Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Ogni volta che rimane ucciso qualche componente dei Navy Seals, si viene immancabilmente a sapere che avrebbe fatto parte del commando spedito ad eliminare Bin Laden. Così è nata anche la leggenda giornalistica della maledizione di Bin Laden; ma l'importante è ribadire il solito messaggio-fiaba, cioè che sarebbe esistito un super-terrorista chiamato Bin Laden, e che gli USA in qualche modo lo avrebbero eliminato. Non fa nulla che non esistano riscontri, poiché basta occupare la memoria con l'invadenza del sentito dire.
Due ex Navy Seals sarebbero morti anche nell'attacco contro il consolato di Bengasi in cui rimase ucciso l'ambasciatore USA in Libia. Su quell'attacco ancora non si sa nulla di preciso, e non esiste neppure uno straccio di versione ufficiale a cui fare riferimento. Per mantenere il segreto è quindi utile parlare di Navy Seals, poichè ciò costituisce un espediente subliminale per depistare le coscienze ed indurle ad inseguire il fantasma di Bin Laden, invece di domandare cosa stia davvero succedendo in Libia.
Ci sono poi cose militari che non sono affatto segrete, eppure, misteriosamente, non pervengono mai all'opinione pubblica. Una di queste è la funzione mega-affaristica della NATO, che si incarica addirittura di promuovere ed organizzare il modello di "sviluppo" (?) di intere aree del mondo.
Ad esempio, durante l'Energy and Economic Summit del novembre del 2012, al centro degli interessi del Consiglio Atlantico è stata l'area del Mar Nero con le sue prospettive di sviluppo commerciale. Curiosamente nella stessa pagina del sito del Consiglio Atlantico nel quale ci si intrattiene su questi temi apparentemente pacifici, c'è anche una comunicazione sul come passare dal livello tattico a quello strategico nell'attuale aggressione della NATO contro l'Iran. L'Iran non ha sbocco sul Mar Nero, ma c'è parecchio vicino, perciò l'affinità dei due argomenti trattati sulla pagina del sito del Consiglio Atlantico risulta abbastanza evidente.
Per l'opinione pubblica, la NATO costituisce essenzialmente un'alleanza militare, ed i suoi risvolti affaristici riguarderebbero esclusivamente la vendita di armi. In realtà la NATO agisce come un'agenzia di business e di lobbying per multinazionali di ogni genere, a cui ci si iscrive diventando sponsor del Consiglio Atlantico. Sul sito del Consiglio Atlantico si trovano pagine dedicate all'autopresentazione dei vari sponsor, come, ad esempio, la Corporate Commercial Bank AD, una banca bulgara.
Nell'articolo 2 del Trattato Nord Atlantico del 1949, a proposito delle relazioni tra gli Stati contraenti, si afferma che: "Essi cercheranno di eliminare i conflitti nelle rispettive politiche economiche internazionali ed incoraggeranno le reciproche relazioni economiche." Ciò vuol dire che la NATO si riserva di scavalcare e soppiantare i governi nazionali nelle loro prerogative fondamentali, come la politica economica, che va resa omogenea agli obiettivi dell'alleanza. Si comprende quindi che anche l'Unione Europea non è altro che un'emanazione della NATO. Ciò ha comportato, ovviamente, la selezione di un personale politico sempre più pavido, servile ed inetto. Nulla di strano, a questo punto, che persino una decisione scontata, come il pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione, diventi un problema insormontabile.
Affari, commercio, finanza, energia sono quindi armi fondamentali della strategia di aggressione globale della NATO. Trarre da questa constatazione la solita banalità secondo la quale la guerra avrebbe cause "economiche", diventerebbe un modo di giustificare la guerra con un concetto nobile e troppo onnicomprensivo come l'economia. Il problema va in effetti circoscritto ad osservazioni più concrete, e cioè che l'intreccio tra militarismo e affari è inestricabile, e che non soltanto le armi sono affari, ma anche tutti gli affari non legati direttamente al business bellico, diventano comunque armi.
