Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Era irrealistico credere che il sistema bancario francese lasciasse gestire la fine, più o meno prossima, dell’euro a Marine Le Pen. Come pure era irrealistico ritenere che, una volta che il sistema bancario francese avesse confezionato un candidato, non lo conducesse poi alla vittoria con largo margine tramite qualsiasi mezzo. Questi “mezzi” potrebbero rimanere per sempre segreto di Stato, anche se in epoca di software informatici non ci vuole un grande sforzo di immaginazione. Il “sovranismo” sconta quindi il suo vizio di origine, cioè quello di non essersi confrontato con il potere suggestivo e illusionistico del denaro. Il “sovranismo” ha puntato sul movimento delle opinioni pubbliche, senza tener conto del fatto che è il denaro a creare l’opinione pubblica, convincendola magari di aver votato come non ha votato.
Dall’osservatorio italiano questa saldatura tra banche ed apparati dello Stato non può essere del tutto percepibile, perché in Italia il sistema bancario non ha un potere interno ed internazionale paragonabile a quello del sistema bancario britannico, tedesco o francese. Del resto l’Italia è stata per oltre un quarantennio una potenza manifatturiera, ma non è più stata una potenza finanziaria almeno dai tempi dei Medici.
A differenza delle banche italiane, avvolte nel coro del colpanostrismo e prone all’idolo Draghi, le banche francesi hanno aperto un contenzioso giudiziario con la Banca Centrale Europea per contestarne i parametri di solvibilità e di “sofferenza”. La sfida delle banche francesi alla BCE indica chiaramente che sono pronte a cannibalizzare il patrimonio bancario altrui, ma non a farsi cannibalizzare a propria volta.
Che in Francia un “banchiere” venisse chiamato a gestire la fine dell’euro, era quindi scontato. Molte delle sbracate aperture di Macron alla Germania, come pure la rispolverata dell’asse franco-tedesco, appaiono quindi come tattica diplomatica, probabilmente mirata a scaricare interamente sulla controparte il fallimento della trattativa.
I media nostrani hanno celebrato il presunto nuovo feeling tra la Merkel e Macron, fantasticando su un rilancio dell’Unione Europea e rinfocolando gli entusiasmi europeistici, peraltro presto spenti dalla nuova procedura d’infrazione che la Commissione Europea ha avviato contro l’Italia per le emissioni illegali dei veicoli FIAT in base al consueto criterio dei due pesi e due misure. Di fatto la cancelliera non ha concesso nulla alla Francia; ed è molto dubbio che i mandanti di Macron queste concessioni se le aspettassero davvero. La finanza francese deve avviare una fittizia trattativa con Berlino per far dimenticare la diretta responsabilità francese sia nella nascita dell’euro che nel massacro della Grecia, facendo apparire la Germania come l’unica colpevole dell’euro-disastro. Cosa che non dovrebbe risultare difficile, poiché storicamente i tedeschi sono specialisti nell’arte di addossarsi tutte le colpe.
La Francia ha più urgenza dell’Italia a chiudere i conti con l’euro e, a differenza dell’Italia, ha ancora gli strumenti per farlo. Il problema è che la fine dell’euro non comporta affatto la dismissione delle politiche di austerità, cioè di pauperizzazione, poiché queste sono funzionali alla finanziarizzazione dei rapporti sociali. La stessa confezione di Macron contiene una chiara indicazione in tal senso.
Macron ha tutte le caratteristiche del candidato artificiale e costruito a tavolino: ha l’aspetto di un attore, somiglia vagamente al Daniel Auteuil di una ventina di anni fa e può vantare anche una biografia trasgressiva ad uso del gossip più progressista. Persino la presenza nel suo curriculum di un’esperienza come dirigente in una delle banche Rothschild potrebbe essere soltanto un fittizio elemento di lustro nella costruzione del personaggio. Ma se i Rothschild non sono stati davvero in passato i datori di lavoro di Macron, lo sono comunque ora, dato che hanno concorso a piazzarlo all’Eliseo.
I Rothschild costituiscono un cancro con molte metastasi, quindi esistono più gruppi bancari europei che possono essere fatti risalire ai vari rami di questa famigerata famiglia. Sta di fatto che questa esclusiva dinastia finanziaria non disdegna affatto di impegnarsi in un business solo apparentemente “povero”, ma in realtà ricco di prospettive di profitto, come la microfinanza, cioè il microcredito a famiglie e piccole imprese, con iniziative come il St. Honoré Microfinance Fund. Ciò significa che la pletora di ONG dedite al microcredito ai poveri ha alle spalle i gruppi bancari più potenti.
Molti commentatori hanno sottolineato che le ultime elezioni francesi hanno spazzato via il sistema politico tradizionale, sia di destra che di sinistra, quel sistema dedito alla redistribuzione sociale attraverso clientele e welfare. Ciò significa che si prospetta un modello di società in cui il microcredito va a svolgere sia la funzione di business che di strumento di controllo sociale. La caduta tendenziale del saggio di profitto c’entra solo sino ad un certo punto in questa finanziarizzazione dei rapporti sociali. La realtà è che il capitalismo, non appena cessata la minaccia del comunismo, ha potuto ritornare alla sua vocazione originaria del business della povertà; un business già teorizzato da un filosofo vissuto a cavallo del XVII e del XVIII secolo, Bernard de Mandeville.
