Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Vi sono momenti storici in cui la propaganda avversaria può diventare, invece che un problema, addirittura un fattore di traino. È accaduto in questi anni a Putin, il quale è stato indirettamente santificato dalla propaganda occidentale che cercava di criminalizzarlo. Accadde al Partito Comunista Italiano tra il 1974 ed il 1975, quando la segreteria democristiana di Amintore Fanfani condusse la polemica anticomunista in modo così puntiglioso, astioso e destabilizzante da rendere simpatico il PCI ai settori dell’elettorato desiderosi di stabilità. Lega e 5 Stelle stanno oggi traendo un analogo vantaggio dal tipo di “opposizione” che il PD ed i media di contorno stanno conducendo contro l’attuale governo.
Nella propaganda piddina vi è un errore narratologico molto simile a quello dei telefilm polizieschi americani, nei quali si vedono i sospettati porsi nei confronti del poliziotto che li interroga come se fosse il loro psicanalista. Si tratta della rimozione del conflitto come effetto del confronto di interessi diversi e contrapposti, per proporre un’idea del conflitto come risultato di pura irrazionalità di una delle parti. Alcuni intellettuali della “sinistra” si ostinano a considerare il seguito elettorale e di opinione di Matteo Salvini come la conseguenza di un’ondata irrazionale. Più semplicemente invece l’opinione pubblica si limita a prendere atto con realismo che il quadro internazionale non è composto di afflati ideali da una parte e di spinte fanatiche o populiste dall’altra, bensì di interessi contrapposti e talora inconciliabili.
È vero che nell’elettorato tradizionale della Lega vi sono anche quelli che desidererebbero risolvere la questione migranti con i treni piombati e i forni crematori, ma se fosse per quelli la Lega sarebbe ancora il partitino del 4%. Poi non c’è bisogno di essere nazisti per restare scettici di fronte alla fiaba secondo cui centinaia e centinaia di ONG sarebbero animate da spirito filantropico. Più la propaganda insiste sulle fiabe del tipo il “Salvini nuovo Hitler”, più il segretario leghista sfonda al centro, poiché viene identificato da gran parte dell’opinione pubblica nel ruolo del politico realista e responsabile che almeno non racconta balle clamorose. È inutile, ad esempio, che il segretario del PD Martina insista ancora nel paventare “l’isolamento in Europa”, dato che ognuno si è accorto che in Europa l’Italia è sempre stata isolata e non è mai riuscita a fare squadra con nessun altro Paese. Martina ci fa la figura del cretino e basta; intanto, per riflesso, cresce l’immagine del Salvini statista.
Se la propaganda politicorretta tacesse per qualche mese ci si comincerebbe ad accorgere che anche la narrazione dell’attuale governo non è poi così realistica come sembrerebbe. Sul tema migratorio non è realistico pensare ad una politica di rimpatri dei clandestini, perché troppo costoso; non sono realistici quei campi di concentramento in Africa detti “hotspot”, poiché non solo costano ma non servono a nulla; non è realistico concentrarsi sui “barconi”, perché un buon terzo delle banchine portuali in Italia è sotto controllo militare straniero e sotto segreto militare, perciò nulla ti assicura che il traffico di migranti non passi anche da lì.
Non è neppure realistico parlare di investimenti in Africa, poiché occorrerebbe semmai “disinvestire”, bloccare cioè quei flussi finanziari che alimentano l’inclusione finanziaria (cioè l’indebitamento) delle masse africane. L’inclusione finanziaria è sotto l’egida di quel super-potentato che è la Banca Mondiale, che nei suoi documenti tratta anche del ruolo delle ONG in questo business dell’inclusione.
È possibile quindi che l’attivismo di Salvini mascheri politiche molto meno ambiziose e molto più tradizionali per l’Italia. Il nervosismo di Macron nei confronti dell’Italia è diventato infatti più comprensibile. Il Presidente francese evidentemente sospettava che l’attivismo dell’attuale governo italiano sul tema della migrazione di origine africana e la stessa proposta italiana degli “hotspot” fossero in realtà un pretesto per rimettere tutti e due i piedi in Libia. Il recentissimo viaggio lampo di Matteo Salvini a Tripoli ha confermato, almeno in parte, questo sospetto. Salvini infatti, tra una sparata e l’altra sul tema migratorio, ha parlato anche della possibilità di accordi “economici” con la Libia, comportandosi come un lobbista delle multinazionali italiane, ENI in primis. Parole e comportamenti che certamente hanno preoccupato ed irritato Macron, che ovviamente pensa agli interessi di Total in Libia.
Il vertice di Parigi del maggio scorso tra Macron ed i due “governi” libici è stato per lo più presentato dai media come un successo della diplomazia francese ed una definitiva liquidazione delle aspirazioni italiane di tornare ad un ruolo in Libia. In realtà i due leader libici non hanno preso impegni concreti, perciò il vertice può essere considerato un risultato molto parziale, che dà adito ad ulteriori mosse da parte del governo italiano.
Il nervosismo francese ha cause molto concrete. Tutta la posizione coloniale della Francia in Africa presenta oggi caratteristiche di oggettiva debolezza. Per la serie “derubiamoli a casa loro” c’è l’esempio del saccheggio dell’uranio del Niger da parte della Francia. La ricchezza del sottosuolo nigerino è una maledizione per le popolazioni locali. L’80% dei Nigerini non dispone ancora di energia elettrica: questo dato sconcertante è denunciato nientemeno che da quel forum paramassonico che è l’Aspen Institute.
