Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
La notizia che Alitalia avrebbe declassato l’aeroporto di Malpensa, assegnando il ruolo di”hub”a Fiumicino, ha suscitato le fumose e mistificanti polemiche di rito, prima tra tutte quella sul ruolo di “Roma Ladrona” che sottrae al Nord il suo aeroporto-gioiello. Il governatore della Regione Lombardia, Formigoni, è invece troppo snob per gettarsi in queste polemiche di campanile, e perciò ha spostato la discussione sulla solita retorica economicistica, all’apparenza molto “concreta”, domandandosi se non sia anacronistico proseguire con un monopolio Alitalia che non risponde più agli interessi di tutti.
Davvero concreto sarebbe stato invece consultare una mappa della provincia di Varese per domandarsi come possano convivere, nel medesimo spazio aereo, la base NATO di Solbiate Olona, la base aeronautica militare di Cameri - ufficialmente italiana - ed un aeroporto internazionale come Malpensa, in cui la maggior parte dei voli in partenza dagli altri aeroporti siano costretti a fare scalo, un “hub” appunto.
Quando si è trattato di giustificare alle popolazioni lombarde l’espansione delle due basi militari, le autorità hanno, come sempre, proclamato che si trattava di una “occasione di sviluppo” per la zona, senza specificare che ciò avrebbe comportato l’impossibilità della coesistenza nello stesso territorio di un aeroporto come Malpensa; anche se questo dettaglio tecnico avrebbe potuto spiegarglielo facilmente qualsiasi pilota o controllore di volo.
Ciò che è avvenuto in questi ultimi due anni intorno ad Alitalia e Malpensa denota da parte della NATO non soltanto un controllo del territorio, ma soprattutto un controllo assoluto dell’informazione, in modo che persino la più sfacciata delle evidenze non giunga all’attenzione dell’opinione pubblica. Nessun politico e nessun giornalista pronunciano mai una battuta sbagliata o fuori copione; perciò è possibile ad un amministratore locale rilasciare nella stessa giornata due interviste - una sulla ghiotta “occasione di sviluppo” fornita dalle basi militari di Cameri e Solbiate Olona, e l’altra sul torto fatto a Malpensa -, senza che l’intervistato e l’intervistatore colleghino minimamente i due fatti. Il tutto si riduce ad una polemica mediatica tra lombardi scontenti e romani gongolanti.
Anche quando la occupazione militare non possa essere nascosta, nella mente dell’opinione pubblica, le basi militari e la militarizzazione del territorio vengono ridotte a concetti del tutto astratti ed evanescenti, dei quali non si vedono le conseguenze dirette sulla propria vita. Tutto viene perciò riconvertito ad una questione di mero principio, in cui un’opinione vale l’altra.
Ad esempio, i cittadini di Vicenza formano un comitato per opporsi all’ampliamento della base NATO? E che sarà mai?
Basta creare ad hoc un contro-comitato di “cittadini” favorevoli alla base NATO, ed ecco che tutto viene ridotto ad una disputa da talk-show tra favorevoli e contrari.
Durante la vertenza FIAT del 1980 - tornata alla memoria di molti in questi giorni -, mentre decine di migliaia di lavoratori si opponevano ai licenziamenti ed alla cassa integrazione, i telegiornali della RAI riuscivano sistematicamente a intervistare soltanto dei lavoratori che davano ragione ad Agnelli. Allora il telespettatore poteva commentare: visto che gli operai non sono d’accordo nemmeno fra loro?
In una situazione opinabile e opinata, il dato di fatto - o, per meglio dire - l’imposizione di forza, non è più un sopruso, ma diventa una scelta legittima. Se si passa per il “dibattito”, tutto diventa lecito.
Attraverso questo semplice espediente mediatico - il “dibattito”- la colonizzazione e la militarizzazione di un territorio, la sua subordinazione ad inconfessabili interessi affaristico-criminali - possono avvenire rispettando in tutto e per tutto la “democrazia”. In realtà, questa “democrazia” prevede sì il “dibattito”, ma non prevede che si consulti una cartina geografica, cioè che s’informi la popolazione sulle vere questioni in campo.
La NATO è in Italia da sessanta anni, ed ha sempre costituito una centrale di spionaggio industriale ed una cordata per gli affari illegali delle multinazionali statunitensi. Già negli anni ’70, erano le basi NATO le vere centrali del traffico di sigarette della Philip Morris a Napoli, sebbene i film con Mario Merola sui motoscafi blu dei contrabbandieri di Santa Lucia ci narrassero un’altra storia.
