Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Rimproverato da molti per aver troppo personalizzato la scadenza del prossimo referendum costituzionale di ottobre, Matteo Renzi si è difeso ritorcendo l’accusa sul fronte del no, che, secondo lui sarebbe a corto di argomenti e perciò cercherebbe di orientare lo scontro sulla sua persona. In realtà erano state proprio le dichiarazioni di Renzi nel gennaio scorso a legare il risultato referendario alla sua stessa sopravvivenza politica. Poter cacciare Renzi è diventato così per tanti un buon motivo per andare a votare, e votare no.
Occorre dare atto a Renzi che in tal modo egli è riuscito a restituire slancio ad una scadenza referendaria che altrimenti non avrebbe potuto vantare molto interesse. Il modello costituzionale che è stato soppiantato si è rivelato infatti sin troppo fragile, con il Massimo Garante della Costituzione (il presidente Napolitano) impegnato ad interpretare nei suoi ultimi cinque anni di mandato il personaggio del golpista a tempo pieno, con la colonna sonora del coro adorante degli opinionisti ufficiali. Qualcuno però ha notato il paradosso insito nel comportamento di un presidente che ha condizionato l’accettazione della sua rielezione al cambiamento della Carta Costituzionale su cui stava giurando.
Tolta la suggestione di potersi sbarazzare di un personaggio ripugnante come Renzi, la prospettiva di affidare le proprie sorti alla difesa della “Costituzione più bella del mondo”, dimostra sempre più la sua completa inconsistenza, dato che i veri problemi derivano da una vera e propria aggressione imperialistica che i ceti medi ed i ceti popolari italiani stanno subendo da parte della Troika, ovvero UE, BCE e FMI.
Le ultime elezioni amministrative hanno segnato un livello di astensioni molto minore del previsto, segno che tanti elettori riescono ancora ad appassionarsi alla scelta di sindaci che saranno nel peggiore dei casi dei bersagli, o nel migliore degli zimbelli dei loro stessi partiti. Anche nello spazio addomesticato del recinto elettorale non si è avvertito alcun anelito a sottrarsi agli schemi precostituiti. A Torino, cioè nella piazza dove teoricamente avrebbe dovuto vantare maggiori chance, il partito comunista di Marco Rizzo, quello che proponeva l’uscita dei Comuni dal patto di stabilità, non è riuscito ad arrivare neppure all’1%, e gli elettori “antagonisti” gli hanno preferito il rassicurante e scontato “partito degli onesti”, il Movimento 5 Stelle. Nonostante la Grecia, Stalin continua a fare molta più paura del Fondo Monetario Internazionale.
Una delle domande più prive di senso che si sentono rivolgere è perché la gente non si ribella, come se la ribellione ai soprusi fosse una reazione naturale. Si tratta di una di quelle fiabe sociologiche che fanno comodo al potere, che può spacciare l’assenza di ribellioni come consenso. In realtà la ribellione è un evento di per sé estremamente improbabile, che richiede per verificarsi molte condizioni che raramente si presentano assieme. Tanto per cominciare, occorrerebbe saper contro chi ribellarsi, ed invece la maggior parte delle persone non sa neppure dell’esistenza del FMI.
Un’altra di queste condizioni è che il potere si presenti un po’ diviso al suo interno, ed è quanto accade oggi in Francia, dove ai sindacati è lasciato ancora un margine di manovra. In Italia invece i dirigenti sindacali sono sotto il costante ricatto dell’accusa di connivenza col terrorismo e, per tenere costante la minaccia, l’ex segretario della CGIL, Sergio Cofferati, viene riconvocato praticamente ogni anno dalla procura di Bologna per essere interrogato sulla vicenda dell’assassinio di Marco Biagi. Tra l’altro la lotta armata si presenta impraticabile non per motivi morali, ma perché è talmente vulnerabile all’infiltrazione di agenti provocatori del potere da risultare un’opzione puramente astratta.
L’improbabilità della ribellione costituisce una delle maggiori obiezioni nei confronti del potere, il quale gode di una rendita di posizione inesauribile che lo rende intrinsecamente iniquo e irresponsabile, appunto perché non si presenta alcuno stabile contrappeso o controllo al di fuori di esso. L’unica preoccupazione dei privilegiati diventa così quella di procurarsi altri privilegi.
