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"La condanna morale della violenza è sempre imposta in modo ambiguo, tale da suggerire che l'immoralità della violenza costituisca una garanzia della sua assoluta necessità pratica."

Comidad
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 15/05/2008 @ 10:36:42, in Commentario 2008, linkato 1401 volte)
La dichiarazione del nuovo presidente della Camera Gianfranco Fini, secondo il quale ammazzare inermi passanti è meno grave che bruciare bandiere israeliane, è stata interpretata da molti esponenti della sinistra come un diversivo, un modo per minimizzare l'assassinio avvenuto a Verona ad opera di presunti naziskin. In realtà la dichiarazione di Fini aveva uno scopo molto più evidente e preciso, cioè imporre una gerarchia di reati al cui vertice c'è il delitto di leso colonialismo; perciò sono state le reazioni della sinistra a risultare piuttosto deboli, ispirate ad un antifascismo astratto e ideologico, che non tiene conto dell'effettivo ruolo storico, di strumento del colonialismo, che il fascismo ha svolto. Gianfranco Fini è un erede della tradizione della Repubblica Sociale Italiana, perciò per comprenderne l'atteggiamento occorre vedere la RSI al di fuori del mito propagandistico che ancora si tende ad accettare supinamente su di essa. Secondo questo mito - che di recente anche Giampaolo Pansa si è incaricato di avallare e alimentare -, la Repubblica di Salò avrebbe costituito una disperata testimonianza di coerenza e di fedeltà all'alleato tedesco, quindi una scelta puramente etica ed estetica, la cui ferocia sarebbe derivata proprio da questa disperazione.

Questa falsificazione non tiene conto di un dato noto a tutti gli storici della seconda guerra mondiale, e cioè che per tutto il 1944 fu realistica l'ipotesi del cosiddetto "cambio di fronte",ovvero la possibilità che gli Anglo-Americani rivolgessero le armi contro l'ex-alleato sovietico, arruolando a questo scopo la Germania e l'Italia in funzione subordinata.

La Repubblica Sociale Italiana non nacque quindi in nome della coerenza e dell'onore da difendere, ma su un progetto di Stato anticomunista, strumento della colonizzazione anglo-americana dell'Italia. Nonostante il fervore di contatti diplomatici, questo progetto non andò in porto, probabilmente a causa dell'avanzata più rapida del previsto da parte dell'Armata Rossa, ma ciò non impedì che, a guerra finita, il personale nazifascista fosse in gran parte arruolato dagli Stati Uniti per combattere la Guerra Fredda. I "nuovi" servizi segreti tedeschi e italiani furono costituiti in parte preponderante da "ex" fascisti e nazisti. Il cambio di fronte quindi avvenne, però dopo la fine delle aperte ostilità; perciò non senza che fascisti e nazisti pagassero un prezzo molto più alto di quanto non avessero sperato.

Uno dei fatti che Pansa mette in ombra, è proprio che dopo il 25 aprile del 1945 nessuno poteva essere ancora sicuro che la guerra civile fosse davvero finita e nessuno sapeva neppure quale sarebbe stato l'atteggiamento degli Anglo-Americani. Sta di fatto che la lista di criminali fascisti e nazisti passati al soldo degli Stati Uniti è inesauribile. Che la guerra civile sia continuata anche dopo il 25 aprile non è quindi un fatto sorprendente, e non può essere attribuito a mero desiderio di vendetta e di potere dei partigiani rossi.
Il Movimento Sociale Italiano fu un partito che si presentava come anti-sistema, ma che in realtà prosperava dentro il sistema, dato che occupava l'alta burocrazia ministeriale, la Polizia, l'Arma dei Carabinieri, i servizi segreti e l'Esercito. Il fascismo italiano passò quindi con estrema disinvoltura dal nazionalismo - un nazionalismo peraltro ambiguo e venato di autorazzismo -, ad una concreta collaborazione con la colonizzazione anglo-americana, giustificandosi con la necessità della difesa contro il pericolo comunista.
L'unica coerenza che si può quindi riconoscere ai fascisti, è di essere stati per sessantacinque anni i fedeli servitori del colonialismo anglo-americano, perciò il Gianfranco Fini paladino di Israele, non fa altro che richiamarsi a questa tradizione. Ad alcuni può sembrare strano che ad atteggiarsi oggi a campione del filo-sionismo sia proprio Fini, il delfino di quel Giorgio Almirante che fu un firmatario del Manifesto della Razza - insieme con Giorgio Bocca, Giovannino Guareschi, Amintore Fanfani -, che servì da supporto alle leggi razziali promulgate da Mussolini nel 1938. Non c'è nulla di strano se si considera invece che nel 1938 l'equazione che veniva imposta dalla propaganda anglo-americana era quella dell' Ebreo come comunista.

