni colorate" non sono rivolte, in quanto la piazza fa da vetrina, mentre nel retrobottega vengono comprati pezzi ben scelti dell'apparato dello Stato. Le ONG significano soldi a palate; e il denaro non solo corrompe ma riesce a farti vedere le cose come vuole lui. Oltre ad organizzare queste rivoluzioni”, le ONG rappresentano infatti per i media “occidentali” anche la principale fonte di “notizie” a riguardo. Insomma, se la fanno e se la raccontano.
In realtà il regime iraniano conosce benissimo i dettagli sul ruolo destabilizzante delle ONG e non c’era certo bisogno delle rivelazioni di Assad per capire che “Medici senza Frontiere” è una creazione dei servizi segreti. Il punto vero però è che le ONG costituiscono anche un veicolo di esportazione dei capitali, ed è proprio tale aspetto a rendere esplosivo il loro potenziale golpistico. Una bustarella non ti sradica dal tuo contesto sociale, mentre aprirti un conto all’estero costituisce un paracadute che ti consente di atterrare ovunque.
Per l’ala affaristica del regime iraniano far entrare delle ONG significa avere a disposizione innumerevoli canali occulti di fuga di capitali e di investimento all’estero. Si tratta di una peculiare funzione delle ONG, che esse stesse si incaricano di reclamizzare sui propri siti.
In fondo che importa se le ONG possono mandarti in malora un Paese. La mobilità dei capitali ha fatto volatilizzare anche il senso dello Stato (ammesso che sia mai esistito) e lo ha sostituito col senso delle ONG. Non ci si sorprenderà perciò di scoprire che, grazie anche al pretesto dell’emergenza causata dall’afflusso di profughi afgani, l’Iran oggi costituisce per le ONG un vero e proprio Eden, anzi, una Mecca, una “Terra Promessa”, o un Paese di Bengodi, come si preferisce.
A garantircelo è una ”non profit” che ha, del tutto casualmente, sede a Washington, Relief International, fondata nel 1990 da un americano-iraniano, Farshad Rastegar (o, almeno, lui era il prestanome). L’imperialismo non funzionerebbe senza queste compromissioni e commistioni con i ceti affaristici dei Paesi “avversari”.
Nell’epoca nella quale la metà degli elettori non va a votare, la prossima scadenza elettorale non manca ugualmente di suscitare attese e trepidazioni. Per ridimensionare l’effettiva portata della scadenza elettorale, occorre ricordare che poco più di un anno fa una significativa maggioranza di elettori aveva respinto il progetto renziano di riforma costituzionale. Eppure, a distanza di pochi mesi, nel febbraio di quest’anno, di fatto è passata, in modo surrettizio, una vera e propria riforma costituzionale camuffata da sentenza della Consulta. Praticamente un colpo di Stato. Un altro colpo di Stato dopo i tanti a cui ci aveva abituato Giorgio Napolitano.
Alcuni hanno salutato la sentenza con entusiasmo, come una restaurazione dei principi costituzionali; altri ne hanno invece sottolineato elusioni ed ambiguità. I più però non hanno notato che una sedicente “giurisprudenza” costituzionale si è in effetti trasformata, del tutto abusivamente, in una nuova legiferazione costituzionale.
La sentenza della Corte Costituzionale ha sì smantellato gran parte dell’impianto della legge elettorale renziana detta “Italicum”, ma, nel farlo, ha introdotto modifiche sostanziali dell’ordinamento. La prima modifica riguarda l’accettazione della cosiddetta “governabilità”.
La Corte infatti indica la “stabilità del governo del Paese” e la “rapidità del processo decisionale” come “obbiettivi di rilevanza costituzionale”. La Carta Costituzionale non offrirebbe alcun appiglio a tale affermazione ma, comunque, si tratterebbe pur sempre di obbiettivi “di rilevanza” costituzionale che, in quanto tali, dovrebbero soccombere di fronte ad un principio costituzionale tout court come la rappresentanza. “Ubi maior minor cessat” dicevano i giuristi romani. Invece no, dato che la Corte ha introdotto arbitrariamente l’esigenza di un “equilibrio” tra questi due principi, come se fossero di pari grado.
In nome di questo “equilibrio” tra rappresentanza e governabilità, i giudici costituzionali fanno il vero colpo gobbo, cioè portano al 40% la soglia per accedere al premio di maggioranza. In altri termini “maggioranza” non significa più il 50% più uno, ma c’è uno sconto del 10%. Non viene riformata soltanto la Costituzione ma anche l’aritmetica.
Il 50% più uno era considerata storicamente la soglia in grado di far avvenire la transustanziazione per la quale la parte diventava il tutto. Il 50% più uno poteva arrogarsi il diritto di considerarsi volontà generale, mentre adesso si diventa volontà generale con un misero 40%.
Questa enormità, che affossa millenni di Storia, è passata in silenzio, senza clamori e proteste e, per di più, ciò avviene non in un sistema maggioritario di tipo britannico, bensì in un sistema elettorale che viene definito “proporzionale”. Questi sono i paradossi della “governabilità”, cioè dei colpi di Stato a scadenze regolari.
Verrebbe da chiedersi come mai nell’epoca del dominio incontrastato del cosiddetto “liberismo”, che non fa altro che sminuire la funzione del governo, si vede concentrare tanto ardore e tanto zelo nel perseguire l’obbiettivo della governabilità. In realtà il “liberismo” non è affatto liberista come dice di essere, ma è un assistenzialismo per ricchi; e bisogna sempre essere molto solleciti ad assistere i ricchi, perché non hanno affatto la pazienza dei poveri.
I provvedimenti assistenziali a favore dei ricchi sono denominati in codice come “riforme strutturali”. Anche quest’anno infatti la Banca Centrale Europea non ha perso occasione per ricordarci che l’attuazione delle riforme strutturali da parte dei governi risulta troppo “lenta”. Ecco che si spiega il motivo per cui la “rapidità del processo decisionale” è diventata tanto cara anche alla nostra Consulta golpista.
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