Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Come era prevedibile, e come era stato in effetti previsto da alcuni ambientalisti, una volta passate le elezioni è cominciata nel Partito Democratico la “revisione” della posizione contraria al ritorno del nucleare in Italia. L’occasione per “rivedere” è consistita in una lettera che la stampa ha presentato come “firmata da un gruppo di “scienziati e tecnici”, anche se il gruppo è infoltito soprattutto da imprenditori e manager. Il primo dei firmatari è l’oncologo Umberto Veronesi, la cui nota sensibilità umanitaria si esprime soprattutto nell’ambito di quel fenomeno, tipicamente ed esclusivamente umano, che sono gli affari. Veronesi dovrebbe essere infatti il capo dell’agenzia per la sicurezza nucleare, quindi la sua posizione filo-nucleare non è apparsa del tutto immune da interesse personale. Fra i firmatari non poteva mancare il professor Pietro Ichino, addetto ufficiale alla criminalizzazione del lavoro nell’ambito della campagna per la privatizzazione del Pubblico Impiego; una presenza che basterebbe da sola a garantire che questa sortita filo-nucleare è dettata da un autentico umanesimo degli affari.
Fra gli ambientalisti ha suscitato irritazione il fatto che la lettera filo-nucleare che pretendeva di aprire un dibattito, si sia poi limitata alle solite accuse ed ai soliti luoghi comuni, e non abbia minimamente preso in considerazione i due argomenti principali della posizione contraria al ritorno al nucleare, e cioè l’insostenibilità degli altissimi costi delle centrali ed il problema irrisolto dello smaltimento delle scorie radioattive. Ma chi si aspetta che un “dibattito democratico” possa chiarire le rispettive posizioni, pecca evidentemente di ingenuità, poiché nel “dibattito democratico” non conta ciò che viene detto, ma solo ciò che viene nascosto.
In effetti gli argomenti che gli ambientalisti presentano contro l’ipotesi nucleare, costituiscono proprio le vere motivazioni dei filo-nuclearisti. Sono infatti i costi stratosferici del nucleare a renderlo un business assolutamente irrinunciabile, ed in questo ambito lo smaltimento delle scorie radioattive rappresenta la miniera di appalti più ricca e più esente da rischi giudiziari che esista, poiché è coperta in ogni sua fase dal segreto di Stato o dal segreto militare, o da entrambi. Quindi il nucleare assicura affari giganteschi, potendo in più mascherare ogni illegalità sotto la copertura legale del segreto.
Il governo ha affermato che non saranno stanziati fondi pubblici per la costruzione delle centrali, ma la menzogna è basata su un gioco di parole, dato che risultano a carico della spesa pubblica sia gli oneri per le infrastrutture di supporto, a cominciare dagli acquedotti, sia gli oneri per la sicurezza, che includono la custodia ed il trasporto del materiale radioattivo. E sono proprio queste le spese maggiori, non quelle per la edificazione delle centrali in quanto tali. A questo punto, poco importerebbe che le risorse finanziarie per completare il progetto nucleare possano venire a mancare e che le centrali possano rimanere incompiute, dato che intanto le ditte private avrebbero comunque incassato quanto loro dovuto, ed inoltre occorrerebbe comunque effettuare il "decommissioning" di quanto già costruito.
Un altro business, dai costi sconosciuti, consiste appunto nel cosiddetto "decommissioning", cioè lo smantellamento e la decontaminazione delle centrali non più operative. In Italia gli utenti continuano a pagare sulle bollette Enel una quota per le vecchie centrali che furono "chiuse" a suo tempo con il pretesto del referendum anti-nucleare del 1987, e che però oggi continuano a svolgere la funzione di siti "temporanei" per la custodia delle scorie radioattive. Quanto sia costato il "decommissioning" di quelle centrali, permane a tutt'oggi un segreto.
Inoltre, in base ai quesiti dei referendum del 1987, non si sarebbe più potuto costruire nuove centrali nucleari (ed invece l'attuale governo ha deciso diversamente), ma assolutamente nulla avrebbe obbligato a smantellare quelle già operative, e invece ciò fu fatto in tutta fretta dal governo di allora. Infatti c'erano già pronti i mega-appalti per il decommissioning delle vecchie centrali. Insomma, il fascino nel nucleare consiste nel fatto che continua a produrre mega-appalti prima, durante e dopo la sua esistenza, anche nel caso che non abbia mai prodotto davvero energia elettrica; ciò a dimostrazione dell'assunto che la miscela tra appalti e segreto militare/segreto di Stato risulta molto più esplosiva di qualsiasi isotopo dell'uranio.
