Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Persino gli organi di stampa più conformisti non hanno potuto fare a meno di sottolineare la coincidenza temporale dell'uccisione del "cooperante" italiano Giovanni Lo Porto in Afghanistan, con quella del funzionario del SISDE Nicola Calipari, avvenuta nel marzo di dieci anni fa in Iraq. Come molti "cooperanti" e giornalisti in zona di guerra, anche Giovanni Lo Porto era, probabilmente, un agente o un sub-agente dei servizi segreti, perciò la sua "involontaria" esecuzione da parte di un drone USA (almeno secondo la versione ufficiale), conferma che lo status di "alleato" copre molto poco dal sedicente "fuoco amico".
Tra le caratteristiche dell'imperialismo, c'è quella di annullare la differenza tra pace e guerra. La dichiarazione di guerra è stata cancellata dal diritto internazionale, tanto l'imperialismo è sempre in guerra, soprattutto quando è in "pace". Guerra commerciale tramite le sanzioni economiche, e guerra a bassa intensità attraverso il terrorismo e il sedicente antiterrorismo, determinano uno stato di tensione permanente. Ma l'imperialismo annulla anzitutto la distinzione tra nemico ed "alleato".
Il cosiddetto alleato è un bersaglio addirittura prioritario, poiché la colonizzazione non si dà una volta per tutte, ma è un processo incessante di eliminazione della capacità di reazione politica, militare ed economica di un Paese. Le motivazioni immediate dell'uccisione di Calipari e Lo Porto sono sconosciute, e quasi certamente rimarranno tali, ma si pongono nel quadro di questo annichilimento del cosiddetto alleato.
L'uccisione di Lo Porto è andata a coincidere anche con le celebrazioni del settantennale del 25 Aprile, creando un certo imbarazzo a parlare di "Liberazione". Anche dieci anni fa l'assassinio di Calipari e i suoi strascichi di pseudo-indagine vennero a coincidere con celebrazioni di un sessantennale del 25 aprile. Ma nel 2005 c'era ancora il grande effetto di distrazione determinato dal Buffone di Arcore, allora Presidente del Consiglio; perciò l'attenzione fu concentrata sul fatto che la destra stava cercando di prendere le distanze dal 25 Aprile, indicato come festa "comunista". Fu criticata l'assenza del Buffone alle celebrazioni di Milano, e ciò costituì l'elemento centrale del dibattito politico, facendo dimenticare la più recente vittima del "Grande Alleato", l'attuale occupante dell'Italia.
Con le sue recriminazioni meschine e pretestuose, la propaganda della destra svolge l'importante funzione di occupare lo spazio comunicativo, impedendo che si affaccino critiche da sinistra. Avviene così con l'annosa lamentela sulle "toghe rosse" e sulla "via giudiziaria al socialismo", che conferisce alla magistratura un alone giustizialista e giacobino. Sarebbe però molto più aderente ai fatti parlare di "toghe a stelle e strisce" e di "via giudiziaria all'imperialismo"; ed un esempio clamoroso ne è stato proprio il caso Calipari. In quella circostanza non solo la magistratura si bevve senza problemi la versione americana che indicava il soldato Lozano come unico sparatore, ma poi mandò anche assolto lo stesso Lozano con l'espediente del difetto di giurisdizione. Se l'indagine giudiziaria fosse stata condotta con un minimo di buona fede e di buon senso, sarebbe risultato evidente che Lozano era solo uno specchietto per le allodole, e che tutta la storia del "fuoco amico" non è altro che uno schema narrativo per eliminare chi ti pare a colpi di "Ops!".
Lo schema narrativo ricorrente costituisce infatti il migliore indizio del falso, e gli esempi non mancano. In margine alle cronache ufficiali sugli scontri di Baltimora di questi giorni, ci sono state propinati i video di una mamma di colore che schiaffeggiava il figlio - in tenuta da guerrigliero urbano di ordinanza -, per impedirgli di partecipare ai tafferugli. Un'immagine che fa passare davvero la voglia di protestare. Una storiella del tutto simile ci era stata raccontata quattro anni fa, in occasione dei disordini di Londra dell'agosto 2011, quando la solita mamma di colore denunciò di propria iniziativa il figlio teppista avendolo riconosciuto in un video.