Con crescente compiacimento i media stanno offrendo una rappresentazione catastrofica della situazione venezuelana. Le “analisi” sul fallimento del “socialismo bolivariano” risultano piuttosto omogenee. Secondo il giornale online “Il Primato Nazionale”, la colpa sarebbe della nazionalizzazione del petrolio, una nazionalizzazione che avrebbe potuto essere giusta in teoria, ma che si è rivelata un errore economico. Se a dirci che il problema è la nazionalizzazione arriva addirittura un giornale che si proclama nazionalista e che si chiama “Il Primato Nazionale”, allora verrebbe quasi da crederci. Vatti a fidare dei “nazionalisti”.
Sennonché le proteste di piazza contro il governo di Maduro mostrano un denominatore comune. Sono tutte infatti gestite da Organizzazioni Non Governative. Una rivolta tutta di marca ONG, che è stata lanciata anche a livello mondiale. Le ONG sono infatti delle multinazionali del “non profit”, cioè del non-tax.
Una delle più rilevanti di queste ONG multinazionali, “Un Mundo Sin Mordaza” (Un Mondo Senza Bavaglio) ha nel suo programma la difesa dei diritti umani e vanta come leader un certo Rodrigo Diamanti. Troviamo Rodrigo Diamanti tra i firmatari di un appello per i “diritti umani” in America Latina promosso dalla ONG statunitense “Freedom House”. Manco a dirlo, si tratta di una ONG che ha come proprio obiettivo la difesa dei diritti umani.
Chissà cosa sarebbero capaci di inventarsi i complottisti su questa benemerita “Freedom House”, perciò sarà il caso di andare proprio sul sito della stessa ONG per farci rivelare la verità vera. “Freedom House” ci fa sapere che il suo principale finanziatore è il Dipartimento di Stato USA, anche tramite una sua agenzia, l’USAID. Fu il presidente Kennedy a volere la nascita dell’USAID per promuovere lo sviluppo dei diritti umani nel mondo. Per Freedom House ci sono poi contributi minori di altri governi “insospettabili”, come quello svedese e quello olandese, nonché alcune fondazioni private.
Da vero patriota, Rodrigo Diamanti ha rilasciato un’intervista ad un’altra fondazione statunitense per i diritti umani, il cui nome è tutta una garanzia, il Bush Center. Sì, proprio la fondazione di quel George W. Bush. Nell’intervista, sul sito del Bush Center, Diamanti chiede l’inasprimento delle sanzioni contro il governo Maduro ed auspica un intervento statunitense in Venezuela, ovviamente per restaurare la democrazia.
Ma qualche anno fa il governo Chavez non aveva bloccato i finanziamenti esteri diretti alle ONG? A quanto pare il blocco non ha funzionato, perché sul sito dell’USAID veniamo a sapere che i finanziamenti alle ONG in Venezuela sono invece continuati.
Un’interpretazione, ovviamente arbitraria e faziosa, di tutti questi dati ufficiali suggerirebbe che le sedicenti “Organizzazioni Non Governative” siano in realtà molto governative e facciano riferimento ad un governo, quello USA, che ha scatenato una guerra a bassa intensità contro un altro Paese. Magari per preparare una guerra ad alta intensità o un colpo di Stato camuffato da “rivoluzione colorata”, o entrambi.
La nazionalizzazione del petrolio forse c’entra con i guai del Venezuela, ma non in senso strettamente economicistico. Si tratta in definitiva di una questione di diritti umani, anzi, del diritto umano fondamentale, quello che erompe dal petto di ogni neonato col suo primo vagito: il diritto di esportare capitali. La fuga dei capitali è una caratteristica storica ed endemica dell’America Latina: la borghesia “importadora” di merci è anche una borghesia “exportadora” di capitali. In un Venezuela pur afflitto dalla fuga dei capitali, questa fuga ha trovato un argine ed un’eccezione nei profitti per la vendita del petrolio, che rimangono in patria a causa della nazionalizzazione. In parte questi profitti alimentano la solita corruzione ed in parte hanno consentito un avvio di welfare per la popolazione più povera, perché, in definitiva, a questo si riduce il “socialismo bolivariano”.
Ma è abbastanza per scatenare una guerra per la libera circolazione dei capitali, come quelle guerre dell’oppio che nell‘800 la Gran Bretagna ed altre potenze occidentali dichiararono alla Cina in nome della libertà di commercio. Le ONG costituiscono appunto un’arma di questa guerra, che anche il più sprovveduto dei giornalisti occidentali potrebbe documentare semplicemente consultando i siti web dell’USAID e della Freedom House. E qualche giornalista talvolta lo ha persino fatto, visto che nel 2014 il quotidiano britannico “Daily Mail” ha dato notizia del continuo supporto finanziario dell’Amministrazione USA alle ONG anti-Maduro in Venezuela.
Tali notizie sarebbero comunque minimizzate e screditate con il pretesto che ciò non potrebbe spiegare il disastro economico del Venezuela. Ma quale governo “occidentale” potrebbe sopportare l’azione destabilizzante pluridecennale di queste ONG? Anzi, quale governo “occidentale” sarebbe disposto a sopportarla?
Deve invece sopportarla il governo del Venezuela, ricattato da un’ipocrita “comunità internazionale” interessata alla difesa dell’unico diritto umano fondamentale: la mobilità dei capitali.
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