Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Grazie a Gigi di Lembo nella primavera del 2010 a Livorno si svolse un interessante convegno di studi, “Elementi libertari nel Risorgimento livornese e toscano”, che aggregò interventi di vari compagni ma anche del mondo accademico. Un anno dopo Gigi ci lasciava. Un anno dopo ancora furono presentati gli atti di quel Convegno, con una pubblicazione a lui dedicata, che si apriva proprio con un ricordo di Gigi, e del suo legame con Livorno.
A distanza di dieci anni le compagne e i compagni della Federazione Anarchica Livornese vogliono riproporre la prefazione agli atti del Convegno, salutando in questo modo Gigi, ancora così vicino ai nostri cuori e alle nostre lotte.
Federazione Anarchica Livornese - marzo 2021
Era il maggio del 2008 quando Gigi cominciò a ragionare con i compagni livornesi del Circolo Culturale Malatesta di un’idea a cui, da qualche tempo, cercava di dare forma: una ricerca sulla presenza libertaria nel Risorgimento toscano e livornese. Qualcosa di insolito per lui, studioso dei processi storici e politici del Novecento; ma senza dubbio anche qualcosa che lo teneva saldamente collegato a quella lotta umana di carattere anarchico e libertario che ha sempre segnato la sua ricerca storica, politica e personale. Lo sollecitavano indubbiamente le ricerche di storici nonché amici affettuosi come Fabio Bertini, vigoroso risorgimentalista, abilissimo nell’organizzare la collaborazione di tanti ricercatori attorno a nuclei d’interesse originali e preziosi; e poi c’era il contatto continuo e fraterno con gli studi di Natale Musarra, la disponibilità inesauribile di Giorgio Sacchetti.
Ma era anche Livorno stessa a chiamarlo verso il periodo risorgimentale. Gigi, fiorentino, si era trasferito a Livorno da qualche anno, spinto dalla grande passione per il mare; ogni giorno scovava qualche aspetto di questa città caotica e contraddittoria, spingendosi anche nelle pieghe del passato. È lì che ha scoperto un Risorgimento particolare, popolano e refrattario, più sovversivo che patriottico. E gli è piaciuto.
Dopo di che seguirono contatti, incontri, dibattiti. Gigi, di solito schivo, si dedicò con passione alla costruzione di quello che poi divenne il convegno di studi sugli elementi libertari nel Risorgimento livornese e toscano, convegno che si svolse a Livorno nel marzo del 2010.
L’incontro, attraverso i vari interventi e contributi, ha fatto emergere una realtà politica e sociale interessantissima e poco conosciuta: la diffusione di circoli libertari a Prato, nella zona apuana e a Livorno; i contatti dei libertari toscani con Mazzini, Guerrazzi, Rattazzi, con i garibaldini di Rosolino Pilo; e, ancora la partecipazione ai tanti eventi insurrezionali, dagli assalti alle guarnigioni, agli attentati, alle rivolte contro il carovita. E poi i fogli di agitazione, i giornali, i luoghi di ritrovo, la presenza attiva di donne, i primi nuclei sindacali, i locali da ballo. Mille rivoli di aggregazione popolare e dal basso di un Risorgimento così diverso da quello aristocratico consegnatoci dalla storiografia più consueta.
E ancora, tra una moltitudine in lotta, l’apparizione balenante di figure gigantesche : il messaggio inequivocabilmente libertario di Pisacane; la visita di Bakunin a Livorno e i suoi incontri e scontri con Mazzini e Guerrazzi. Una società viva e pulsante, in cui nessuno è marginale. Un mondo reso piccolo dalla comunanza e larghissimo dalle prospettive. E poi la delusione e la voglia di ricominciare di uomini e donne che lottavano per un mondo migliore ed ebbero in cambio un nuovo monarca, erede e progenitore di una genìa feroce, massacratore lui stesso.
Gigi intendeva occuparsi anche di questo.
