Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Il modo in cui l'opinione pubblica europea viene "informata" dello scandalo che riguarda la più grande agenzia statunitense di "intelligence", la National Security Agency, presenta i consueti risvolti ambiguamente celebrativi che caratterizzano qualsiasi notizia proveniente dagli USA. Questo scandalo pare infatti risolversi anch'esso nell'ennesimo "trionfo della democrazia americana". I media ci dipingono un Obama sotto attacco da parte di un'opinione pubblica americana che si dimostra gelosa delle proprie libertà, mentre il dibattito si sposta sui massimi sistemi, sullo scontro di due diverse idealità: da una parte la tutela della sicurezza dei cittadini, dall'altra la garanzia della loro privacy.
La presa in giro si completa sugli organi di stampa della finta opposizione, come
"Il Fatto Quotidiano", dove vi sono anche commentatori che giungono ad affermare che in Italia la situazione della violazione della privacy sarebbe persino peggiore che negli USA; cioè il tutto viene risolto in un astratto confronto, basato sulla falsa premessa che si tratti di questioni interne ai vari Paesi; questo come se la NSA si limitasse a spiare il territorio statunitense e non tenesse sotto controllo anche noi.
Il problema è che le attuali tecnologie rendono la privacy un'illusione, e questo modo di dibattere sembra più che altro finalizzato all'idea di abituare l'opinione pubblica a rassegnarsi a vivere sotto controllo. Qualche commentatore meno allineato ha fatto notare che questo scandalo sollevato dal quotidiano britannico "The Guardian" costituisce una gigantesca scoperta dell'acqua calda, dato che da anni si sapeva praticamente tutto a riguardo. In effetti, già nel 2009 la NSA fu al centro di una polemica per casi di spionaggio ai danni di alcuni
parlamentari statunitensi; pare ci fosse sotto osservazione un deputato del Congresso, non individuato con certezza dai media; e persino il senatore Jay Rockefeller avanzò il sospetto di essere spiato.
Va sottolineato che però in Europa di questo scandalo del 2009 non si seppe a suo tempo praticamente nulla. Meno di nulla i media europei ci hanno detto su una vicenda successiva ancora più clamorosa, che riguardò le rivelazioni di un "insider" della NSA, l'agente Thomas Drake, che subì anche una persecuzione giudiziaria per "tradimento" da parte dell'amministrazione Obama. Alla fine Drake riuscì in parte a scamparla ed a cavarsela con una condanna minore, perché il tribunale riconobbe che le sue informazioni non compromettevano la sicurezza nazionale, ma scoperchiavano il gigantesco giro d'affari, di corruzione e di frodi che avviene all'interno della NSA. A rendere ancora più strano il silenzio dei nostri media, c'è la circostanza che Drake fu intervistato nella più importante trasmissione televisiva di informazione degli USA,
"Sessanta Minuti" della CBS.
Anche in altre interviste Drake portò a conoscenza dell'opinione pubblica dei fatti clamorosi. La sicurezza nazionale è diventata negli USA il settore in maggiore crescita, con un'enorme redistribuzione della ricchezza: il solito capitalismo sedicente privato ed imprenditoriale che invece parassita i soldi pubblici. Agli agenti della NSA è data la possibilità di diventare milionari procurando appalti alle ditte private.
Drake dichiarava testualmente: <
>.
Da profondo conoscitore del sistema, Drake parlò anche delle tecniche di "false flag", di depistaggio, usate dall'amministrazione Obama per affrontare il suo caso, cercando di farlo passare per qualcosa che attentava alla sicurezza nazionale. In realtà attentava soltanto ai business ed agli arricchimenti fraudolenti che avvengono sotto l'alibi della sicurezza nazionale. Anche l'attuale scandalo sul sistema di spionaggio informatico Prism sembra proprio inquadrarsi in questo tipo di operazioni di depistaggio e distrazione. Facciamoli pure discutere nei talk show di libertà, di privacy, di sicurezza; l'importante è non parlare di appalti e di corruzione. Tanto ci sarà sempre una parte dell'opinione pubblica disposta ad avallare qualsiasi liberticidio in nome dello stato di necessità, perciò il dibattito si sposterà invariabilmente sull'opinabile. Ci si potrà quindi domandare quale sia stato il ruolo di Apple, Google e Facebook nel sistema di spionaggio Prism, ma non a quale grado sia arrivata la commistione affaristica di queste multinazionali con la NSA.