Tra gli sponsor del Consiglio Atlantico figurano ovviamente tutte le principali multinazionali, con grandi banche come JP Morgan, Deutsche Bank e Barclays ai posti d'onore. Il lobbying di queste multinazionali del credito trova quindi una base potente nella stessa NATO. Sarebbe un'informazione utile per tutti coloro che si lamentano delle tasse, dei tagli e degli abusi delle banche, poiché potrebbe costituire una remora a scattare sull'attenti ogni qual volta si evoca la minaccia di qualche dittatore.
Nel lessico colonialistico la parola "dittatore" svolge oggi un ruolo fondamentale, poiché esenta dal fornire qualsiasi prova delle proprie affermazioni. Basta attribuire al "dittatore" dei propositi aggressivi per ottenere l'alibi per attuare contro il suo Paese un'aggressione a tutti gli effetti. I bombardieri B-2 statunitensi infatti hanno operato pochi giorni fa un sorvolo della Corea del Nord in risposta alle presunte "minacce" del dittatore Kim Jong Un.
Le minacce del dittatore non le abbiamo potute sentire, in compenso ce le hanno riferite proprio quelli che gli mandano contro i minacciosi bombardieri B-2. Più che la minaccia nucleare del dittatore, ad irritare gli USA pare che sia l'attivismo degli affaristi cinesi nella Corea del Nord, ricca di materie prime e di manodopera, e che sta diventando un paradiso del business asiatico, però con l' esclusione delle multinazionali statunitensi e canadesi.
Il caso della Corea del Nord sta diventando un'ulteriore dimostrazione del fatto che non esiste un'opposizione al sistema imperialistico statunitense, né nel sedicente Occidente, né nell'ambito dei Paesi cosiddetti emergenti. A tutta la propaganda ufficiale non ha fatto riscontro alcun elemento di critica, persino delle assurdità più evidenti.
Non ci viene infatti spiegato come un Paese che soffrirebbe la fame da oltre sessanta anni, possa avere oltre 24 milioni di abitanti in un territorio che è circa la metà di quello italiano. Nessuno poi nota il ridicolo che questa propaganda sulla fame nella Corea del Nord provenga proprio da chi, per decenni, ha imposto a quel Paese sanzioni economiche sempre più dure. Non ci viene neppure spiegato come sarebbe possibile che una casta militare storicamente consolidata in mezzo secolo di resistenza antimperialistica, come quella nord-coreana, possa prendere ordini da un "dittatore" praticamente implume, e che pare avere più che altro una funzione simbolica di continuità.
Che la Corea del Nord rappresenti il grado più basso nel rispetto dei cosiddetti diritti umani, viene dato per scontato dai media; ma ci si guarda bene dal rilevare che tale giudizio deriva dai rapporti di ONG come Human Rights Watch, che si sono segnalate invece per il loro atteggiamento "comprensivo" nei confronti delle operazioni di "secret rendition" (sequestro di persona e tortura) della CIA.
Inoltre, la quantità di manovre militari messe in atto dagli Stati Uniti negli ultimi mesi non viene minimamente collegata all'attuale aumento della paranoia del regime militare nord-coreano, come se questa paranoia fosse dettata unicamente da cause interne. Dal mese di marzo le forze armate statunitensi hanno attuato ben tre sorvoli sulla Corea del Nord con i loro bombardieri B-2, ciò senza contare gli innumerevoli movimenti navali e la dislocazione di nuovi aerei e missili.
Niente di paragonabile per quantità e qualità dell'intimidazione può essere attribuito al regime nord-coreano. Ciononostante, neppure le cosiddette "minacce" del regime nord-coreano sono mai state contestualizzate nell'ambito delle manovre militari congiunte tra Usa e Corea del Sud; manovre che prevedevano anche la simulazione di un bombardamento nucleare con i soliti B-2. Ovviamente tutti questi movimenti militari statunitensi sarebbero dettati esclusivamente da motivazioni "difensive".