Il pubblico viene così costantemente infantilizzato, gli si narra una fiaba illustrata o lo si fa giocare con la solita polemica generica e astratta tra destra e sinistra, ed è tutto contento. Un 25 Aprile che festeggia la "liberazione dal nazifascismo" dovrebbe invece rendere conto di dati storiografici noti e concreti, dai quali non si traggono le ovvie conseguenze. Curiosamente, nell'immediato dopoguerra, a tracciare un quadro lucido della situazione fu il comico triestino Angelo Cecchelin, colpito da un mandato di cattura della questura repubblicana per aver collaborato ad un presunto infoibamento di un informatore fascista. Sul giornale "La Riscossa di Treviso", Cecchelin confrontò la sua condizione di antifascista perseguitato dalla neo-democrazia con la licenza concessa agli ex fascisti, concludendo che le esigenze del conflitto con la Russia inducevano gli Anglo-Americani a riutilizzare con il nomignolo di anticomunismo un fascismo morto di morte naturale.
Costituisce infatti un dato storico accertato la riconversione da parte degli "Alleati" del nazifascismo in anticomunismo. Questo riciclaggio dei nazifascisti avvenne non solo nell'immediato dopoguerra, ma addirittura a guerra ancora in corso, come dimostra la vicenda della X Mas di Junio Valerio Borghese, noto come il "Principe Nero", mentre in effetti fu soprattutto un "Principe a Stelle e Strisce", dato che gli Anglo-Americani gli lasciarono campo libero nell'area adriatica per contrastare i partigiani jugoslavi. I lamenti sul "sangue dei vinti" non sono poi un'invenzione originale di Giampaolo Pansa. Quel vittimismo costituì la copertura e lo strumento di depistaggio per quella grande riconversione, per quel passaggio in massa dalla camicia nera alla camicia a stelle e strisce, di cui la fondazione della struttura segreta della NATO detta "Gladio" fu solo uno dei tanti episodi.
Il vittimismo non è roba per le vere vittime, ma sempre e solo per i carnefici. Ci sono oggi anche commentatori che ci invitano a spremere la lagrimuccia sui poveri Americani che soffrono tanto per aver fatto fuori degli innocenti. Ma è chiaro che lo hanno fatto a fin di bene, dato che c'erano dei terroristi da colpire. Lo Porto invece è una vittima sul serio, quindi non gli spettavano tutti questi riguardi.
Alle tante figuracce del suo viaggio americano, Renzi ha aggiunto infatti quella di essere tenuto all'oscuro da Obama sulla sorte di Lo Porto. Renzi si è affrettato a giurare sulla correttezza di Obama. Forse quella di Renzi non è solo sudditanza verso il "Grande Alleato", ma anche solidarietà tra fantocci. Il problema è che il gioco di ruolo va troppo spesso fuori misura, tanto che a Renzi, tra una pacca sulla spalla ed un complimento, tocca poi di essere trattato regolarmente come un lacchè negli appuntamenti internazionali. Come quando il segretario della NATO Stoltenberg, in visita in Italia a febbraio, si è prima congratulato con Renzi per i suoi "successi economici" (sic!), ma subito dopo gli ha ordinato di aumentare le spese militari (cioè gli acquisti di armi americane), visto che la "crescita" ora consentirebbe all'Italia di farlo.
L'approvazione parlamentare in via definitiva della legge elettorale detta "Italicum" sortirà il prevedibile effetto di spostare le residue speranze di salvezza del principio di rappresentanza verso un eventuale diniego a firmare la legge da parte di Mattarella. La democrazia ha sempre un'ultima spiaggia verso cui guardare; perciò, dopo Mattarella, vi sarà ancora qualcos'altro, o qualcun altro, in cui sperare. Certo è che quel trionfo del principio di "governabilità" su quello di rappresentanza al quale non era riuscito a giungere un "uomo forte" come Craxi, è invece riuscito ad un personaggio palesemente inconsistente come Renzi.
La spiegazione di tutto sta proprio nell'attuale inconsistenza della stessa rappresentazione della politica, divenuta un intrattenimento ed una distrazione rispetto all'azione delle lobby multinazionali saldamente insediate negli organismi sovranazionali come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l'Organizzazione mondiale per il Commercio, la Commissione Europea e, soprattutto, la NATO. L'ottusa impermeabilità alle critiche esibita da Renzi rappresenta un'ulteriore dimostrazione della scomparsa della politica, che, persino nello Stato assolutistico, svolgeva una funzione di mediazione. Renzi non si cura di dissensi e proteste, perché deve rispondere solo ai suoi padroni, cioè alle lobby multinazionali.