Nei Paesi sudditi deve rimanere la convinzione che la corruzione e le tangenti siano roba da popoli inferiori, mentre negli USA ci si scontra sul modo più giusto di combattere il terrorismo. Alla beffa si aggiungono il danno e l'ulteriore beffa, poiché le aziende italiane sono diventate terreno di caccia per ex-agenti CIA ed FBI specializzati in presunti servizi anti-hackeraggio; dei "servizi" che in realtà appaiono come la riscossione di un "pizzo" per essere protetti dalle stesse minacce di spionaggio industriale di provenienza statunitense. Con l'immancabile ipocrita arroganza dei colonialisti, questi pseudo-detective informatici affermano anche di fornire alle aziende americane che vogliano fare affari in Italia, delle certificazioni anti-corruzione sugli eventuali partner commerciali italiani.
Il ministro della Difesa Mauro può oggi permettersi di dichiarare che il MUOS in costruzione a Sigonella sarebbe un impianto che serve alla pace ed alla sicurezza globale, e tutto il problema starebbe nello stabilire se sia inquinante o no (e non lo sarà, c'è da scommetterci). Quindi, se i nostri media ci informassero sulle vere funzioni della NSA e di tutto l'apparato della "sicurezza" USA, l'effetto non sarebbe soltanto quello di un banale e consolatorio "tutto il mondo è paese", bensì lo smascheramento del carattere affaristico-criminale dell'imperialismo, per il quale inventarsi un nemico significa creare appalti e business. Un business, ovviamente, sempre e rigorosamente basato sul saccheggio della spesa pubblica.
Meno di due settimane fa il Primo Ministro turco
Erdogan dichiarava di prevedere una rapida caduta del regime di Assad in Siria, ad opera dei "ribelli". La dichiarazione era in linea con l'atteggiamento ostile verso Assad tenuto dal governo turco in tutta la crisi siriana; ma lanciarsi in auspici così plateali rappresentava sicuramente una chiusura a qualsiasi possibilità di interlocuzione con un avversario presentato come politicamente già morto.
Il fatto che in questi giorni sia invece proprio Erdogan a veder messa in questione la propria legittimità politica dalle manifestazioni di piazza, rappresenta qualcosa di più di un'ironia del destino, ma potrebbe configurarsi come una logica conseguenza della politica anti-Assad. Ogni teatro di guerra tende ad esportare la propria instabilità ai Paesi vicini, e ciò non avviene per un semplice "contagio", ma per il fatto che spesso la posizione di "alleato" si dimostra più insidiosa di quella di nemico.
Riguardo alle motivazioni delle manifestazioni, appare strano questo concentrarsi della rivolta contro la presunta svolta "autoritaria, integralista e populista" di Erdogan, mentre soltanto da parte di gruppi dell'estrema sinistra si accenna al fatto più macroscopico che la Turchia stia partecipando all'aggressione contro un Paese vicino e tradizionalmente amico. Mancano inoltre i riferimenti a tutti i pericoli che comporta l'interventismo in Siria. Togliere il divieto del velo islamico è certamente meno allarmante del fatto che Erdogan abbia deciso di asservire il proprio territorio alle esigenze dell'aggressione della NATO contro la Siria, lasciandolo trasformare in una base per le milizie mercenarie del Qatar e dell'Arabia Saudita, ed esponendolo così a tutte le possibili fregature connesse alla posizione di alleato troppo servile e servizievole.
Infatti una delle conseguenze più gravi della posizione di alleato subordinato riguarda la perdita del controllo del proprio territorio a causa della crescente invadenza dei cosiddetti "alleati". Sarà una banalità ricordarlo, ma mettersi in posizione supina è sempre un invito all'aggressione. Il colonialismo è sempre più schematico che strategico, e spesso l'alleato può costituire una preda molto più facile e disponibile del nemico. Non è un caso che la cosiddetta guerra in Afghanistan sia diventata (sempre che non lo fosse sin dall'inizio) soprattutto una guerra degli USA contro un loro "alleato" tradizionale come il Pakistan.
Erdogan dovrebbe perciò cominciare a preoccuparsi del fatto che i media occidentali denotino un atteggiamento sin troppo "comprensivo" nei confronti dei tafferugli in Turchia, e si tratta degli stessi media che in Italia considerano il sampietrino di un manifestante come un caso di para-terrorismo. Altri commentatori ufficiali intanto già descrivono Erdogan come se fosse un Fratello Musulmano, mentre i rapporti di Amnesty International sono presi per oro colato, esattamente come per la Siria. Analogamente, i capi di governo occidentali, a cominciare da Angela Merkel, hanno espresso
posizioni "equidistantiste" che rappresentano una mortificazione diplomatica per un alleato fedelissimo come il regime turco. Insomma, sembra mancare poco che persino ad Erdogan venga affibbiato quell'epiteto di "dittatore" che implica la morte civile a livello diplomatico.
