Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Il messaggio che proviene dalla nascita in Italia del cosiddetto Partito Democratico, non è tanto la rinuncia dei suoi fondatori a certe tradizioni politiche, quanto invece a qualsiasi prospettiva politica. Le classi dirigenti dei Paesi colonizzati e militarmente occupati come l'Italia sono condannate a ragionare su tempi brevissimi, perdendo il senso della continuità e vivendo una condizione psicologica da "dopo di me il diluvio".
L'esibizione di servilismo di cui hanno dato prova i vari Veltroni e Fassino con la loro imitazione di Clinton, ha suscitato sorrisi di ironia nei Paesi stranieri, compresi gli Stati Uniti. Ma questo servilismo è solo un aspetto della questione.
La precarizzazione del lavoro alla lunga contribuisce a distruggere il tessuto produttivo di un Paese, facendolo diventare una colonia di consumo per merci straniere; nel frattempo però per la borghesia di quel Paese colonizzato si apre lo spazio affaristico della privatizzazione della intermediazione del lavoro. Il sedicente liberismo ha infatti come prima e ultima frontiera la privatizzazione dei servizi pubblici essenziali, cioè il saccheggio del denaro pubblico, dietro la giustificazione propagandistica dell'aziendalismo, dell'efficienza e del merito.
Si tratta quindi di privatizzare tutto ciò che per sua costituzione sarebbe pubblico.
È chiaro che non si può arrivare a privatizzare un ministero, ma l'affarismo non si fa arrestare da questi intoppi giuridici. La campagna moralistica sugli statali nullafacenti, affidata all'ex sindacalista della CGIL Pietro Ichino, ha vari sbocchi affaristici immediati: è possibile affidare i servizi di valutazione del lavoro ad agenzie private esterne all'amministrazione, ma è anche possibile colmare i vuoti di organico dovuti ai prepensionamenti appaltando il lavoro a ditte private.
Favorire i prepensionamenti con incentivi o con campagne terroristiche sulla perdita della pensione, fa sì che l'amministrazione pubblica non disponga più di un organico sufficiente per garantire le sue funzioni, e, poiché assumere è diventato un crimine, la soluzione "efficientistica" consiste nell'affidare il lavoro alle ditte private degli amici della propria cosca affaristica. È ciò che hanno fatto anche Bush e Rumsfeld quando hanno privatizzato la logistica delle proprie truppe di occupazione in Iraq, condannandole ad una progressiva perdita di operatività.
È evidente però che il paragone con gli Stati Uniti e l'imitazione dei loro metodi reggono sino ad un certo punto. Gli Stati Uniti non confinano con l'Iraq, non devono temere le conseguenze militari del fallimento dell'occupazione, perciò le loro oligarchie potranno ritirarsi a migliaia di chilometri di distanza a godersi il bottino dei saccheggi. L'affarismo criminale, la pirateria e l'auto-pirateria degli Stati Uniti hanno quindi una base geografica, delle risorse di territorio che li sostengono.
Da pochi giorni è morto Boris Eltsin, l'uomo che il KGB usò per mollare Gorbaciov con le sue velleità di statista. La conversione della Russia all'affarismo criminale si è basata su una valutazione analoga a quella degli Stati Uniti, cioè il fatto di disporre di grandi risorse in termini di territorio e di materie prime. Oggi la Russia può vessare sul piano commerciale i Paesi confinanti suoi clienti, senza avere molto da temere sul piano militare proprio grazie alla vastità del suo territorio.
La pirateria e l'auto-pirateria non sono certamente adatte invece a Paesi geograficamente esposti e interdipendenti come quelli europei, e tanto meno per Paesi strutturalmente poveri, dotati di sole risorse di lavoro, come l'Italia. Queste cose non è che Fassino e soci non le capiscano, il problema è che il fatto che le capiscano o meno risulta irrilevante, data la loro pratica dipendenza dagli Stati Uniti.
26 aprile 2007
Di fronte alla "rivolta della Chinatown milanese", il paragone maggiormente ricorrente fra gli opinionisti è stato quello con le analoghe "rivolte" che si svolgerebbero nei quartieri di Napoli quando la polizia cerca di effettuarvi un arresto. Se il paragone ha un fondamento, occorrerebbe dedurne che anche la rivolta "cino-milanese" costituisca una montatura, proprio come quelle che vengono segnalate a Napoli dagli organi di disinformazione.
