Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Nel 1919 i giornali, con in testa il solito “Corriere della Sera”, condussero una martellante campagna di stampa su presunti episodi di aggressione ai reduci di guerra. Molti storici hanno dato per scontata l’autenticità di quella narrazione, ma in realtà di sostanzioso vi era ben poco, anche considerando che, con milioni di ex combattenti in giro, era pretestuoso attribuire un carattere antimilitarista ad ogni rissa in cui venissero coinvolti; ciò in un periodo in cui si veniva alle mani molto più facilmente di oggi. Sta di fatto che quella psicosi indotta dalla stampa di establishment fu importante nel creare il clima di rancore e di regolamento di conti nel quale si instaurò il fascismo. A quell’epoca creare una psicosi fu possibile con i soli mezzi della stampa cartacea, ma oggi, con la potenza degli attuali mezzi di comunicazione indurre analoghe psicosi su presunte emergenze finanziarie o pandemiche, o sui presunti disastri provocati dal reddito di cittadinanza, è molto più agevole e frequente di prima.
In un conflitto internazionale il ruolo mistificatorio dei media è ovviamente decisivo. Il sistema mediatico, al di là delle venature falsamente “critiche”, si dimostra oggi compatto nel diffondere menzogne sulla Svezia e sulla Finlandia, che, secondo la narrazione, avrebbero rinunciato alla loro storica neutralità per chiedere di aderire alla NATO. In questo caso la verità è facilmente verificabile, poiché sul sito della NATO si può accertare non solo che Svezia e Finlandia sono partner della stessa NATO dal 1994, ma anche che nel 2018 hanno partecipato all’operazione Trident, una delle più importanti esercitazioni congiunte nella storia dell’alleanza. Se i media stanno mentendo in modo così sfacciato su un dato che chiunque potrebbe immediatamente controllare, figuriamoci come possono mentire laddove il controllo non sia possibile. Forse lo stesso concetto di menzogna non descrive correttamente ciò che accade, poiché presupporrebbe un grado di lucidità che non c’è; qui invece ci si racconta ogni volta ciò che gli fa comodo raccontarci.
A questo punto è il caso di domandarsi se, anche nel caso della guerra in Ucraina, i media non si limitino a disinformare sulle vicende di guerra, ma se addirittura non stiano proseguendo una “guerra” che sul campo già non c’è più. La presa del Donbass da parte delle truppe russe comporta lo stabilire le infrastrutture che fissino i nuovi confini, e quindi si dovrebbe procedere alla “ripulitura” dei territori che si hanno di fronte da tutte quelle postazioni dalle quali fosse possibile bersagliare le strutture confinarie in allestimento da parte dei genieri russi. Possono quindi verificarsi piccole avanzate e successivi arretramenti, che i media occidentali possono spacciare come “riconquiste” dovute a furiosi combattimenti. In parole povere, la guerra guerreggiata potrebbe già essere finita da più di un mese e non ce lo si fa sapere. Come c’è stata una psicopandemia che è andata ben oltre i pochi mesi dell’epidemia reale, anch’essa molto enfatizzata, ora potrebbe esserci una “psicopolemia” che prosegue una guerra già conclusa sul campo.
La psicosi bellica può rappresentare l’ennesima emergenza su cui allargare il business delle armi e favorire l’ulteriore espansione della NATO. C’è da dubitare del racconto secondo cui il fascino della NATO sia dovuto al timore che incute la Russia. Il sito della stessa NATO può risultare molto istruttivo a riguardo, se si considera che esso presenta addirittura un portale del business, con ben nove sotto-agenzie che si occupano di aspetti specifici degli affari legati alle forniture militari. Ognuna di queste nove sotto-agenzie ovviamente ha un personale che, oltre a riscuotere lauti stipendi, può contare su opzioni di “porta girevole”, andando ad occupare posti nelle aziende private di cui si siano favoriti gli affari. Insomma, la NATO è così attrattiva perché è una macchina degli affari. Si può comprendere il motivo per il quale le oligarchie finlandesi e svedesi abbiano colto l’occasione della guerra in Ucraina per far digerire ai cittadini comuni la scelta di rinunciare ad una “neutralità” che di fatto non c’era già più da decenni.