L'occupazione del territorio turco inoltre non ha riguardato soltanto la presenza di basi di truppe mercenarie straniere, ma anche di servizi segreti, e persino di quelle nuove agenzie della provocazione e dei colpi di Stato che sono le Organizzazioni Non Governative. La
Open Society Foundations del finanziere "filantropo" George Soros - che si dimostrò decisiva nella destabilizzazione di tutta l'Europa dell'Est e dell'Asia ex sovietica -, risulta ora presente in modo massiccio anche in Turchia.
A scorrere i programmi ed i progetti della fondazione di Soros per la Turchia, impressiona il loro tono educazionistico e civilizzatore, come se la Turchia stessa andasse rapidamente convertita al vangelo occidentalista. Particolarmente pretestuosa appare la questione dell'estensione dei diritti della donna in un Paese che è stato tra i primi a riconoscere loro il diritto di voto; addirittura dal 1923. Il governo Erdogan inoltre non ha mai messo in questione i diritti acquisiti dalle donne nel periodo dei governi laici, né vi è traccia di islamizzazioni forzate; persino le norme che limitano la vendita degli alcolici sono più miti di quelle dei Paesi scandinavi. Non si capisce allora perché Soros non vada a salvare la Svizzera, che ha concesso il voto alle donne soltanto nel 1971, o la Svezia, che raziona gli alcolici.
Come è già avvenuto in Tunisia ed in Egitto, ed all'inizio anche in Siria, non c'è dubbio che la rivolta in Turchia convogli, o fagociti, anche istanze e rivendicazioni autentiche di un Paese che ha attraversato una notevole fase di sviluppo economico a costi sociali durissimi. Ma occorre tener presente che la tecnica della "rivoluzione colorata" elaborata dal team di Soros, non implica solo aspetti di mistificazione, ma anche di manipolazione. Anche l'adesione alla rivolta turca di un grande scrittore come Orhan Pamuk è sicuramente sincera; ma lo stesso Pamuk, sempre lucidissimo nello smascherare le magagne interne alla Turchia, si dimostra troppo spesso
supinamente credulone nei confronti dei miti del Sacro Occidente.
La fondazione di Soros afferma anche di adoperarsi per l'entrata della Turchia nell'Unione Europea, cosa che sino a qualche anno fa avrebbe potuto costituire l'ammissione ad un club di eletti, mentre oggi suona come una minaccia di ingresso in un campo di concentramento. La "deriva autoritaria" di Erdogan fa tenerezza se confrontata con l'attuale situazione europea, nella quale un organismo come il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), vanta uno statuto che - agli articoli 32, 33, 34, 35 e 36 - conferisce ad una ristretta oligarchia finanziaria dei privilegi inauditi ed un'assoluta immunità giudiziaria. Il tutto avviene nella completa disinformazione di una pubblica opinione convinta invece di sapere tutto grazie ai finti eroi del giornalismo d'assalto come i Santoro, le Gabanelli ed i Saviano. Tra l'altro il MES, mentre si arroga poteri assoluti sulle finanze e sui parlamenti dei Paesi europei, confessa nel suo stesso statuto - al
punto 8 del preambolo - la propria totale dipendenza da un'istituzione come il Fondo Monetario Internazionale, controllata dagli USA che ne costituiscono il socio di maggioranza.
Intanto, un'altra di quelle ONG no profit specializzate nella destabilizzazione internazionale, la
Bertelsmann Foundation, comincia a discutere di obiettivi molto più ambiziosi, cioè l'inserimento della Turchia nel nuovo "ordine" transatlantico del commercio e della finanza, una forca caudina imposta dagli USA e contrassegnata dall'acronimo TTIP, che dovrebbe andare in vigore dal 2015, ma di cui l'opinione pubblica del libero Occidente non è stata ancora informata.
L'integrazione nell'ordine transnazionale - cioè il dominio incontrastato delle multinazionali - prevede l'eliminazione di quei meccanismi di mediazione sociale che sono tipici dello Stato nazionale; e si tratta di innocue politiche di garantismo sociale, che però le organizzazioni transnazionali etichettano come "populismo". Tutto ciò che possa minimamente ostacolare lo strapotere delle multinazionali viene perciò catalogato come minaccia autoritaria e degenerazione morale. Il fatto di essere "alleati" non salva nessuno da questa sorte, anzi, espone ancora di più all'aggressione coloniale. Se ne stanno accorgendo ora i Paesi del Sud Europa, ed anche la Turchia potrebbe rendersene conto di qui a poco.