Si tratta ormai di montature a costo zero, che non richiedono nemmeno più un dispendio di mezzi o l'impiego di agenti provocatori. Da anni infatti i titoli dei quotidiani parlano di rivolte ora a Forcella, ora a Scampia, ora a Secondigliano, senza che questi titoli corrispondano neppure lontanamente allo stesso contenuto dell'articolo. Mentre i titoli parlano di "rivolta", il testo degli articoli si limita a dire che i tutori dell'ordine sono stati accerchiati da una folla ostile, senza neppure precisare in cosa si sarebbe concretizzata tale ostilità.
L'ordine dei Giornalisti ammette tranquillamente la falsificazione dei titoli e la loro totale non corrispondenza al contenuto degli articoli. Negli ultimi mesi, ad ulteriore esempio, è invalso l'uso di far precedere la notizia di un reato dalla frase "uscito con l'indulto". Leggendo l'articolo poi veniamo a sapere invece che il presunto ladro o rapinatore era uscito dal carcere molto prima dell'indulto per avere scontato la sua pena.
L'opinione pubblica dimostra già una scarsa propensione a verificare la coerenza delle notizie, ma un richiamo razzistico è di solito in grado di travolgere ogni residuo di senso critico. Mettere insieme Cinesi e Meridionali è una tecnica semplice ed efficace perché l'ostilità verso gli uni alimenti automaticamente l'ostilità verso gli altri, e viceversa.
Lo scopo di queste montature poliziesco/giornalistiche è di solito molto immediato. Ormai molti dei Cinesi che sono in Italia sono regolarizzati o hanno addirittura la cittadinanza italiana, perciò il potere di ricatto delle Triadi cinesi nei loro confronti risulta diminuito. Per fare sentire a queste comunità di immigrati nuovamente il bisogno di protezione mafiosa, occorre accerchiarle, convincerle che è necessario farsi spremere di più per consentire ai mafiosi di corrompere a loro volta le autorità locali.
Ogni volta che il meccanismo della protezione mafiosa si allenta, la polizia si incarica di criminalizzare interi quartieri o intere comunità per ristabilire drasticamente questa dipendenza. Ciò significa più tangenti per i mafiosi e più tangenti per i poliziotti.
È evidente che oggi il business dell'emigrazione costituisce un affare tra mafie e servizi segreti, ed è altrettanto evidente che le mafie non sono altro che una propaggine degli stessi servizi segreti. Occorre uscire dallo schema per il quale i servizi segreti siano strumenti funzionali alla politica di potenza nazionale o imperiale dei vari Stati. I servizi segreti lavorano soprattutto per proprio conto e con proprie finalità. Molti esponenti dell'affarismo internazionale sono in effetti delle espressioni dei vari servizi segreti, e questo non da oggi: Onassis, ad esempio, era la facciata affaristica dei servizi segreti britannici. Altrettanto si può dire attualmente per molti magnati della comunicazione di massa, come Murdoch.
I servizi segreti sono spesso intrecciati tra loro, ma non è affatto detto che rappresentino una unità dal punto di vista degli interessi affaristici, e neppure che questo affarismo corrisponda sempre a strategie di ampio respiro. Il terrorismo, ad esempio, è un pretesto che può essere sfruttato in vari modi e da gruppi diversi.
L'esistenza del terrorismo può offrire ai servizi segreti l'alibi per coprire i loro traffici di armi, di droga o di migranti. Ma il terrorismo può costituire anche un business al dettaglio, per consentire a questo o quell'esponente politico di comprarsi popolarità.
L'invio di un pacco bomba o la scoperta che un certo nome sarebbe tra i bersagli dei terroristi, costituisce una vera onorificenza per molti uomini pubblici in difficoltà, che hanno bisogno di "ripulire" la propria immagine e ottenere per qualche giorno dai media la patente di eroi e di vittime dei cattivi. Per queste operazioni esiste probabilmente un vero e proprio tariffario, ed in questi giorni anche il presidente della Conferenza Episcopale, Bagnasco, deve avervi fatto ricorso, in modo da sottrarsi almeno per un po' alla gogna in cui i media ultimamente lo avevano costretto.
19 aprile 2007
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