In questi giorni è scoppiato in Sardegna uno scandalo giudiziario connesso a megaimpianti ad energia eolica, ma un analogo scandalo non potrebbe mai verificarsi relativamente ad impianti nucleari, in quanto il segreto militare o di Stato impedirebbe l’accesso delle Procure a qualsiasi fase o livello dell’affare nucleare. Anche chi non nutra illusioni legalitarie è costretto perciò a constatare che, con l’allargamento della sfera del segreto, viene a ridursi anche quella funzione di contrappeso che viene determinata dai conflitti interni alle istituzioni dello Stato.
All’ombra del segreto di Stato e del segreto militare, nulla può infatti impedire che l’Italia venga usata come luogo di smaltimento anche di scorie radioattive di provenienza estera. Per decenni la Francia ha venduto sottocosto all'Enel la sua energia elettrica di origine nucleare, ma, a causa del segreto di Stato, non si può essere certi che l'Enel non abbia in effetti ripagato la Francia prendendosi in deposito le scorie radioattive delle centrali nucleari francesi. Inoltre nulla ci assicura che le "nuove centrali", come già è avvenuto per quelle vecchie, non siano costruite allo scopo esclusivo di servire da deposito per scorie radioattive.
A conferma della volontà di trasparenza sia dell’attuale governo che di quello che l’ha preceduto, c’è da registrare che il Decreto dell’8 aprile 2008 (uno degli ultimi atti del governo Prodi) estende il segreto di Stato anche agli impianti di produzione di energia, ivi compresi gli inceneritori di rifiuti; mentre il governo Berlusconi, con la Legge123/2008, all’articolo 2 commi 4 e 5, ha imposto il segreto militare persino sulle discariche civili di rifiuti in Campania. La nostra sicurezza viene perciò affidata esclusivamente alla buona fede ed agli scrupoli morali di chi ci comanda, il che vuol dire che siamo ridotti proprio male.
Un anno fa l’aeroporto di Malpensa veniva declassato, cessando di svolgere la funzione di scalo per i voli internazionali, ciò che nel gergo dei trasporti aerei viene denominato un “hub”. La decisione era stata seguita da spiegazioni e polemiche, senza che però venisse fatta notare l’impossibilità di sopravvivenza non di un aeroporto civile qualsiasi, ma di un “hub”, che aveva due basi militari praticamente a ridosso, quelle di Solbiate Olona e di Cameri, e altre due basi a poca distanza, quelle di Vicenza e Aviano. In Sicilia anche un aeroporto civile di modesta portata, come Fontanarossa, è costretto a subire il costante disturbo degli innumerevoli voli militari in partenza o in scalo all’aeroporto militare di Sigonella, e questi disagi sono stati in passato oggetto di cronaca. Strano che, con questi noti precedenti, nessuno sui media ufficiali si sia posto il problema di quale avrebbe potuto essere il destino di Malpensa, il cui volume di traffico era incomparabilmente superiore a quello di Fontanarossa. Quando Fontanarossa fu sottratta al controllo aereo civile e sottoposta alla servitù del radar militare, la notizia non venne diffusa, e lo si è saputo solo anni dopo, e di straforo. Avverrà altrettanto con Malpensa?
Tutto ciò che è coperto dal segreto militare per la comunicazione ufficiale cessa semplicemente di esistere, perciò non esiste nemmeno un’opinione pubblica che possa prendere in considerazione la questione. L'opinione pubblica rappresenta un meccanismo sociale che non sempre si esprime in modo acritico e passivo, anzi in taluni casi ha contribuito a mettere in crisi le versioni ufficiali; ma l'opinione pubblica risulta in definitiva sempre dipendente dagli argomenti imposti dai media, e se i media tacciono, anche su qualcosa di evidente, allora l'opinione pubblica non si fa proprio viva.
L’11 maggio ultimo scorso il quotidiano napoletano “Il Mattino” riportava la notizia del possibile smantellamento della base militare della U.S. Navy nell’aeroporto civile di Capodichino. La notizia era collegata alle riduzioni di spesa militare prospettate dall’amministrazione Obama, ma è stata prontamente smentita dal Pentagono. Quindi la base militare USA a Capodichino - che conta tremilacinquecento addetti tra personale militare e civile - resterà al suo posto. Risulta strano notare che ai cittadini napoletani sia pervenuta la notizia del possibile smantellamento della base militare, ma non fosse mai arrivata diciassette anni fa la notizia del suo insediamento. In effetti la data precisa dell’installazione di quella base era rimasta sino ad oggi un mistero, cioè un segreto militare.