Dopo il successo del convegno di cui vengono qui pubblicati gli atti, Gigi stava lavorando alla definizione di un nuovo percorso di ricerca. Lo interessavano la situazione postunitaria, la delusione rivoluzionaria, l’emergenza della questione sociale, la ricollocazione postrisorgimentale dei settori politici più radicali, la nascita dell’Internazionale. Tutte questioni di enorme interesse, a cui accennava col consueto minimalismo, canticchiando la strofetta di una canzone dell’epoca:
“… la patria libera è un’illusione, se ancora il basto ci fan portar”
Non ha avuto il tempo di sviluppare questa idea perché se ne è andato, una mattina di marzo, col fazzoletto nero al collo e il vecchio berretto da lupo di mare.
Gli sarebbe piaciuto che il convegno di Livorno trovasse divulgazione, come sta avvenendo con la pubblicazione degli atti. Per questo siamo grati a tutti coloro che hanno reso possibile questo lavoro.
[……]
A Gigi era piaciuto gettare un fascio di luce sulla moltitudine rivoluzionaria, sulla lotta umana risorgimentale, così come gli piaceva, e a noi con lui, considerare tutto questo nel suo senso profondo di continuità.
Perché la storia è fatta di rivolte, rivoluzioni, insurrezioni, del diritto dei popoli contro il preteso diritto dei governanti. Ma è fatta così anche l’attualità, la nostra quotidianità. Perché chi lotta tutti i giorni contro le sopraffazioni dei governanti di turno viene spesso emarginato, represso, criminalizzato. Perché la storia, questa storia, non si interrompe neanche per un giorno, come neanche per un giorno si interrompe la volontà di rivolta.
Sulle mura della piazza San Marco di Livorno campeggia un’iscrizione, ricordo delle giornate risorgimentali del 1849: “Mal si reggono con la violenza popoli insofferenti di giogo straniero”. Parole che individuano con chiarezza la violenza del potere; parole che, oggi come ieri, sono un grido contro la repressione, un’affermazione di riscatto e di libertà.
Di Patrizia Nesti
GIGI
Gigi Di Lembo ci racconta l’anarchia
2^ parte
Borghi in Francia tra i fuoriusciti (Estate 1923 - Autunno 1926) di Luigi di Lembo
Per replicare alle scomposte e insolenti accuse di Joe Biden, Vladimir Putin si è esibito in
un abile esercizio di dialettica ritorsiva, improntato al motto: “ciascun dal cuor suo l'altrui misura”. Putin ha potuto facilmente rincarare la dose osservando che la storia degli USA è segnata dalla pratica disinvolta del genocidio.
Un commentatore esterno potrebbe anche ricordarsi delle
“kill list” di Obama (di cui Biden certamente sapeva); ed anche notare la faccia tosta della propaganda degli USA e dei suoi Paesi sudditi nel celebrare come paladino della democrazia un nazista come il sedicente “oppositore” Navalny, noto in Russia soprattutto per la sua istigazione alla violenza contro i musulmani.
Tutto vero ma non pertinente. Nella replica di Putin mancava infatti l’osservazione più ovvia e più importante, e cioè la constatazione del nonsenso di un presidente USA che brucia i suoi rapporti e la sua credibilità personale nei confronti del suo omologo a capo dell'altra grande potenza nucleare, la Russia appunto. Persino se Putin fosse realmente il super-assassino descritto da Biden, egli rimane comunque il capo di una potenza nucleare con cui sarebbe inevitabile trattare in caso di crisi internazionale.
Tagliando i ponti diplomatici con Putin, Biden ha infatti indirettamente ammesso di non essere lui il vero referente della politica estera USA, ma di svolgere una mera funzione di propagandista. Come era prevedibile, dopo il cialtrone Trump, abbiamo ora anche un cialtrone Biden.
Biden probabilmente spera così di ottenere la benevolenza degli apparati, e che questi gli lascino mano libera almeno nella gestione dei miliardi di dollari con cui sta drogando l’economia.