Anche i risultati diplomatici raggiunti dal segretario di Stato USA, John Kerry, nel riuscire a coinvolgere la Cina nell'operazione di isolamento del regime nord-coreano, vengono interpretati esclusivamente come effetto del crescere a livello mondiale della preoccupazione per l'aggressività del dittatore Kim Jong Un; mentre invece l'atteggiamento sempre più remissivo del regime affaristico cinese potrebbe essere riconosciuto proprio come la causa principale dell'aumentata aggressività statunitense. Per la Cina, l'indipendenza della Corea del Nord costituisce un baluardo strategico indispensabile, tale da dover essere sostenuto persino se la propaganda statunitense dicesse il vero circa l'aggressività del regime nord-coreano. La caduta della Corea del Nord in mani statunitensi, significherebbe un passo ulteriore nell'accerchiamento della Cina.
Inoltre, a smentire il mito della purezza ideologica del regime "socialista" della Corea del Nord, questa è diventata da anni una delle maggiori aree di investimento per gli affaristi cinesi. La storiella del dittatore del tutto incontrollabile anche da parte di Pechino, non si fonda perciò su nessun riscontro concreto.
Eppure il governo cinese esprime tutta la sua determinazione esclusivamente sulla questione tibetana, sebbene il Tibet non costituisca più un'area strategica così irrinunciabile, da quando negli anni '50 sono stati spenti tutti i possibili focolai di resistenza del Kuo Min Tang all'interno del territorio cinese. L'atteggiamento intransigente sul Tibet rappresenta quindi un alibi per il governo cinese, in modo da mettere in ombra la debolezza dimostrata nel caso della Libia, della Siria, ed ora della Corea del Nord.
La prospettiva che il mondo possa essere sull'orlo di una guerra nucleare soltanto per colpa di un "dittatore pazzo", appare tranquillamente come realistica e plausibile agli occhi dell'opinione pubblica mondiale. La propaganda ufficiale non ha bisogno di basarsi su nessun costrutto razionale; anzi, più la narrazione è fiabesca, più risulta efficace. L'esistenza di questi mitici "dittatori" giustifica poi automaticamente ogni aggressione militare degli Stati Uniti; una giustificazione avallata anche da coloro che ritengono di non essere dei filo-americani. Per tutti i commentatori l'unica prospettiva di "ragionevolezza" consiste sempre e soltanto in un totale cedimento del regime nord-coreano; mentre non viene minimamente presa in considerazione l'ipotesi che anche gli Stati Uniti possano intanto cessare i loro sorvoli e le loro esercitazioni nucleari sulla Corea del Nord.
La mistificazione delle "armi di distruzione di massa di Saddam" è già stata archiviata; perciò nessuno più si pone il problema che un'eventuale rinuncia della Corea del Nord al suo programma nucleare non farebbe recedere di un millimetro l'aggressività americana; anzi la farebbe aumentare. Persino Gheddafi aveva rinunciato al suo progetto di armamento chimico e nucleare, e per un po' era stato anche riammesso nel consesso della sedicente "comunità internazionale"; ma poi, per ottenere l'avallo incondizionato alla sua eliminazione, è bastato chiamarlo "tiranno" e "macellaio del suo popolo". Insomma, soltanto coloro che siano in grado di esibire una patente di assoluta perfezione morale potrebbero avere - forse - il diritto di essere esentati dai bombardamenti americani.
Il successo incontrastato e pervasivo - assolutamente trasversale a ideologie e schieramenti -, che incontra a livello mondiale la fiaba del dittatore pazzo, è tale da mettere in crisi le stesse idee di modernità e di progresso civile. Pare proprio che al fondo del sistema sociale mondiale vi sia un nucleo arcaico, primitivo, tribale, che si nutre di mitologie elementari.
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