“Il Mattino” ci ha fatto però sapere che il personale addetto alla base USA di Capodichino risiede in un "sito di supporto" collocato nel comune di Grigignano d’Aversa, in provincia di Caserta, e che la presenza di quel "sito di supporto" impedisce ogni attività economica ai cittadini della zona. “Il Mattino“ non si è però spinto sino al domandare se anche la presenza di quella base militare della U.S. Navy possa avere qualcosa a che fare con la costante ed inesorabile erosione del traffico civile nell’aeroporto di Capodichino. Una volta fatta questa prima domanda, ci si sarebbe anche potuto chiedere se la presenza di un’altra base U.S. Navy nel porto di Napoli - una base che occupa più della metà delle banchine - possa spiegare la costante riduzione del traffico civile di merci nello stesso porto di Napoli; e si sarebbe potuto domandare persino se il segreto militare che avvolge la maggioranza delle banchine del porto napoletano, possa a sua volta spiegare il massiccio ingresso illegale di armi, droga e immigrati clandestini nel territorio napoletano. L'opinione pubblica non potrà farsi spontaneamente di queste domande, dato che, dopo un giorno, l'argomento basi militari USA è già sparito dal quotidiano napoletano.
Quando il porto e l'aeroporto di una città sono controllati da una forza armata straniera, dal punto di vista tecnico-militare significa che quella città è militarmente occupata. Ma siamo in "Occidente", e quindi basta pronunciare la magica parola "alleato" perché l'occupazione militare straniera non ci sia più. In una “democrazia occidentale” tutte le domande che possano riguardare gli eventuali abusi che avvengono all’ombra del segreto militare non hanno alcun diritto di cittadinanza, poiché è lecito esercitare la cultura del sospetto soltanto nei confronti di coloro che lo stesso Occidente considera suoi nemici.
C’è un’ironica coincidenza nel fatto che un siluro verso il governo Berlusconi sia partito dalla casa che il ministro Claudio Scajola ha di fronte al Colosseo, dato che quel monumento costituisce uno dei principali bersagli delle privatizzazioni dei beni culturali che questo governo sta portando avanti. Il ministro alla privatizzazione dei Beni Culturali, Sandro Bondi - anche lui oggetto di un’inchiesta giudiziaria -, aveva appena impostato un piano di privatizzazione per gli scavi di Pompei, con un espediente già collaudato per la rapina dei patrimoni immobiliari delle Università e del Demanio dello Stato, cioè le fondazioni miste pubblico/privato, in cui il pubblico fornisce il bene pubblico in oggetto, ed il privato invece ci mette la manina che se lo frega.
Anche la crisi finanziaria della Grecia pare aver trovato il suo sbocco salvifico nella prospettiva della privatizzazione dei beni del Demanio dello Stato. Quindi, dopo gli scavi di Pompei ed il Colosseo, anche il Partenone è in lista per le prossime privatizzazioni.
La propaganda ufficiale negli ultimi giorni era stata costretta ad aggiustare il tiro di fronte ad una parte dell’opinione pubblica, poco disposta ad accettare l’idea della necessità di versare “lacrime e sangue” per preservare un’istituzione impopolare come l’euro; anche perché in molti cominciano a domandarsi perché, se l’euro è davvero questo paradiso così irrinunciabile, allora come mai la Gran Bretagna si sia invece ben guardata dall’adottarlo come moneta, sebbene la Banca d’Inghilterra possieda il 14% della Banca Centrale Europea.
Tra l'altro è ormai evidente a tutti che l'euro poteva avere uno scopo espansivo solo per costituire una moneta di pagamento internazionale che fosse alternativa al dollaro. Quell'obiettivo è però caduto con l'invasione dell'Iraq del 2003, attuata dagli USA anche per punire il presidente iracheno, Saddam Hussein, per il suo proposito di farsi pagare il petrolio in euro e non più in dollari; perciò ora la "moneta unica europea" (che poi unica non è) viene individuata da gran parte della pubblica opinione soltanto come uno strumento di colonialismo interno all'Europa.