Oggi la propaganda ufficiale impone l'immagine dell'Ebreo come americo-sionista, e questa generalizzazione viene imposta con la stessa tecnica di guerra psicologica usata sessanta anni fa: l' "emblematico". Lo stesso fatto può essere ritenuto assolutamente rappresentativo o assolutamente trascurabile a seconda se passi o meno per il filtro propagandistico della emblematicità. Attualmente il sionismo è usato dal colonialismo statunitense per scaricare sulla "lobby ebraica" la responsabilità dell'aggressione nei confronti del mondo arabo. Ma il sionismo è sempre stato un'efficace arma di guerra psicologica, persino quando era numericamente e politicamente irrilevante.

Nel 1917, in piena prima guerra mondiale, il ministro degli esteri britannico Arthur Balfour, con una pubblica lettera a Lord Walter Rothschild, riconobbe il diritto degli Ebrei ad una patria in Palestina, a compenso di un presunto contributo degli stessi Ebrei nella guerra contro la Germania e l'Austria-Ungheria. La dichiarazione Balfour fu un atto di guerra psicologica davvero micidiale: le centinaia di migliaia di Ebrei che combattevano - e spesso morivano o rimanevano feriti - nelle file tedesche ed austro-ungariche diventarono un dettaglio trascurabile, mentre divenne "emblematico" delle vere intenzioni ebraiche qualche centinaio di sionisti che collaboravano con il colonialismo britannico.

Nelle false ricostruzioni storiche orchestrate dalla propaganda ufficiale, ancora si finge di interrogarsi sulle motivazioni dell'antisemitismo di Hitler, e si arriva a tirare fuori le sue presunte origini ebraiche o il trauma per lo scolo che gli avrebbe attaccato una prostituta ebrea, dimenticandosi della Dichiarazione Balfour, che per il morale dell'esercito tedesco fu una terribile mazzata. Si può certo sorridere sulla credulità e passività di Hitler nei confronti della propaganda anglo-americana, ma in quanti oggi possono dire di non essere altrettanto creduli e passivi?

L'attuale sinistra, o presunta tale, è anche il prodotto di un secolo di guerra psicologica che la porta a sopravvalutare determinati eventi e moventi di carattere ideologico e a perdere invece di vista i fatti più concreti. Per decenni il sionismo ha potuto accreditarsi come "di sinistra" a causa di un'esperienza limitatissima come il socialismo volontario dei kibbutz israeliani; nel frattempo si sono chiusi gli occhi di fronte al ruolo molto più rilevante che ha svolto per la crescita del sionismo il reclutamento di criminali comuni, di un'origine ebraica tutta da verificare.

Il movente ideologico è spesso la copertura di movimenti che sono stati costruiti artificialmente dal colonialismo attraverso il ricorso alla criminalità comune, e ciò è particolarmente evidente per un fenomeno come i naziskin, che deve il suo successo non al fatto di sfruttare la "paura del diverso", ma allo spaccio di stupefacenti e alla protezione poliziesca.

15 maggio 2008
 
Di comidad (del 08/05/2008 @ 11:09:57, in Commentario 2008, linkato 1283 volte)
L'ideologia elettoralistica possiede un tale potenziale mistificatorio che finisce per coinvolgere anche parte di coloro che, pur sinceramente, si ritengono degli astensionisti. A distanza di settimane dall'ultima scadenza elettorale, continua infatti a mietere vittime la cortina fumogena sparsa dai media con il doppio scopo, da un lato, di dissimulare la rigida prevedibilità del meccanismo elettorale, e, dall'altro lato, di far credere che le elezioni costituiscano un indicatore attendibile circa i mutamenti sociali ed epocali in corso.

Negli ultimi trenta anni i media ci hanno proposto innumerevoli, e presunte, "svolte epocali": il Riflusso, il post-industriale, la scomparsa della classe operaia, la società complessa, la fine del comunismo, il tramonto delle ideologie, la fine della lotta di classe, la fine della Storia, il risveglio etnico, la globalizzazione, ecc.; persino l'11 settembre 2001 ci è stato imposto come una data epocale, del tipo 476, l'inizio del medioevo, o 1492, l'inizio dell'era moderna.