Eppure dal 1992, con la fine del contrappeso dell’Unione Sovietica, qualcosa è cambiato, poiché la colonizzazione militare della NATO ha cominciato a riplasmare l’intero territorio italiano, da nord a sud, esclusivamente in base alle proprie esigenze affaristiche.
Malpensa è una delle vittime di questa evidente, ma silenziosa, ristrutturazione del territorio ex-italiano da parte della NATO; perciò ora si comprende perché un Berlusconi debba essere stronzo esattamente com’è, per poter distrarre l’attenzione da ciò che avviene davvero.
Una notizia che è stata poco evidenziata dai media in questi ultimi giorni, riguarda la rottura tra gli Stati Uniti ed il governo Karzai, che pure gli stessi USA avevano imposto come un proprio fantoccio. L’occasione della rottura è stata l’ennesima strage di civili afgani perpetrata dall’aviazione USA, con il consueto alibi degli “scudi umani”. Karzai ha consentito agli studenti afgani di manifestare contro la strategia della NATO, ed ha sostanziato ulteriormente la sua posizione attraverso una propria nota di protesta, di durezza inusitata.
Le lamentele di Karzai per le vittime civili non costituiscono in sé una novità, ma il tono è ora decisamente cambiato, a dimostrazione che gli USA non controllano più completamente il loro fantoccio, che è stato costretto a fare i conti con una pressione popolare crescente contro l’occupazione NATO.
La resistenza afgana - etichettata in modo sommario dai media come “Talebani”- ha indubbiamente messo in crisi l’occupazione e forse Karzai pensa già a come salvarsi la pelle quando la sconfitta della NATO sarà del tutto maturata. C’è però anche da rilevare che l’opposizione all’occupazione riguarda adesso anche le etnie afgane che sinora avevano accettato l’alleanza con gli USA, ed il fatto non può non essere posto in collegamento con la radicalizzazione della strategia anti-civili messa in atto dalla NATO.
In questa radicalizzazione va fatto probabilmente rientrare anche l’episodio della ragazzina afgana assassinata pochi giorni fa dai militari italiani. Non è stato neppure necessario per i comandi italiani di ordinare esplicitamente ai propri militari di sparare sui civili, ma è bastato imporre delle regole di ingaggio tali da ottenere lo stesso risultato, cioè sparare a vista su tutto ciò che si muove. È significativo che anche nella vicenda ragazzina assassinata, le autorità afgane non abbiano offerto nessuna copertura agli occupanti, ed abbiano presentato i fatti per quello che erano, facendo crollare la retorica umanitaria con cui il ministro Frattini tenta inutilmente di mistificare la presenza militare italiana nell’avventura coloniale in Afghanistan.
È evidente che la NATO sta da tempo cercando di “ripulire” vaste zone dell’Afghanistan non soltanto dalla resistenza, ma anche dai semplici civili inermi. L’evoluzione della strategia militare corrisponde ad una evoluzione della strategia affaristica della NATO.
Il primo obiettivo della NATO è chiaramente quello di giungere al monopolio assoluto della produzione e del traffico dell’oppio, che costituisce l’affare di base con cui pagare anche la rete di oleodotti che deve attraversare l’Afghanistan. La colonizzazione dell’Afghanistan è giunta dunque alla sua fase cruciale, cioè la “bonifica” del territorio dalla popolazione autoctona, spingendo i civili alla fuga, e quando non si lasciano convincere, arrivando allo sterminio diretto.
I gruppi etnici afgani finora alleati della NATO si sono perciò resi conto di essere divenuti anch’essi un bersaglio. Tutto ciò non ha ancora determinato una alleanza alternativa, cioè una riconciliazione con i cosiddetti “Talebani” in vista di una lotta comune contro l’occupante. Karzai e gli altri capi-tribù stanno cercando ancora di contrattare con l’occupante, sperando forse di trovare interlocutori all’interno dello schieramento NATO che gli consentano di mettere in difficoltà la strategia di sterminio imposta dagli Stati Uniti.
Se la speranza di Karzai e dei suoi amici era questa, la risposta italiana è già arrivata ed è stata eloquente, e cioè il totale allineamento dei militari italiani alla strategia USA. I reparti italiani sono restii ad impegnarsi in combattimento aperto, poiché non si fidano della copertura aerea USA (e come potrebbero, dopo i bombardamenti subiti dai militari britannici in Iraq da parte del “fuoco amico” americano?). D’altra parte queste furberie non implicano una contestazione della strategia USA, che viene seguita dai militari italiani quando ciò non comporti rischi per la propria incolumità, come si è visto quando si è trattato di sparare all’impazzata su una famigliola che si recava ad un matrimonio.
In questi giorni in Afghanistan non sta sprofondando solo l’immagine dell’Italia, ma anche la sua residua dignità. Grazie, Frattini.
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