Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
E' sempre difficile ricordare il compagno che è stato l'amico di una vita, particolarmente dei tuoi anni giovanili, che è scomparso all'improvviso, per un tumore fulminante al pancreas, dopo che ti sei visto con lui pochi giorni prima e nulla faceva presagire quello che sarebbe successo – anzi, ti comunicava che, dopo tanti anni che era stato per lavoro in giro per il mondo, aveva ottenuto il trasferimento come Docente Ordinario di Patologia Generale dall'Università di Catanzaro a quella di Napoli, per cui si faceva immettere nella chat del Gruppo "Mastrogiovanni" per potervi partecipare. Il tutto mentre parlava dei suoi infiniti progetti per il futuro che, di lì a pochi giorni, si sarebbero infranti contro il muro della malattia che si sarebbe manifestata a brevissimo.
L'avevo conosciuto quando eravamo studenti all'università e, insieme a tanti altri compagni, scontenti della mancanza di un punto di riferimento forte dell'anarchismo sociale nella nostra città, avevamo dato vita all'esperienza dell'Organizzazione Anarco-Comunista Napoletana, che di lì a poco avrebbe aderito alla Federazione Anarchica Italiana. In quegli anni fu protagonista dell'intervento politico del gruppo, soprattutto nel campo antimilitarista, dalla lotta contro l'installazione dei missili nucleari a Comiso al contrasto delle prime guerre neoimperialistiche dopo la fine dello Stato Sociale. Vivevamo un po' come una comunità: quando non ci incontravamo per motivi legati all'attività militante, eravamo sempre insieme e facevamo la vita che potete immaginare di un gruppo di amici ventenni nel cuore degli anni ottanta.
La componente studentesca del gruppo aveva una caratteristica: eravamo un po' tutti alquanto brillanti nelle nostre discipline e molti di noi hanno seguito la strada dell'insegnamento e della ricerca. Ennio, in particolare, dopo il dottorato ed un post-dottorato all'Università di Napoli fu uno dei nostri primi "cervelli in fuga" e si trasferì in Svezia al Karolinska Institutet di Stoccolma, dove restò per vari anni, prima di riuscire a rientrare in Italia come Docente Associato prima, Ordinario poi, dell'Università di Catanzaro, per poi riuscire a tornare nella sua città. Il tutto sempre con una produzione scientifica di altissimo livello, testimoniata dalla qualità delle riviste che ospitavano le sue ricerche – oltre alla comunità di noi militanti, è pianto anche dalla comunità scientifica, particolarmente quella che si occupa dell'immunologia e, ironia della sorte, delle terapie tumorali.
Anche vivendo una vita alquanto movimentata, tra Stoccolma, Catanzaro, Salerno, Napoli per non dire del resto del mondo dove lo portava di continuo la sua attività scientifica, aveva mantenuto costante, ovunque si trovasse, la sua attività militante nell'anarchismo sociale. È pianto anche dalla comunità del Confederalismo Democratico del Rojava: negli ultimi anni si dedicava particolarmente alla Staffetta Sanitaria ed al lavoro di supporto alle strutture educative del Rojava liberato – un progetto, tra l'altro, nato in origine in una delle nostre tante discussioni.
Infine, tutti coloro che l'hanno conosciuto lo ricordano per le sue qualità umane. Allegro, solidale, vitale, qualunque fosse il motivo per cui lo si frequentasse era sempre un piacere incontrarlo e dispiaceva a tutti, per la sua vita movimentata, non poterlo frequentare di continuo. Per questo e mille altri motivi, mancherà a tantissimi. Ciao, Ennio. (Enrico)
Ennio ha fatto parte di quella "sporca dozzina" che nei primi anni '80 fondò l'Organizzazione Anarco-Comunista Napoletana (OACN). Era al primo anno di Medicina ma, nonostante la pesantezza dello studio, ha partecipato in prima persona a tutte le iniziative e non so proprio come riuscisse a trovare il tempo anche per la socialità, che in quegli anni era a base di cene improvvisate in case ospitali, concerti underground, vagabondaggi notturni e spericolati zig-zag con la sua Renault 4.
Il suo è stato un anarchismo mai dogmatico, sempre allegro, possibilista e lungimirante. Fu lui a organizzare le riunioni nelle quali un informatico, suo compagno di liceo, venne a spiegarci cos'erano i Personal Computer e come e perché avrebbero cambiato tutto.
Vacanze estive, capodanni in giro per l'Italia e iniziative politiche ci hanno tenuto in contatto lungo più di 40 anni, anche quando il suo lavoro e il mio hanno messo tra le nostre vite troppi chilometri di distanza e poco tempo per frequentarci come in passato. Molti i ricordi e troppo il dolore per raccontare le innumerevoli "storie" personali e politiche vissute insieme, l'ultima delle quali quando accompagnammo i figli a Lucca Comics, con lui travestito da Corto Maltese.
Lo scorso novembre è comparso su mastodon.bida.im e il suo ultimo messaggio è stato: "Fratello confermo anche qui pluvia non finir y tengo da mangiar hasta Catanzaro: mierda. besos". Baci, fratello. (Peppe 'o psicologo – Pepsy)
La gestione spregiudicata da parte del presidente turco Erdogan dell’ennesima emergenza profughi siriana, ha provocato il consueto atteggiamento vittimistico di gran parte dei media europei. Si offre infatti l’immagine di un’Unione Europea spremuta dai ricatti di Erdogan che usa cinicamente i profughi come ostaggi.