Ora ci si vuole convincere che anche il crollo della sinistra "radicale" nelle ultime elezioni debba esser fatto rientrare nel consueto schema mediatico del "dacci oggi la nostra svolta epocale quotidiana".

In realtà, se si sta semplicemente alle percentuali elettorali, si può subito notare che non c'è stato nessun esodo biblico di voti da uno schieramento all'altro. I voti operai passati alla Lega esistono solo nelle ipotesi giornalistiche. Del resto una quota consistente di voto operaio di centro-destra è sempre esistita, specialmente nelle aree in cui prevalgono le piccole imprese che, spesso, controllano anche il voto dei loro dipendenti. Purtroppo sono sempre esistiti anche casi in cui padronato, amministratori locali e sindacati hanno gestito in collaborazione aree di voto operaio.

Persino dei voti dell'elettorato della sinistra "radicale" che, secondo le voci giornalistiche, a Roma sarebbero andati al candidato di destra Alemanno, non c'è alcuna traccia precisa nei numeri del risultato elettorale, perciò a pesare sul dibattito politico attuale è un evento del tutto dovuto all'immaginario mediatico e, perciò, tanto più "epocale".

Compito dei soliti psicobrogli elettorali è proprio convincerci che i giudizi espressi dal voto costituiscano un segnale di movimenti profondi della società, ma, se si guarda oggettivamente il risultato, c'è semmai da stupirsi che Bertinotti sia riuscito a rimediare quasi il quattro per cento. La vera sorpresa delle elezioni è infatti scoprire ogni volta quanto siano rigidi i comportamenti elettorali.

Nonostante la vacuità del messaggio di Bertinotti e lo sfarzo esibizionistico delle sue lussuose giacche di tweed, l'elettorato di appartenenza in gran parte non lo ha tradito. Le vere domande semmai sono altre: quanti elettori sapevano dello sbarramento al quattro per cento? Perché l'informazione ufficiale non si è preoccupata di ricordare questa norma? Perché neppure Bertinotti ha avvertito del pericolo i suoi potenziali elettori, che sono poi trasmigrati in parte verso la Sinistra Critica e verso il PCLI?

Il fatto è che Bertinotti è andato al massacro ben consapevole di andarci e senza far nulla per evitarlo. Ha anche accettato senza reagire che il voto organizzato dalla CGIL e dalla Lega delle Cooperative si riversasse per intero su Veltroni, non tentando mai di utilizzare la presenza capillare di Rifondazione Comunista nelle amministrazioni locali per convincere i baroni del voto a continuare a dargli una mano come già avevano fatto in passato.

La domanda vera, alla fine, è: cosa è stato promesso al gruppo dirigente della "sinistra radicale" per indurlo a subire questa liquidazione politica? Qui assistiamo ad una vicenda molto poco epocale - e invece molto consueta - di corruzione e/o ricatto nei confronti dei gruppi dirigenti della sinistra. La guerra psicologica nel frattempo si sta incaricando di trasformare il suicidio elettorale di Bertinotti e soci, in una ennesima sconfitta storica dei lavoratori, in una ulteriore "prova" della loro scomparsa come soggetto sociale. Il problema è che i movimenti non nascono dal nulla, ma si alimentano dell'impegno di piccole minoranze organizzate. Lo "svoltepocalismo" costituisce un'arma psicologica per suggestionare e demoralizzare queste minoranze, per indurle a credere che i punti di riferimento vengono a mancargli, in modo da convincerle che arrendersi al corso della "Storia" costituirebbe da parte loro un atto di responsabilità e di lucidità.

Il cambiamento storico è un dato di fatto, ma gli scenari di mutamento proposti dai media non sono mai rappresentativi della reale evoluzione sociale nel suo complesso, ma solo di quel particolare sistema che è la guerra psicologica. Sarebbe quindi un errore considerare gli argomenti della guerra psicologica come se fossero l'espressione di un pensiero politico-strategico. Si tratta invece di qualcosa di analogo ad un messaggio pubblicitario, cioè ad una suggestione che fa direttamente appello al conformismo di ciascuno. Quanto più l'obiettivo è meschinamente affaristico - o addirittura criminale/affaristico -, tanto più il messaggio pubblicitario sarà iperbolico, distraendo l'attenzione con l'evocazione di passaggi epocali o di salvataggi dell'umanità.