Alcuni commentatori ufficiali hanno perciò, almeno per un po’, messo da parte la fiaba moraleggiante dei Greci che avrebbero vissuto al di sopra dei propri mezzi e poi truccato i conti, finché i mitici “Mercati” non sarebbero arrivati a scoprire la magagna (quando si tratta di finanza, il dio Mercato si declina al plurale: i Mercati). Si è cominciato perciò a riconoscere che, in fondo, qualche responsabilità più grossa ce l’hanno gli Stati Uniti e le provocazioni delle loro agenzie di rating. La terapia imposta per la crisi finanziaria greca però non cambia di una virgola: anche se la colpa è dei finanzieri avidi e degli speculatori irresponsabili, il miglior modo per gli Stati di mettersi al riparo dalle speculazioni, sarebbe comunque quello di tenere i conti pubblici in pari e di trovare le risorse “vendendo” i patrimoni del Demanio dello Stato. È sempre la solita dottrina, di pura marca Fondo Monetario Internazionale, del cosiddetto “Stato leggero”, o, per meglio dire, alleggerito delle sue ricchezze immobiliari.
Questo tipo di propaganda è ancora in grado di far breccia in un’opinione pubblica addestrata a illudersi che i privati agiscano con soldi propri e possano quindi acquistare regolarmente i beni a cui lo Stato rinuncia. In realtà per tutti i patrimoni immobiliari che lo Stato ha ceduto ai privati, questi non hanno mai versato un soldo, dato che il trucco è sempre consistito nel costituire società miste pubblico/privato, tramite le quali alcune multinazionali si trovano miracolosamente in dono dei beni immobili di valore inestimabile. La multinazionale edilizia Impregilo ha "acquisito" (o, meglio, rubato) gran parte dei patrimoni immobiliari delle province di Reggio Calabria e di Messina proprio in questo modo, cioè senza pagare nulla, ma soltanto entrando a far parte della Società per il Ponte sullo Stretto di Messina. I trucchi per realizzare il furto sono sconcertanti nella loro semplicità, dato che basta costituire con vari pretesti altre SPA per passare loro la proprietà dei beni che si vogliono sottrarre. Si tratta di quel noto espediente che, nel gergo finanziario, viene chiamato “scatole cinesi”.
Le privatizzazioni sono furti, non vendite, ed in questa materia il Ministro che oggi sovrintende alle privatizzazioni, Giulio Tremonti, non detiene nemmeno il copyright, dato che c’è il precedente di Romano Prodi che, da presidente dell’IRI, regalò l’Alfa Romeo alla FIAT senza pretendere in cambio neanche un “grazie”. Quando si attua una privatizzazione come quella dell’Alfa Romeo, la disinformazione ufficiale si adopera a far credere che si tratti del passaggio di mano di un marchio e di qualche stabilimento, omettendo di specificare che ognuna di queste aziende di Stato possedeva un suo considerevole patrimonio immobiliare, che costituisce spesso il principale oggetto della predazione. La fumosa astrazione del “Mercato” consente infatti ad economisti e giornalisti di non parlare mai della ricchezza reale e di come viene sottratta al patrimonio pubblico.
Diventata una multinazionale a tutti gli effetti, la FIAT può compiere ora queste rapine immobiliari non solo in Italia, ma su scala internazionale; perciò l’invasione della FIAT in Polonia ha avuto solo in parte finalità produttive, dato che la principale attività FIAT si esercita nel campo immobiliare, cioè nell’acquisizione/furto di beni demaniali dello Stato. Il colonialismo della FIAT, come ogni altro colonialismo, ha trovato una delle sue più efficaci armi di penetrazione nel corrompere i gruppi dirigenti locali, che si costituiscono, a tutti gli effetti, come cleptocrazie del proprio patrimonio nazionale. Una volta che si sia asservita a delle multinazionali, una cleptocrazia può sbaragliare le opposizioni interne avvalendosi appieno del sostegno della macchina propagandistica e militare del sedicente “Occidente” ("Occidente", "Comunità Internazionale", ecc., sono tutti pseudonimi delle multinazionali).
La colonizzazione consiste nella rapina sistematica delle risorse di un Paese, a cominciare dal suo territorio, ma, nell’immagine propagandistica, tale rapina è spacciata per “aiuto allo sviluppo”. Quando la colonizzazione ha prodotto i suoi inevitabili disastri ambientali e sociali, si può sempre attribuirne la causa all’eccesso di aiuti che avrebbero deresponsabilizzato la popolazione locale, che si sarebbe ormai assuefatta all’assistenzialismo. La “economista” africana Dambisa Moyo è diventata una star sui media internazionali per aver riproposto la fiaba secondo cui il sottosviluppo dell’Africa sarebbe appunto dovuto all’eccesso di bontà dell’Occidente verso i poveri del mondo. Il Fondo Monetario Internazionale e la sua consorella Banca Mondiale avrebbero elargito troppi "aiuti" agli Africani, che se ne sarebbero approfittati per impigrirsi.
