Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La vera notizia di queste ultime elezioni non è il previsto trionfo di Salvini, quanto la sopravvivenza politica del PD, il quale vede finalmente esaurirsi l’effetto Renzi. Nelle elezioni europee di cinque anni fa, Renzi aveva condotto il PD al suo massimo storico, poi, nel giro di qualche anno lo ha condotto al minimo storico. Da quella vicenda Salvini dovrebbe trarre una lezione sia sul carattere volatile dei successi elettorali, sia sull’illusorietà del voler trasferire il risultato delle elezioni europee alle politiche, dove vota un 20% in più di elettori.
L’arena elettorale celebra i suoi trionfi e le sue condanne, ma il vincitore di turno si rivela regolarmente incapace di governare e la colpa, alla fine, è sempre dell’elettore, che non ha capito niente. Insomma, bisogna far votare il popolo e farlo sbagliare, così dopo si rassegna al fatto che deve affidarsi a chi ne sa più di lui.
Al di là dei sussulti elettorali, permane intanto il dominio del cosiddetto “senato virtuale”, cioè i mitici, quanto sedicenti, “Mercati”. È noto che dal 1975 le super-lobby della finanza, come la famigerata Commissione trilaterale, hanno avviato una polemica contro il cosiddetto “eccesso di democrazia”, un democrazia in crisi, bisognosa di “governabilità”.
Sulla base di queste esternazioni dei super-ricchi, è cominciata anche un’opposizione tesa alla rivendicazione della “sovranità popolare” contro il potere delle élite globaliste. Il filosofo Massimo Cacciari ha bacchettato questa posizione anti-elitaria, affermando che anche la democrazia non può esercitarsi se non attraverso il potere di élite. In realtà in questo caso sono state proprio le élite a dissociarsi ed a rivendicare una separazione dal popolo. La rivendicazione separatistica delle élite è stata celebrata nell’esibizione sempre più sfacciata di consessi dei potenti, come appunto la Trilateral e l’altrettanto famigerato gruppo Bilderberg o il meno noto Gruppo dei Trenta, fondato da Rockefeller nel 1978, ma venuto agli onori delle cronache solo di recente, a causa della presenza di Mario Draghi in quella conventicola.
Tutte le oligarchie tendono a isolarsi dalla massa e tutte le oligarchie tendono a idolatrarsi, però è anche vero che l’esibizionismo oligarchico degli ultimi decenni rappresenta un dato storico abbastanza inedito rispetto alla storia degli ultimi secoli. Bisogna solo capire se questo separatismo autocelebrativo corrisponda davvero ad una visione strategica oppure sia solo un riflesso di meccanismi insiti in ogni tipo di potere.
La polemica antidemocratica da parte delle lobby finanziarie appare in effetti abbastanza inconsistente e pretestuosa, dato che la democrazia ha finito per costituire il terreno ideale per lo sviluppo del lobbying. I parlamentari si fanno scrivere le leggi dai lobbisti e vedono negli stessi lobbisti coloro che potranno garantirgli una carriera anche fuori della politica. Negli anni ’70 le oligarchie venivano descritte come assediate dalle “aspettative crescenti” delle masse, ma poi si è visto che la democrazia è stata utilissima per educare le masse ad aspettative decrescenti.
La polemica antidemocratica delle oligarchie, sedicenti élite, appare dunque come un effetto scontato del vittimismo insito in tutti i potenti. È fisiologico che i ricchi si percepiscano come assediati dall’incomprensione e dall’avidità dei poveri, soprattutto quando ciò non corrisponde alla realtà. Si tratta quindi di un vittimismo preventivo. Si dice spesso che anche i ricchi sono esseri umani ma, in questo caso, la nozione di “esseri umani” va interpretata e declinata nel senso più deteriore: “Umano sei, non giusto”, per dirla con Giuseppe Parini.
Come ci ha spiegato l’economista John Kenneth Galbraith, si vede così il ricco fare il liberista con i poveri ed il socialista con se stesso, pretendendo tutte le agevolazioni e tutti i possibili sussidi dallo Stato. Vediamo i ricchi liquidare come ineluttabile necessità economica le sofferenze dei poveri e, al tempo stesso, indignarsi sino alla commozione solo per la larvata ipotesi che venga scalfito il proprio welfare per privilegiati.
