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ASSOCIAZIONI A DELINQUERE DI STAMPO STATALE
Di comidad (del 15/07/2021 @ 00:01:13, in Commentario 2021, linkato 6419 volte)
L'ennesimo massacro di detenuti compiuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere ha scatenato il consueto rituale di ipocrisie o di esibizioni forcaiole. L’effetto di distrazione di questi falsi dibattiti rischia di oscurare un dato che invece dovrebbe risultare evidente, cioè che la normativa vigente già prevede che il carcere possa diventare luogo di abusi, per cui conferisce ad una serie di soggetti istituzionali, estranei all'amministrazione carceraria, la possibilità di visitare le carceri senza alcuna autorizzazione. Ministri, parlamentari (compresi i membri italiani del parlamento europeo), consiglieri regionali, magistrati, membri del CSM, persino autorità diocesane. Si tratta quindi di centinaia di soggetti che possono svolgere una vera e propria funzione ispettiva che non ha eguali in altri settori. I parlamentari, ad esempio, non possono accedere senza autorizzazione ai luoghi di lavoro, o negli ospedali o nelle strutture di ricovero per anziani e disabili, mentre nelle carceri sì. Ciò vuol dire anche che i detenuti, i loro familiari ed i loro avvocati avrebbero a disposizione un gran numero di soggetti a cui far pervenire segnalazioni.
In base ad una tale normativa non dovrebbe esistere luogo più sicuro del carcere e la polizia penitenziaria dovrebbe sentirsi costantemente il fiato sul collo, tanto da prevenire abusi dell'entità di quello avvenuto a Santa Maria Capua Vetere. Ciò invece non avviene, coloro che avrebbero la possibilità, ed anche il dovere, di controllare, non lo fanno. Evidentemente il sistema carcerario, come altri sistemi istituzionali, non procede in base alla normativa ufficiale, bensì in base a schemi “informali”, che di fatto scoraggiano i controlli.

Proprio nel periodo in cui sono avvenute le violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, si era ricominciato a parlare di un caso analogo di oltre venti anni fa, avvenuto nel carcere di Sassari. All'epoca c'era il governo D’Alema ed il ministro della Giustizia era addirittura Oliviero Diliberto, dei Comunisti Italiani. Anche quel caso di Sassari ebbe strascichi giudiziari, cosa che però non ha dissuaso affatto la polizia penitenziaria dal ripetere comportamenti analoghi.
Se il personale carcerario, nonostante i rischi giudiziari che a volte ciò comporta, continua negli abusi, le spiegazioni possibili sono due. Una spiegazione è quella tipicamente cospirativa, per cui esisterebbero centrali occulte da cui partono certi impulsi. L’altra possibile spiegazione riguarda invece la dinamica sociale sottostante alle amministrazioni dello Stato, nelle quali i legami sociali formali ed istituzionali, che dovrebbero indirizzare i comportamenti del personale, non garantiscono sufficienti protezioni e garanzie ai singoli. Se i poliziotti, nonostante i possibili rischi, si prestano egualmente a commettere abusi, vuol dire che temono maggiormente i rischi di isolamento sociale che una tale scelta legalitaria comporterebbe.
Il commettere insieme abusi e reati comporta la formazione di legami sociali stabili, di un sistema di complicità e protezioni reciproche. Si forma una sorta di ombrello omertoso sotto cui ripararsi, che attenua di molto le eventuali conseguenze di inchieste giudiziarie. Nessuno è del tutto immune da errori e nessuno può sfuggire alla calunnia, perciò è più probabile che, quando si vada a cercare un capro espiatorio da immolare ad una fittizia restaurazione della legalità, si scelgano proprio quei soggetti estranei alle conventicole ed alle cupole, per cui alla fine sono proprio i più corretti, e non i più corrotti, a precipitare sulla graticola delle persecuzioni. Nel film del 1973 “Serpico”, basato sulla storia autentica di un poliziotto di New York, il funzionario onesto sconta la sua correttezza con uno stressante isolamento sociale che lo espone ad ogni aggressione.

Il voler stare alle regole, o per moralità o per mera ricerca del quieto vivere, comporta un isolamento sociale per il quale alla fine si rischia di non salvare né la tranquillità, né la reputazione. Insomma, in termini di socializzazione il delitto paga, e ciò vale anche e soprattutto per i delitti commessi in ambito istituzionale. Il bisogno di delitto è un’espressione del bisogno di socializzazione. Lo Stato, nella sua accezione reale, quindi non coincide con la “legalità”, è “qualcos’altro”. Di recente è arrivata la scoperta dell'acqua calda: anche la magistratura si “autogestisce” come fosse un racket. La Legge non possiede una capacità di coesione sociale, se non nel momento in cui viene violata. Tutta la distinzione corrente tra statuale e “privato” risulta del tutto fittizia, per cui gli interessi privati, soprattutto i più loschi, trovano proprio negli apparati dello Stato la possibilità concreta di strutturarsi in lobby, in cosche d’affari.
Lo Stato rimane al livello di nozione giuridica, magari evoluta e sofisticata ma astratta, che di fatto copre altre aggregazioni ed altre gerarchie sociali inconfessate, più arcaiche e tribali. Non c’è solo lo “Stato profondo”, c’è soprattutto lo Stato informale, che è quello reale. Nel XVIII secolo il filosofo Jacopo Stellini (che, tra l'altro, era un prete) diceva che nella stessa società convivono livelli di civiltà completamente diversi, e si può concludere che sono i livelli di civiltà più “bassi” a dettare le vere regole. La modernità si rivela in gran parte un'illusione e persino il sacro riappare continuamente nella sua forma più idolatrica e superstiziosa, come ha dimostrato la recente ondata di vaccinolatria.
Oggi la legislazione sembra adattarsi a questa sua sostanziale impotenza, inseguendo più finalità “pedagogiche” che effettivamente normative. Attualmente è in discussione una modifica delle Legge Mancino, il DDL Zan, che intenderebbe estendere la categoria dei “reati di odio”, dichiarando ovviamente di voler preservare la libertà di opinione. Si tratta di leggi di contenuto sfuggente, che esplicitamente non nascono per essere applicate ma che si ispirano ad una concezione predicatoria e “siatebuonista”. La convivenza civile non viene perseguita attraverso una legislazione equilibrata e coerente, bensì con rituali collettivi di purificazione delle anime.