La propaganda del FMI e delle multinazionali usa spesso queste finte icone femminili per veicolare il messaggio viriloide secondo cui un po' più di crudeltà sarebbe quello che ci vuole per educare i popoli inferiori; in tal modo l'opinione pubblica progressista viene spiazzata e messa in imbarazzo. Anche nel 2003, poco prima dell'aggressione all'Iraq, la TV britannica lanciò il personaggio di una presunta studentessa irachena che supplicava gli USA di bombardare l'Iraq per portarvi la democrazia. La propaganda colonialistica ha fatto anche in passato questo uso mistificato dell'immagine femminile, e basti ricordare il precedente fascista della canzone "Faccetta Nera" prima dell'aggressione all'Etiopia nel 1935.
Ovviamente la propaganda colonialistica diffusa attraverso l'immagine di Dambisa Moyo omette il piccolo dettaglio che i prestiti del FMI e della Banca Mondiale sono stati concessi alla condizione che i beni dei Paesi africani venissero privatizzati a favore delle multinazionali, perciò oggi il territorio africano non appartiene ad Africani, ma a società straniere. Quindi una ricchezza di carta è stata concessa ai Paesi africani in cambio della ricchezza reale della terra; ma poi i governi africani sono stati costretti persino a girare il denaro dei prestiti alle multinazionali in forma di "incentivi agli investimenti".
Il FMI e la Banca Mondiale sono per davvero degli enti assistenziali, ma non a favore dei Paesi sottosviluppati, bensì ad esclusivo vantaggio delle multinazionali; quindi si tratta di un assistenzialismo per ricchi. Se si considera che FMI e Banca Mondiale, sebbene di proprietà di privati, operano con fondi pubblici, cioè col denaro dei contribuenti, si può constatare che il sistema affaristico mondiale si basa sull'elemosina dei poveri nei confronti dei ricchi.
Quando un governo locale osa porre dei vincoli ai diritti di proprietà delle multinazionali o, semplicemente, non accetta la tutela del FMI, la propaganda del sedicente Occidente si incarica immediatamente di bollare quel governo come “dittatura sanguinaria”, così come è capitato al presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, ed al presidente del Venezuela, Hugo Chavez, che pure risultano eletti secondo gli standard delle cosiddette "democrazie occidentali". Vi sono tante cosiddette Organizzazioni Non Governative "per la difesa dei diritti umani" (ovviamente i diritti umani delle multinazionali), che svolgono lo specifico compito di diffondere questi slogan in modo da conferire alla propaganda del FMI un alone di obiettività. Alla propaganda si accompagnano le sanzioni, diplomatiche e soprattutto economiche, ma si può arrivare anche a minacce militari o ad invasioni.
Un’altra star del sado-colonialismo "hard" fabbricata dai media occidentali è la “dissidente” cubana Yoani Sanchez, la quale ha rilasciato un'intervista in cui si è dichiarata contraria alle sanzioni economiche che gli USA impongono a Cuba, ma non perché queste colpiscano la popolazione, bensì, ovviamente, solo perché favorirebbero il regime castrista consentendogli di atteggiarsi a vittima e di mascherare la sua inefficienza produttiva. Yoani Sanchez ha peraltro ritenuto di giustificare le sanzioni come reazione alle “confische” delle proprietà statunitensi da parte del regime castrista. Anche Yoani Sanchez omette un piccolo dettaglio, e cioè che quelle “confische” riguardavano spiagge, laghi, foreste, montagne, monumenti, cioè il territorio cubano tout court, che era diventato di proprietà di compagnie commerciali “occidentali”.
Ora che la “tormentata” decisione di “salvare” la Grecia è stata finalmente presa, il Paese oggetto di "aiuto" dovrà inginocchiarsi e ringraziare per l’onore di ricevere carta in cambio di patrimoni immobiliari e di beni culturali. Il governo greco, volente o nolente, ha dovuto obbedire, poiché è stato posto nella solita alternativa di accettare una mazzetta per l’affare delle privatizzazioni, oppure di essere additato alla “comunità internazionale” come una “dittatura sanguinaria”.
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