Il lobbying ha bisogno di nascondersi dietro gli slogan che si ammantano di grandi obiettivi, ma necessita anche di una drammatizzazione artificiosa che serva da alibi per spiegare perché questi clamorosi risultati promessi non vengano mai raggiunti. L'Expo di Milano è esemplare in questo senso, poiché, dopo tanto dispendio del pubblico denaro, occorrerà giustificare l'inutilità del tutto rispetto agli obiettivi dichiarati. Tramontati gli stupori e gli entusiasmi del XIX secolo, nell'attuale epoca dei voli intercontinentali e delle comunicazioni in tempo reale, gli Expo servono infatti soltanto ad esporre a figuracce il Paese organizzatore. Si sarebbe da tempo rinunciato a questo anacronismo, se non esistesse una agguerrita lobby degli Expo dedita al saccheggio della spesa pubblica.
Tra i tanti "meriti" dell'Expo che ci sono stati illustrati in questi giorni, commuove particolarmente la funzione pedagogica nei confronti dei giovani. In funzione dell'Expo è stato avviato il reclutamento di migliaia di ragazzi che si alterneranno come collaboratori volontari. Nelle interviste i giovani volontari spiegano che si tratta di una esperienza bellissima, dove si imparano tante cose, ed è un'esperienza che gli servirà per il futuro. Infatti, cosa ci potrebbe essere di più gratificante che imparare a lavorare felici, e soprattutto gratis, per note Opere Pie come Monsanto, Coca Cola, Mc Donald, eccetera?
In realtà, come al solito, il vero benefattore è il contribuente italiano, dal quale le multinazionali si sono presentate a riscuotere l'elemosina di incentivi, contributi e sgravi fiscali per concedere l'onore di partecipare all'Expo. Le cronache ci hanno in parte informato sul giro di corruzione legato all'Expo, ma non ci hanno detto nulla sui tanti furti rigorosamente legalizzati che l'Expo ha consentito.
Il lobbying non ha progetti sociali, ed ogni slogan è solo un alibi per coprire la sua vera prassi quotidiana, cioè ottenere assistenzialismo per ricchi. Il titolo di una telenovela di qualche decina di anni fa ci informava che "anche i ricchi piangono". L'informazione era gravemente imprecisa, in quanto sono soprattutto i ricchi a piangere. I ricchi si lamentano sempre, fanno sempre le vittime, ed infatti il welfare è tutto per loro; anche se i media mentono spudoratamente, facendo credere che la spesa pubblica sia gravata dalla previdenza.
Era scontato che anche per l'Expo si dovesse ricorrere a degli espedienti per coprire la mega-truffa ai danni del contribuente. Da qui l'esagerata enfasi mediatica posta sugli scontri avvenuti in occasione dell'inaugurazione. Così si è creato una sorta di accostamento subliminale tra l'infrangersi delle vetrine e l'infrangersi dei sogni di gloria legati all'Expo, come se una violenza irrazionale avesse guastato quanto faticosamente edificato dai volenterosi. Un film, "la notte degli insorti viventi", in cui una violenza cieca e irrazionale, emersa da chissà dove, è andata a turbare i pacifici sogni dei borghesi dopo un'operosa giornata.
Fa parte dell'inesorabile copione mediatico il dibattito sulla violenza e la forca caudina della presa di distanze e della condanna nei confronti della stessa violenza. In questo contesto c'è ancora chi si sforza di razionalizzare, chiedendo per l'ennesima volta le dimissioni del ministro degli Interni Alfano. C'è anche chi si chiede come questi possa ancora essere ministro dopo tutte le sue prove di inettitudine, le quali, una volta elencate, compongono sì un quadro desolante, ma anche una sorta di percorso preciso. Parafrasando Polonio, si potrebbe dire che c'è del metodo in questa stupidità.
Angelino Alfano è infatti l'uomo adatto per fingere di gestire una politica del cosiddetto "ordine pubblico", che in effetti è già stata affidata ad altri, cioè ai fabbricanti di emergenze. Nei romanzi dell'800 e dei primi del '900 ci veniva proposto il personaggio dell'Inetto, dello sconfitto nella darwiniana lotta per l'esistenza. Oggi l'inetto invece è prezioso, ed appare destinato ad irresistibili carriere, poiché ha assunto il sacro compito istituzionale di farsi travolgere da emergenze rigorosamente fittizie.
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