Per Putin questo “ritiro” di Biden dalla gestione della politica estera non è una buona notizia, e non tanto per i rischi di conflitto che ciò comporta. “Bruciando” se stesso, Biden ha bruciato anche Putin: visto che i rapporti tra superpotenze nucleari dovranno comunque continuare, vorrà dire che queste relazioni si svolgeranno a livello di apparati e non più di capi di Stato. Come negli scacchi, si è sacrificata la pedina Biden per mettere sotto scacco il “re” Putin.
I precedenti storici non sono tranquillizzanti per Putin. Mentre Gorbaciov negoziava con Reagan e con Bush senior, le vere trattative si svolgevano già a livello di apparati. Gorbaciov si ritrovò quindi estromesso dal potere da parte della sua creatura, la multinazionale energetica russa Gazprom, formata in gran parte da ex agenti del KGB. Fu Gazprom ad attuare lo smantellamento dell'impero sovietico, allo scopo di trasformare gli ex sudditi in clienti, in compratori del petrolio e del gas estratti in Russia.
Putin non è un manichino come i politici occidentali, anzi, è un tipo navigato, emerso da una lotta di potere in cui ci si giocava anche la pelle. Putin però non è neppure un dittatore, bensì un mediatore tra i soli due poteri che contano veramente in Russia: Gazprom e l’esercito. In questa funzione di mediazione Putin sta fallendo, e la perdita dell’influenza sull’Ucraina nel 2013 è il risultato di questo fallimento.
Per difendere i propri confini occidentali, la Russia ha assoluto bisogno di una Ucraina alleata o, quantomeno, benevolmente neutrale, come l’attuale Bielorussia. Il colpo di Stato della NATO a Kiev nel 2013 ha invece stravolto questa prospettiva. L’annessione russa della penisola di Crimea ha rappresentato un’operazione di recupero, per salvare il salvabile almeno nel Mar Nero; ma i confini occidentali della Russia rimangono comunque scoperti ed esposti alla crescente aggressività della Polonia, diventata la punta di lancia della NATO.
La sopravvivenza della Russia imporrebbe la necessità di usare le forniture di petrolio e di gas come mezzi diplomatici per recuperare l'alleanza con l’ex provincia imperiale dell'Ucraina. Al contrario, Gazprom continua a trattare l’Ucraina da cliente moroso e persino da concorrente.
Nel 2008 Gazprom arrivò all’assurdo di pretendere dall’Ucraina il pagamento di un miliardo e mezzo di dollari per le forniture di petrolio e di gas, innescando una crisi politica. Oggi i rapporti tra Gazprom e l'azienda energetica ucraina sono più articolati, ma lasciano spazio all’inserimento dell’Unione Europea nei contenziosi che continuano a determinarsi.
La strumentale rappresentazione della stampa occidentale di questi conflitti è improntata alla fittizia contrapposizione tra le pratiche di corruzione e disinformazione di Gazprom e la presunta logica di “Mercato” e di “innovazione” dell'Unione Europea. Al di là delle narrazioni propagandistiche del Sacro Occidente, rimane il paradosso di un Cremlino che persiste nel lasciare a Gazprom la gestione delle questioni energetiche con l'Ucraina, come se si trattasse di una mera faccenda di affari e non di una questione di vita e di morte per la Russia.
L’evidenza è che ormai Gazprom abbia una propria agenda diplomatica e che subordini l’integrità territoriale della Russia ai propri profitti. Ciò spiegherebbe anche la sicumera e l'arroganza degli apparati statunitensi nel trattare con la Russia. Con tutta probabilità gli USA non puntano ad una guerra aperta con la Russia; una scelta che comporterebbe troppi rischi. Gli USA contano invece sulla prospettiva che gli interessi di Gazprom conducano ad un’implosione anche della Federazione Russa, così come è già avvenuto per l’Unione Sovietica.
Se ne deduce che gli affari e la stessa esistenza di Gazprom, dopo essersi rivelati incompatibili con l’impero sovietico, diventano adesso sempre meno compatibili con la sopravvivenza stessa della Russia. La resa dei conti tra Gazprom e l'esercito potrebbe quindi essere imminente; e, quale che ne sia l’esito, sicuramente la funzione di mediazione di Putin risulterebbe a quel punto superflua.