Tutto vero ma molto parziale. La guerra in Siria compie nove anni e sia il conflitto, sia la sua persistenza, sono stati l’effetto di un’attiva e instancabile opera di destabilizzazione, in cui si sono distinti la Francia e il Regno Unito, che sino al 2016 faceva ancora parte dell’Unione Europea. Nel 2013 la propaganda europea contro Assad ha raggiunto toni parossistici e non ci si è limitati alla propaganda, poiché i cosiddetti “ribelli” siriani hanno ottenuto non solo diretti aiuti militari da Francia e Regno Unito ma anche riconoscimenti diplomatici.
Dal canto suo Erdogan può recriminare sul fatto che gran parte del peso della guerra in Siria, compresa l’assistenza ai profughi, è ricaduta sulla Turchia. Certo, l’oligarchia turca ha delle sfacciate mire espansionistiche a spese del territorio siriano. Si può anche sottolineare che queste mire sono storiche, non originate solo dal conflitto scoppiato in Siria nel 2011; ma è anche vero che Erdogan è stato letteralmente spinto, spintonato, ad intervenire in modo sempre più pesante in Siria. La destabilizzazione di un Paese che non ci aveva dato nessun fastidio, implica per l’Europa anche qualche costo di ritorno; ma tanto paga il contribuente e poi oggi c’è anche il “quantitative easing”, perciò i soldini per accontentare Erdogan, magari molti di meno di quelli che chiede, si possono trovare persino in un’Europa così avara.
L’aspetto più interessante della vicenda siriana riguarda però il ruolo della Russia, la quale rappresenta oggi l’unico soggetto che agisce nel senso della stabilizzazione dell’area medio orientale. Per tutta la guerra fredda, l’Europa ha parassitato l’Unione Sovietica. Mentre la trattava come una minaccia, la stessa Europa si avvantaggiava del ruolo di stabilizzazione svolto dall’impero sovietico. Oggi il copione si ripropone con la Russia di Putin, un Paese molto più povero della già povera URSS, che però si svena per impedire che tutta l’area medio orientale salti per aria.
Dopo il colpo di Stato del 1991 che ha liquidato l’URSS, sembrava che la Russia diventasse il paradiso incontrastato delle oligarchie affaristiche, originate in gran parte dal vecchio KGB. Putin, che pure proviene da quell’ambiente affaristico, si è trovato per forza di cose ad ereditare il ruolo storico della Russia, che ora è costretta a stabilizzare anche l'area medio orientale. C’è inoltre da constatare che il “Medio” Oriente è in realtà per l’Europa il Vicinissimo Oriente. È solo il prevalere del punto di vista anglosassone che porta a considerare quell’area come più lontana.
Secondo alcuni analisti la Russia c’entra poco o nulla con il cosiddetto Medio Oriente e ci si trova invischiata solo perché voleva utilizzare la carta siriana per ottenere qualcosa sull’Ucraina da parte degli Usa e dell’Europa. Sicuramente c’è anche questo, ma è un dato di fatto che il Medio Oriente è troppo vicino al Mar Nero, il mare che storicamente la Russia ha conteso con la Turchia imperiale. Se c’è qualcuno che non può permettersi un revival dell’imperialismo turco, questo è proprio la Russia.
Stranamente la Russia contribuisce a ridimensionare non solo le aspirazioni neo-imperiali della Turchia ma anche i propri attuali alleati come l’Iran. Sono stati gli USA ad “inventare” l’Iran come potenza regionale nel momento in cui hanno deciso di liquidare nel 2003 il suo contrappeso nell’area, cioè l’Iraq di Saddam Hussein a dominio sunnita. La tanto decantata e temuta “mezzaluna sciita” a guida iraniana è stata quindi un effetto dell’imperialismo americano. Nel ruolo di alleato subordinato della Russia, l’Iran è stato ricondotto ora alle sue dimensioni reali; mentre l’assassinio del generale iraniano Qasem Soleimani da parte degli USA non ha avuto alcun effetto sui rapporti di forze in campo.
La Russia non può consentirsi di ignorare la destabilizzazione a ridosso dei propri confini se non al prezzo di importarla. Gli USA invece possono avvantaggiarsi con disinvoltura della loro posizione di relativo isolamento geografico per comportarsi da scavezzacolli irresponsabili a livello planetario, tanto ci pensa la Russia a tenere un atteggiamento responsabile ed a riportare un equilibrio quando l’eccesso di caos rischierebbe di ritorcersi contro il destabilizzatore. Si tratta di un vero e proprio parassitismo occidentale nei confronti della Russia, che continua a sostenere il suo ruolo storico dell’unico Cireneo sul piano mondiale.
Persino la Cina ha potuto permettersi di esportare i propri problemi interni e di scaricarli sugli altri. Oggi la presunta emergenza sanitaria cinese ha infettato un Occidente troppo drogato di emergenzialismo per poter distinguere il grano dal loglio. L’emergenza del Corona virus è stata infatti un ottimo espediente con cui il regime cinese è riuscito a sedare la rivolta di Hong Kong. Il virus ha calmato le acque prima che la vera infezione (quella della destabilizzazione interna) si allargasse al sud-est della Cina, cioè quell’area di lingua cantonese che riconosce in Hong Kong il proprio punto di riferimento. Oggi gli abitanti di Hong Kong, e del resto del sud-est della Cina, devono vivere tutti tappati in casa e il problema è stato risolto.
Solo la Russia non può permettersi di questi lussi.
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