Ma nella NATO non c’è soltanto la prospettiva del business “legale”. Nel 2004 il personale della NATO risultò coinvolto nel traffico di esseri umani nei Balcani, cioè di riduzione in schiavitù a fini di prostituzione. Secondo i rapporti della pur addomesticata Amnesty International, nello stesso traffico era coinvolto, oltre al personale della NATO, anche personale dell’ONU. Il business aveva comportato persino l’arruolamento di mafie locali e la loro integrazione ai fini del controllo del territorio. All’epoca vi furono a riguardo anche notizie lanciate dal quotidiano “The Guardian”, dalle quali si capiva che era stata individuata soltanto la punta di un iceberg di traffici illegali di ogni genere, dato che il segreto militare consente praticamente di tutto. Non è quindi un caso che tra i fan più accesi della NATO ci siano proprio le mafie locali.
Dato che la NATO è soprattutto una macchina di affari, la sua espansione non è stata dettata da considerazioni strategiche, semmai le giustificazioni pseudo-strategiche facevano parte delle operazioni di immagine, con tanto di slogan pubblicitari dei quali sono prolifici i cosiddetti Neocon. Nel 1998 il “News York Times” segnalò che erano stati spesi cinquantuno milioni di dollari per attività da parte delle agenzie di lobbying allo scopo di spingere il Congresso USA a favorire un’espansione della NATO. Milioni ben spesi, visti i risultati nell’allargamento della NATO ad Est.
Non ha quindi senso dire che l’espansione della NATO sia stata un “errore”, poiché il potere procede esattamente così, cioè fa tutto quello che può fare se non c’è qualcosa o qualcuno che gli impedisca materialmente di farlo; e negli anni ’90 l’imperialismo russo non era più in grado di svolgere nessuna funzione di contenimento nei confronti dell’imperialismo americano. Il potere funziona proprio all’opposto dell’aforisma dell’Uomo Ragno, per cui nella realtà più potere significa più irresponsabilità.
Lo stesso processo decisionale tende a dissolversi, perciò subentrano quegli automatismi nei quali il lobbying risulta inarrestabile, poiché la lobby non è altro che un aggregato che si forma attorno ad un business ed agli slogan pubblicitari che lo promuovono. Inventare un’emergenza fasulla quindi non è un problema, basta l’incontro di un business con lo slogan adatto. Il potere è pericoloso e quindi va preso sul serio, ma ciò non vuol dire affatto che il potere sia una cosa seria. Accade esattamente come con il ministro Speranza, che ci impone un’assurdità e poi ci racconta che, come a Bernadette, gli è apparsa l’Ascienza a ispirarlo. Allo stesso modo, nei suoi vari forum, dalla Trilateral a Davos, il lobbying produce una letteratura distopica che può essere fraintesa come progettualità sociale, mentre invece rientra nei meccanismi promozionali del business.
Quando nel 1991 finirono l’Unione Sovietica e il socialismo reale, ci è stato raccontato che l’assorbimento della Russia nell’economia occidentale avrebbe determinato una cessazione dei conflitti ideologici e l’inaugurazione di un’era di pace e sviluppo. La narrazione attecchì anche in settori della cosiddetta sinistra radicale, per cui pochi a quel tempo osservarono che un’integrazione della Russia nel sistema capitalistico avrebbe inevitabilmente inasprito i conflitti imperialistici. Anzi, la parola “imperialismo” fu censurata dal politicamente corretto, ed il mantra consistette nell’individuare l’unico pericolo di guerra in quel soggetto politico fantasma che sarebbero i “nazionalismi”. In realtà le nazioni non esistono in natura e sono prodotti storici degli imperialismi, per cui ogni Stato nazionale non è che un imperialismo interno che si esprime nel confronto con altri imperialismi. La criminalizzazione del dittatore di turno è la formula obbligata con cui l’attuale falsa coscienza, il politicamente corretto, deve dissimulare il conflitto intercapitalistico, lo scontro degli imperialismi, ed anche il costo crescente dell’imperialismo a scapito del livello di vita della popolazione.
L’espansionismo commerciale della Russia è stato immediatamente percepito come una doppia minaccia, politica ed economica. Nel 2009 era già chiaro che gli USA non avrebbero consentito l’attuazione del gasdotto North Stream 2, che collegherebbe (se fosse operativo) la Russia e la Germania. La Polonia lanciò l’allarme: l’impero russo si stava espandendo usando petrolio e gas invece dei carri armati. Da Washington l’allarme veniva rilanciato a tutte le altre cancellerie europee. L’epoca della sedicente globalizzazione ha visto così una recrudescenza delle guerre commerciali ed un uso a tutto campo dell’arma delle sanzioni.