Non è neppure detto che le sofferenze inflitte ai poveri in nome di una presunta necessità economica, rientrino sempre in una lucida visione degli interessi delle oligarchie. Spesso sono motivazioni grette e pregiudizi meschini, un mero odio per l’uguaglianza, ad ispirare le cosiddette “riforme strutturali” condotte dai lobbisti. La reazione impudente di questi ricchi e potenti, che cercano di accreditarsi come la vera guida del mondo, rientra quindi nello schema comportamentale della sinergia tra vittimismo e arroganza.
Il punto è che la politica e la democrazia, pur nella loro condizione ancillare e servile, rappresentano pur sempre uno svincolo decisivo per l’esercizio del potere. Il dato che vi sia oggi uno strapotere della finanza, non implica affatto che la finanza sia onnipotente, che sia cioè in grado di dominare senza alcuna mediazione.
Nel 2011, in nome della presunta emergenza-spread, fu bloccato il costituzionale sbocco elettorale della crisi politica e imposto un governo “tecnico”. Ma il tutto fu opera di un Presidente della Repubblica che aveva prima tenuto imbalsamato un governo per un anno, impedendo che gli si votasse per tempo la sfiducia, poi aveva offerto quello stesso governo in pasto ai “Mercati”. La “Costituzione più bella del mondo” non era servita ad impedire che il Presidente della Repubblica si comportasse come un dittatore. Nel frattempo non si è mai dimostrato che lo spread in quanto tale fosse in grado di produrre quegli sfracelli; tanto è vero che nel 2012, sotto un governo di presunti “super-tecnici”, si vide nuovamente a varie riprese lo spread schizzare a più di quota 500, senza che per questo i media gridassero alla fine del mondo.
Ancora una volta abbiamo visto in questi mesi il governo “sovranista” sotto la tutela di un Presidente della Repubblica, che ci ha fatto pure la predica sul rispetto che si deve ai “Mercati”. L’articolazione decisiva del dominio non sta nei sedicenti “Mercati” in quanto tali, ma nei loro lobbisti piazzati negli snodi istituzionali. Quelli sono il vero conforto per l’eterno lamento dei ricchi.
Secondo la religione cristiana ogni bambino nasce con la macchia del peccato originale. Questa dottrina è stata aggiornata, infatti oggi in Italia, secondo la comunicazione mainstream, ciascun bambino nascerebbe sotto il peso di 3,5 milioni di euro di debito.
Il peccato è stato sostituito dal debito, mentre la parte di Dio è svolta dai “Mercati” (gli “investitori istituzionali”), i quali possono comprarti il debito solo se ti poni sulla retta via della penitenza e dei sacrifici umani, concetti riattualizzati come “risanamento dei conti pubblici” e “riforme strutturali”. È il “sentiero stretto” di Pier Carlo Padoan, che, non a caso, riecheggia l’immagine della “porta stretta” del Vangelo di Matteo (l’evangelista, non quegli altri).
Come ogni religione, anche quella del debito ha i suoi blasfemi ed i suoi bestemmiatori che, però, non cessano per questo di rimanere devoti. È un po’ la sorte dell’attuale governo “sovranista” che mentre mugugna, strepita e impreca contro la schiavitù del debito, non esita a vantarsi del fatto che i “Mercati” continuano ad avere fiducia in lui, visto che le ultime aste di titoli pubblici sarebbero andate benino.
La divinizzazione dei rapporti di dominio non rappresenta un mero accessorio subliminale della suggestione propagandistica; anzi, per l’attuale potere delle multinazionali del credito rappresenta una tendenza inevitabile. Una spiegazione parziale potrebbe essere che l’affermazione crescente della finanza ha condotto ad una crescente “de-territorializzazione” delle oligarchie attualmente dominanti. Non si tratta neppure di oligarchie in senso tradizionale, ma di lobby che si aggregano attorno ad un business; lobby che “galleggiano” sull’economia dei vari Stati razziando privilegi e che hanno bisogno di un surplus di mistificazione per dissimulare la loro natura.