Soltanto il continuo lamento vittimistico del potere riesce a mascherare questa rendita di posizione, la quale rende il mestiere del potente il più facile del mondo, tanto da non richiedere alcuna particolare capacità, se non la mancanza di scrupoli. Il potere è squilibrio istituzionalizzato e produce squilibrati. Raccontare invece la fiaba della triste sorte dei potenti assediati da sudditi riottosi, esigenti e indisciplinati, può diventare un genere narrativo molto gratificante e remunerativo per chi lo pratica.
La strage di Orlando in Florida ha riconfermato questa posizione di rendita del potere, perciò la questione delle responsabilità di un sistema che pretenderebbe di legittimarsi in nome della sicurezza dei cittadini, è stata liquidata dando il via ad una propaganda in cui ogni decenza ed ogni plausibilità sono state cancellate di colpo. Una volta ucciso il presunto attentatore, abbiamo appreso che egli avrebbe giurato fedeltà all’ISIS per via telefonica al numero d’emergenza 911. Magari per farlo ha usato la nuova APP Telegiuro, presto disponibile anche da noi. Il padre dell’attentatore avrebbe giurato a sua volta che il figlio non era un islamico fanatico, ma che avrebbe visto due omosessuali baciarsi e che quindi sarebbe corso a dotarsi senza difficoltà di armi da guerra, nonostante che il Federal Bureau lo avesse già schedato come simpatizzante ISIS. Un’incongruenza notata persino da Hillary Clinton, che pure in logica non ha mai brillato. Ovviamente Donald Trump ha di nuovo dichiarato che, se verrà eletto, userà il pugno duro con i mussulmani. Il premier canadese Trudeau si leva un sassolino dalla scarpa affermando che l’ISIS non c’entra un fico e che la strage è un fatto interno USA. Obama stranamente gli fa eco. Il fatto è che la strage comunque ha assunto mediaticamente un look islamico, e quindi gli “analisti” prevedono che non favorirà la Clinton, che è ufficialmente per la limitazione le armi, bensì Trump che le vorrebbe in mano a tutti per difendersi dai terroristi sempre in agguato.
L’omofobia, secondo i media, sarebbe poi un problema solo islamico mentre quelli come Trump ne sarebbero immuni in quanto “occidentali”. I giornalisti vanno anche ad intervistare in Afghanistan il narco-trafficante Karzai, il quale a sua volta giura che l’Islam sarebbe tollerante. Peccato però che fonti ufficiali dell’ISIS (ufficializzate da chi?) rivendichino l’attentato, e quindi siamo punto e da capo.
Qualche autorevole organo di stampa intanto evoca il fantasma del “fuoco amico” nella strage. Ma niente paura: tra poco bisognerà anche consolare i poveri poliziotti del fatto che si sentano tristi per aver ammazzato “per sbaglio” gente che non c’entrava.
L’importante non è dare una versione univoca ma creare una confusione a senso unico. In fondo i tutori della sicurezza nazionale ce la mettono tutta, ma il mondo è troppo cattivo e complicato per i loro generosi sforzi. Qualunque cosa succeda, è sempre il potere a fare la parte della vittima. Ai paranoici complottisti si potrà sempre propinare il sermoncino pseudo-psicologico secondo cui con le loro ipotesi cospirative essi cercano a tutti i costi un ordine nel caos degli eventi. Come se il fatto che agenzie governative organizzano attentati fosse “ordine”.
Le celebrazioni che hanno seguito la morte di Marco Pannella hanno manifestato la stessa enfasi artificiosa e pretestuosa che aveva accompagnato gli ultimi trenta anni di carriera politica del personaggio, anni contrassegnati da una sostanziale irrilevanza. Il presunto partito delle "battaglie civili", il Partito Radicale di Pannella e Bonino, si era ridotto da tempo ad una piccola lobby delle biotecnologie. Mentre si avvantaggiava di una attenzione mediatica assolutamente sproporzionata, Pannella ha anche potuto continuare a recitare la parte della vittima, ma, appunto, solo perché i media stavano al gioco delle parti.
C’è stato però un momento storico in cui Pannella ha effettivamente occupato il centro della scena politica, ed è stato tra la metà degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, quando il Partito Radicale conduceva una instancabile campagna di provocazione “da sinistra” nei confronti del Partito Comunista. Il gruppo dirigente berlingueriano, ovviamente, si dimostrò incapace di reagire efficacemente a quella provocazione, anzi, recitò la parte del bersaglio fisso. L’arroganza dei dirigenti del PCI mascherava il loro dilettantismo politico, la loro rappresentazione puerile del mondo; una rappresentazione giocata attorno a luoghi comuni come legalità e illegalità, onestà e disonestà, al punto di avanzare la ridicola proposta politica del “governo degli onesti”.