La guerra psicologica ottiene cioè il suo risultato provocando uno stato confusionale. Uno dei classici della guerra psicologica è la dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti d'America, redatta da Thomas Jefferson, in cui si afferma, ad esempio, che sono "di per sé stesse evidenti le seguenti verità". Il lampo di genio del pubblicitario Jefferson sta proprio nella locuzione "di per se stesse", utile a creare quel tanto di confusione mentale da indurre la suggestione.

Se ci fosse stato scritto semplicemente "evidenti", si sarebbe potuto subito obiettare che non sono evidenti affatto, invece quel "di per se stesse" sposta l'attenzione dalle presunte verità a qualcos'altro. Si noterà che è la stessa tecnica della fiaba dei vestiti dell'Imperatore, in quanto ci si suggerisce che se quelle verità non le vedi è colpa tua, c'è qualcosa di sbagliato in te.

Il conformismo è un meccanismo sociale basato appunto sul farti sentire inadeguato ed indurti a rimediare attraverso comportamenti imitativi. La pubblicità usa la suggestione conformistica per costringerti a comprare un prodotto che dovrebbe, miticamente, sanare questa tua condizione di inferiorità. I messaggi pubblicitari penetrano in modo inconsapevole, per cui finiscono per subirli anche persone che razionalmente li rifiuterebbero.

Ad esempio, mentre Ratzinger, davanti all'assemblea dell'ONU, giustificava il colonialismo e il disprezzo del Diritto internazionale in nome della sacralità dei "Diritti umani", incautamente - e involontariamente - alcuni commentatori di sinistra riprendevano questa retorica salvifica per sostenere le ragioni dell'invasione cinese del Tibet.

Affermare che questa invasione avrebbe salvato il Tibet dal sistema tirannico/feudale del lamaismo, non è molto diverso dal parlare di esportazione della democrazia. La guerra umanitaria viene giustificata infatti con un razzismo umanitario, cioè con la necessità del colonialismo per salvare popoli inetti, incapaci di farlo da soli.

Anche un commentatore di solito molto serio e concreto come il filosofo Domenico Losurdo, è caduto nella trappola, lanciando astratti confronti tra il Tibet attuale e la condizione medievale in cui versava prima dell'invasione cinese del 1950, e si è chiesto se i Tibetani sarebbero disposti a tornare a quella condizione di servitù. In realtà il sistema lamaistico si fondava sull'isolamento geografico, che nel 1950 era già stato spezzato dai trasporti aerei, tanto che ormai il Tibet versava in una condizione di instabilità ai limiti della guerra civile. Inoltre questo Tibet immobile è un'immagine caricaturale, degna del film "Sette anni in Tibet".

Quando i comunisti cinesi hanno invaso il Tibet nell'ottobre del 1950 il sistema lamaistico era già in crisi, e Mao era soprattutto preoccupato che gli altopiani tibetani diventassero una base del Kuomintang e degli USA, come Taiwan. Nel 1950 la Cina era già impegnata nella guerra di Corea contro gli Stati Uniti ed era a rischio di bombardamento atomico.

Come mai nessuno se ne è ricordato? Ecco un caso in cui le presunte verità "di per se stesse" evidenti, non hanno fatto notare ciò che avrebbe dovuto essere effettivamente evidente, e cioè la contemporaneità dell'invasione del Tibet con la guerra di Corea. Anche a Taiwan, l'invasione degli Americani e dei nazionalisti cinesi ha provocato un genocidio materiale e culturale della popolazione preesistente, ed anche questo nessuno l'ha ricordato.

La situazione di guerra e di minaccia da parte degli USA e del Kuomintang in cui versava la Cina nel 1950, non giustifica la sua invasione del Tibet, ma almeno la contestualizza al di fuori degli schemi del razzismo umanitario, che sono più consoni a moventi affaristico/criminali. Ripetendo automaticamente le formule del razzismo umanitario, molti commentatori di sinistra si sono invece impediti di vedere che il Dalai Lama è il più contrario ad ogni ipotesi di boicottaggio delle Olimpiadi, e che tali minacce provengono da cosche affaristiche euro-americane, che si propongono così di ricattare il governo cinese, per estorcergli migliori condizioni per le sponsorizzazioni e per i contratti pubblicitari legati al business olimpico.

Allora, che senso ha insistere sulla tesi di un Tibet bisognoso di essere salvato dal suo oscurantismo, quando ciò finisce per legittimare altri "salvataggi" come quelli dell'Iraq e dell'Afghanistan?

8 maggio 2008
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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