La conformazione sradicata, a ”bolle”, delle attuali oligarchie viene spesso sintetizzata con l’appellativo di “finanza apolide”, un potere finanziario cosmopolita in contrapposizione ad un potere nazionale e patriottico. Non si tratta di una visione nuova e neppure specifica della destra, dato che era riscontrabile nell’ambito del marxismo-leninismo dell’era staliniana.
Sarebbe interessante capire però se sia possibile che esista un potere che si caratterizzi davvero per il suo radicamento territoriale e popolare, Chi nei mitici anni ’60 e ’70 avesse detto che la DC e il PCI avrebbero potuto dissolversi al mutare degli equilibri internazionali, sarebbe stato preso per scemo. Alla DC ed al PCI si riservavano spesso critiche feroci e si contestavano colpe gravissime, ma nessuno avrebbe dubitato della profondità del loro radicamento territoriale e della solidità del loro apparato di potere. Poi invece l’inverosimile si è rivelato vero, come diceva Pirandello. La DC è stata spazzata via ed in gran parte assorbita nei residui del PCI, a sua volta riconvertiti come burattini del lobbying sovranazionale, perciò il “radicamento” se ne è andato a quel paese. A conti fatti persino i gruppi dirigenti della DC e del PCI si sono dimostrati delle semplici bolle oligarchiche de-territorializzate. Negli anni ’70 quelle stesse bolle oligarchiche si erano largamente giovate di una suggestione religiosa attraverso l’enfatizzazione dei “martiri” del terrorismo, un martirio che, secondo il mainstream dell’epoca, rinsaldava col sacrificio di sangue la fede nella democrazia.
Sradicamento e autodivinizzazione sono quindi riflessi condizionati di ogni oligarchia, non solo di quelle sovranazionali. Certi meccanismi sacrificali di autoriconferma del potere si mettono in moto automaticamente, come si è visto in questi giorni col caso di una professoressa palermitana, letteralmente “messa in mezzo” in base ad un episodio irrilevante in cui, peraltro, la stessa professoressa non aveva svolto alcun ruolo. L’anno scorso anche l’altro Matteo aveva preteso il sacrificio di una insegnante alla propria maestà, mentre ora Matteo Salvini, forse per il timore di coprirsi definitivamente di ridicolo, sembra voler fare marcia indietro. D’altra parte l’artificiosità dell’emergenza migranti necessita dell’alone di drammatizzazioni altrettanto artificiose.
Se non esistono poteri davvero “laici” e davvero radicati nel loro popolo, allora le differenze tra i vari poteri non vanno ricercate sul piano qualitativo, ma quantitativo. Tutti i poteri mentono, ma il grado di menzogna necessaria al potere aumenta proporzionalmente alla diminuzione del reddito distribuito. Tutti i poteri tendono a divinizzarsi, ma l’alone sacrale sarà tanto più spesso quanto più artificiosa è l’emergenza su cui un potere si fonda.
La religione del debito è l’ovvia conseguenza della surreale artificiosità della situazione su cui si fonda lo strapotere della finanza, cioè la “scarsità di denaro”, una scarsità fondata sui tabù. Che senso hanno infatti banche centrali che non possono garantire il debito del proprio Stato?
Analogamente non ha senso che un governo cerchi di piazzare i suoi titoli pubblici presso gli investitori ad interessi crescenti e non decida invece usare quei titoli come mezzo di pagamento interno per i fornitori della Pubblica Amministrazione, salvo accettarli anche come mezzo di pagamento delle tasse. Una gestione razionale del debito pubblico è quindi bloccata da dei tabù che, in quanto tali, possono reggersi solo imponendo pratiche sacrificali.
Ci si è raccontato che i Maya e gli Aztechi compivano sacrifici umani per nutrire col sangue un sole che minacciava di estinguersi. Forse questa narrazione va presa “cum grano salis”, poiché i Conquistadores, che ce l’hanno propinata per primi, avevano tutto l’interesse a spacciarsi per i libertadores delle loro vittime. Certo è che questo Dio Debito che va nutrito col sangue dei sacrifici per non farlo esplodere, ricorda molto quella narrazione.
|