Non che il saccheggio dell’uranio nigerino abbia portato gran bene alla Francia. Il colosso francese dell’energia elettrica di origine nucleare, Areva, è infatti al disastro finanziario e si trova oggetto di un faticoso salvataggio.
L’energia nucleare avrebbe dovuto costituire il fiore all’occhiello dell’esportazione francese di tecnologia ma, nonostante alcuni grossi affari in Asia, il settore continua a soffrire e non porta vantaggi significativi alla bilancia commerciale francese, che nel 2017 ha chiuso con ulteriore aggravio del già annoso deficit.
Per una Francia in queste condizioni, abituata a fare colonialismo al di sopra dei propri mezzi, anche un’Italia malridotta come l’attuale può costituire un pericoloso concorrente. La Francia è debole e viene sempre più percepita come tale, cosa che rende il quadro europeo ed internazionale molto più instabile. Resta da vedere poi se ci sarà qualche altro Paese (il terzo incomodo) che correrà in “soccorso” di Salvini per sbarcare in Libia giusto ad ora di pranzo.
Matteo Salvini ha risolto fortunosamente la sua prima sortita sul tema della migrazione. Se la nave ONG “Aquarius” fosse rimasta in mezzo al mare, Salvini, volente o nolente, avrebbe dovuto far raccogliere i migranti a causa delle norme internazionali che impongono il soccorso in mare. C’è stata però la circostanza favorevole di un nuovo governo spagnolo bisognoso di far punti per risalire nella graduatoria del
politicamente corretto dopo il disastro di immagine dei pestaggi polizieschi in Catalogna.
Un’altra circostanza fortunosa è consistita nel fatto che a condurre la polemica anti-italiana sia stato Macron, cioè il capo di una Francia che sul tema migratorio non ha lesinato comportamenti sbrigativi ai propri confini. Per questo motivo anche gran parte dell’opinione pubblica meno favorevole al governo si è compattata con Salvini di fronte agli attacchi francesi.
Il punto interessante è però che persino nelle repliche più accese si è appena sfiorato la questione delle responsabilità francesi nella spinta migratoria. Lo scorso anno un quotidiano dell’establishment come “La Repubblica” riferiva dell’atteggiamento stranamente passivo e complice delle truppe francesi in Niger nei confronti delle carovane dei migranti che si avviano verso la Libia.
L’articolista spiegava l’atteggiamento ambiguo dei militari francesi con le priorità della loro presenza in Niger, che riguarderebbero il contrasto ai jihadisti. In realtà l’interesse della Francia è molto più diretto. La spinta alla migrazione non consiste nella generica “povertà” ma nell’accumulo di indebitamento personale che occorre smaltire con guadagni che sarebbero impossibili in patria. Se si considera la vastità dell’elenco delle ONG francesi che sono coinvolte nel microcredito in Africa, si comprende che le truppe francesi stanno
tutelando anche dei precisi interessi finanziari. La lista ufficiale fornisce i nomi di ben diciotto ONG francesi che si occupano di microcredito in Africa e che quindi contribuiscono ad integrare forzosamente (ad “includere”, secondo l’ipocrisia vigente) le masse dei poveri africani nel circuito finanziario.
Le ONG rappresentano una propaggine mascherata del potere vero, quello della finanza. Nel business del microcredito ai poveri del mondo sono entrati infatti i colossi della finanza internazionale; non ultimo il sistema bancario svizzero, che ha invaso l’Africa servendosi anche di tecnologie “biometriche”, in modo che lo stesso corpo dell’indebitato diventi una memoria vivente e perenne dei debiti contratti.
Nella polemica contro le ONG Salvini si era davvero avvicinato agli interessi veri che dominano il fenomeno della finanziarizzazione/migrazione. Magari qualcuno si aspettava che avviasse una serie di misure di controllo sui movimenti di capitali che coinvolgono le ONG. È risultata perciò tanto più brusca e precipitosa la retromarcia di Salvini con il ripiego su proposte ad uso dei media come il censimento dei Rom. Nonostante dichiarazioni isolate ed estemporanee di esponenti della Lega, il legame tra finanziarizzazione e migrazione rimane ancora sullo sfondo mentre al centro della scena vengono lanciate queste parodie delle leggi razziali. Il vero rischio che Salvini corre con queste boutade però non è quello di passare da razzista, bensì di rendersi ridicolo agli
occhi di chi aveva riposto in lui delle speranze di contrasto allo strapotere della finanza.
Questo governo è riuscito ad imbarcare, seppure in un ministero minore (“senza portafoglio”), due personalità di notevole spessore, come Paolo Savona e Luciano Barra Caracciolo. Se Savona e Barra Caracciolo vorranno mantenere la loro reputazione di persone serie, sarà difficile che reggano a lungo lo stillicidio di figuracce a cui questo governo si sta avviando. Il governo Conte si è lasciato coinvolgere in quella farsa dei vertici europei che avrebbe dovuto invece evitare. La vera “trattativa” si fa da casa propria, mettendo in campo tutte quelle reti di protezione giuridiche e finanziarie che, quelle sì, costringerebbero gli avversari a darsi una regolata.
Il problema politico riguarda i limiti della presunta evoluzione ideologica della Lega, che è rimasta sostanzialmente lo stesso partito della fine degli anni ’80, con i suoi cavalli di battaglia della rivolta fiscale e del rifiuto dell’immigrazione, con gli Africani che hanno preso il posto dei Meridionali. Non basta certo qualche battuta di Salvini su Soros per celare questa mancata evoluzione.
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