Dalla seconda metà degli anni ’90 era già iniziata l’espansione della NATO ad Est, per cui la Russia tentò persino di farsi integrare a sua volta nell’alleanza, ovviamente senza riuscirci. Con l’espansione inarrestabile della NATO l’imperialismo USA perdeva attitudini classiche degli imperialismi, cioè la dissuasione e l’equilibrio di potenza. L’automatismo dei comportamenti statunitensi man mano toglieva all’avversario russo la preoccupazione di avere qualcosa da perdere, infatti, quali che fossero le mosse russe, la NATO si allargava ugualmente. Rispetto alle tradizionali alleanze militari la NATO è qualcosa di più: un apparato mastodontico che si configura come una rete di carriere personali con porte girevoli tra pubblico e privato e di lobby di affari, da quelli “legali” a quelli illegali, che si consumano all’ombra del segreto militare. Non solo l’Unione Europea, ma anche la NATO, funzionano col pilota automatico di cui ci narrò Draghi nel 2013, quando disse che i governi potevano cambiare ma che l’agenda di governo sarebbe rimasta sempre la stessa.
Oggi ci si racconta il conflitto in Ucraina come una serie di mosse e contromosse, di azioni della Russia e di reazioni della NATO. In realtà quella pioggia di forniture militari che giunge all’Ucraina non è una risposta all’invasione, ma era già cominciata da tempo. Nel settembre dello scorso anno il Congresso USA approvava l’invio di batterie missilistiche all’Ucraina.
La spesa in armamenti crea il fatto compiuto a cui poi adeguare tutta la politica, per cui i flussi di denaro sono diventati indipendenti da ogni strategia sottostante. Si può dire che l’espansione della NATO non è stata l’effetto di una decisione strategica ma una conseguenza del lobbying delle armi, che ha promosso gli affari trovando ogni volta nel repertorio linguistico del politicamente corretto gli slogan pubblicitari utili alle esigenze del business, secondo lo schema collaudato dal Segretario di Stato Madeleine Albright. Nel 2003 la NATO e l’Ucraina festeggiavano i loro primi cinque anni di partnership. Il colpo di Stato di piazza Maidan di undici anni dopo arrivava come ovvia conseguenza, poiché occorreva rendere irreversibile il processo di colonizzazione militare ed economica dell’Ucraina.
L’uscita di Svezia e Finlandia dalla loro presunta neutralità, ci viene anch’essa narrata come una risposta all’invasione russa: gli agnellini spaventati dall’orso russo che corrono a rifugiarsi tra le braccia di mamma NATO. In realtà Svezia e Finlandia sono partner della NATO da ventotto anni, dal 1994, cioè nel periodo in cui la Russia sembrava in pezzi e prossima ad un crollo definitivo. Nel 2011 la Svezia ha fornito persino supporto alle operazioni militari contro la Libia, e dal 2014 ha partecipato ad operazioni militari in Afghanistan. E questo perché era “neutrale”. Le frenesie del militarismo svedese sono del tutto comprensibili, se si considera che la Svezia è uno dei Paesi che mirano esplicitamente ad una dissoluzione della Russia per ritagliarsi nuovamente un ruolo imperialistico nel mondo slavo. Del resto l’Ucraina di Kiev è nata come colonia svedese.
Il militarismo finlandese non è da meno per mezzi e personale. La Finlandia è inoltre uno dei pochi Paesi ad aver mantenuto l’esercito di leva, per cui in caso di guerra può mobilitare quasi un milione di uomini.
Nel 2018 Svezia e Finlandia parteciparono ad un’esercitazione militare congiunta con la NATO, che venne presentata come la premessa di una prossima adesione a tutti gli effetti, quindi era tutto già deciso e l’invasione russa è stata solo l’occasione per farlo sapere e digerire all’opinione pubblica ignara.
A distanza di varie settimane dall’annuncio dell’uscita dei due Paesi dalla cosiddetta “neutralità”, nessun giornalista o “esperto” del mainstream, neppure della tendenza più “critica” verso l’escalation militare, si è preoccupato di dare una sbirciata al sito della NATO in modo da accertare fino a che punto era già arrivata la collaborazione militare tra la Svezia, la Finlandia e la NATO. Queste omissioni sono un oggettivo indicatore del grado di attendibilità della comunicazione ufficiale.
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