A distanza di quaranta anni, il dibattito politico interno non si è schiodato da quelle false alternative. Le vicissitudini giudiziarie che hanno investito il governo Renzi hanno suscitato infatti reazioni che riproducono quegli stessi schemi, andando quindi a colpire aspetti marginali, come le compromissioni familiari delle ministre Boschi e Guidi, ed anche dello stesso Renzi.
In effetti è difficile pensare che Renzi abbia costruito la sua carriera politica su un modello corruttivo così passatista ed antidiluviano, lui che è così moderno. Il suo taglio politico ricorda infatti quello di un altro leader della “sinistra”, cioè il primo ministro laburista Tony Blair.
Il modello-Blair è quello di una falsa immagine di dinamismo giovanilistico, che usa però la politica come fase di mero passaggio e lancio verso ben altre fortune, ovvero carriere nelle multinazionali (magari, nel caso di Renzi, la Apple, tanto per tirare a indovinare) o in fondazioni ad esse legate. Non a caso Renzi disegna per se stesso una carriera politica a termine: dopo aver fatto tutti i favori possibili al sistema degli affari multinazionali, e dopo aver scardinato ogni equilibrio istituzionale, la prospettiva è di andare a raccogliere il premio accedendo ai veri guadagni. Ed il bello è che questo sistema di "porta girevole" tra pubblico e privato non ha nulla di illegale; magari è destabilizzante, eversivo, ma non è considerato illegale; a meno di non voler arrivare direttamente all’accusa di alto tradimento; un'accusa troppo stentorea per il nostro sistema giudiziario, abituato a perseguire la corruzione di piccolo cabotaggio. Non che manchino le rare eccezioni, come la procura di Trani che persegue le agenzie di rating, ma si tratta appunto di eccezioni isolate.
In Italia si sono già verificati altri esempi di "porta girevole", ad esempio Giuliano Amato, il quale, poco dopo la caduta dell’ultimo governo Prodi, in cui era ministro degli Interni, è andato a svolgere consulenze per Deutsche Bank. Oggi Amato è tornato nelle istituzioni in veste di giudice costituzionale e, alla fine del mandato, lo aspetta qualche altro ruolo prestigioso e super-pagato in potentati privati sovranazionali. La "porta girevole" è un modello corruttivo tagliato sulle esigenze dei super-ricchi, cioè delle multinazionali, che sono le sole a poterselo permettere e ad essere materialmente in grado di gestirlo, perciò tale corruzione sfugge al giudizio umano; anzi, non viene neppure percepita dall'opinione pubblica. Il denaro, se è tanto, ridisegna i confini della morale pubblica in base ai propri comodi. La ricchezza può non bastare ma esiste una soglia di ricchezza, superata la quale, si accede automaticamente ad un potere auto-assolutorio.
L’attuale “partito degli onesti”, il Movimento 5 Stelle, si attarda nella denuncia delle forme primitive, tradizionali e povere di corruzione, e non appare molto attrezzato nei confronti delle forme più moderne e facoltose. Le cose stanno anche peggio, se si considera che lo stesso M5S è nato su un conflitto di interessi legato alla figura di Gianroberto Casaleggio buonanima, il manager di un’azienda di servizi di consulenza di marketing digitale, ovvero la rete al servizio degli affari. Quando Casaleggio ha potuto presentare la formazione M5S come un proprio prodotto, ha contestualmente fatto pubblicità ai servizi della propria azienda, facendo credere che questa potesse inventare un mercato (in questo caso un mercato di suggestioni elettorali) praticamente dal nulla.
Realisticamente non si può pensare che il grillismo politico sia stato interamente un effetto delle mirabolanti arti digitali di Casaleggio; ci sono stati, e ci sono tuttora, sicuramente altri "aiuti", proprio perché il grillismo politico attuale tradisce e sovverte il messaggio del Grillo di dieci anni fa, quello che ci avvertiva che il vero potere andava stanato nel colonialismo delle multinazionali. Chi punta tutta l'attenzione sulla corruzione delle mazzette, come il Movimento 5 Stelle, finisce per rivolgere la polemica verso i "vizi nazionali" in nome del consueto autorazzismo.
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