Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Non sarebbe la prima volta che un risultato elettorale viene rovesciato in base a meccanismi di guerra psicologica. Nel novembre del 1932 in Germania, il partito nazista subì una brusca flessione elettorale, ma pochi mesi dopo Hitler ricevette ugualmente l'incarico di Cancelliere, anche in base all'argomento che la sconfitta lo avrebbe reso più adatto a tentare una mediazione parlamentare.
Non si tratta di ritenere che Berlusconi sia un altro Hitler o un nuovo Hitler, perché la Storia non si ripete secondo le stesse scadenze. Ciò che non cambia, però, è il modo di funzionare del cosiddetto "Occidente". L'ascesa del nazismo in Germania avvenne anche sotto la pressione delle capitali occidentali, che, attraverso la loro libera stampa, esprimevano l'opinione che Hitler fosse "l'uomo adatto alla Germania". Questo è il motivo per cui oggi il "Financial Times" rimpiange Berlusconi, non perché il personaggio sia ritenuto valido in sé, ma in quanto, nella sua ridicolaggine, è considerato confacente alla posizione di inferiorità razziale dell'Italia nella gerarchia delle nazioni.
Anche negli anni '20 e '30, la propaganda angloamericana, pur considerando gli Hitler e i Mussolini non degni di governare in nazioni evolute come la Gran Bretagna o gli Stati Uniti, li accreditava però come adeguate soluzioni per l'Italia e la Germania. Sotto l'effetto di questa guerra psicologica, anche in Italia e Germania si era arrivati a pensarla così: la democrazia è roba per popoli superiori, non per noi.
È astratta e inconsistente, perciò, la contrapposizione tra democrazia/liberalismo da un lato e dittatura/fascismo dall'altro, perché questi non sono modelli in competizione, ma corrispondono a gradi diversi della gerarchia tra le nazioni del cosiddetto Occidente. La stessa categoria di "Occidente" non corrisponde ad un reale soggetto storico/culturale, bensì ad un quadro propagandistico con dei contenuti costanti: il razzismo e l'autorazzismo.
La propaganda berlusconiana sui presunti brogli elettorali perpetrati dalla sinistra, rientra appunto in questo quadro autorazzistico. È ormai acquisito che negli Stati Uniti i brogli facciano parte normale del gioco politico, perciò non si può ammettere che l'Italia sia un Paese un po' meno barbaro e illegalitario degli Stati Uniti. Dove finirebbe il senso di inferiorità autorazzistico che l'Occidente assegna come ruolo all'Italia?
Si è assistito in queste settimane ad un'offensiva propagandistica contro l'astensionismo anarchico, spesso accusato di costituire una complicità con i fascisti. In realtà l'astensionismo dà fastidio agli occidentalisti, non per la sua capacità di mobilitazione numerica, ma perché rappresenta uno dei pochi momenti in cui viene messa in dubbio l'autenticità di quel quadro di false opzioni detto "Occidente".
Infatti, chi è che si sta incaricando di riabilitare storicamente il fascismo, se non degli opinionisti democratici? Cos'hanno in comune democrazia e fascismo?
Il razzismo e l'autorazzismo.
Quando uno come Giampaolo Pansa prende per buona la tesi secondo cui i "ragazzi di Salò" avrebbero voluto salvare l'onore italiano dopo il tradimento nei confronti dell'alleato tedesco, sta in effetti avallando il loro autorazzismo. In realtà l'Italia non poteva aver tradito l'alleato tedesco, perché non era mai stata trattata da alleato dalla Germania. Non si può tradire chi non si è mai fidato di te. Quei mezzi militari che erano sempre stati negati al cosiddetto alleato italiano, vennero fatti affluire in Italia solo dopo l'8 settembre del'43 per occuparla. Insomma, senza avallare facili retoriche resistenziali, se c'erano dei traditori, erano proprio quelli della Repubblica di Salò.
La propaganda occidentale, però, si incarica di riabilitarli, perché il loro autorazzismo comunque fa brodo nella guerra psicologica. Del resto i fascisti possono darsi tutte le arie da antiamericani che vogliono, ma quando squilla la tromba della superiorità occidentale, li vedi sempre tornare all'ovile.
Comidad, 20 aprile 2006
Dopo gli attentati di Dahab si è assistito ai consueti automatismi della disinformazione. Bomba è uguale a kamikaze, che è uguale a terrorismo islamico. Nessuno si domanda a cosa servissero dei kamikaze per fare strage di turisti inermi, perché ormai il "fanatismo" spiega tutto e il contrario di tutto. Anzi gli sforzi mentali si rivolgono a problemi ben più seri; ad esempio a cercare sottili mistiche dei numeri nella ricorrenza cronologica degli attentati, come fa Magdi Allam sul "Corriere della sera".
Ovviamente la presenza di kamikaze a Dahab, non è stata provata. È bastato inizialmente suggerire la cosa con l'uso dei verbi condizionali, poi darla per scontata, sino a parlare, senza documentazione di supporto, di ritrovamento di cadaveri di kamikaze. Niente di nuovo, è il copione già visto con gli attentati di Londra.
Eppure, rispetto al lontano passato, le novità ci sono. Se si considera ciò che è costato nel 1941 agli Stati Uniti presentarsi come vittima ignara di un'aggressione a tradimento, vediamo che qualcosa è cambiato. La mistificazione di Pearl Harbour - il nascondere agli americani che si era già in guerra col Giappone -, comportò dei prezzi da pagare in termini di vantaggio iniziale lasciato agli avversari, con la distruzione di alcune corazzate ed anche con perdite territoriali, come le Filippine. È una mistificazione talmente ben costruita che regge tutt'oggi, dato che quasi tutti i libri di storia ancora riportano la storiella che la dichiarazione di guerra da parte del Giappone sarebbe stata presentata un'ora dopo l'attacco.
Invece, dopo aver occupato l'Iraq, Bush non si è neppure preoccupato di spendere qualche dollaro per allestire un falso sito con finte armi di distruzione di massa. Si era visto Colin Powell appena qualche settimana prima andare all'ONU con le foto della "pistola fumante" che avrebbero provato il possesso di armi proibite da parte di Saddam. Ci si sarebbe aspettato quindi che la menzogna venisse in qualche modo sostenuta con qualche ulteriore supporto. Invece nulla. Bush e Powell si sono lasciati sbugiardare senza battere ciglio. Allo stesso modo si sono lasciate trapelare le sevizie delle carceri di Abu Ghraib, facendo anzi piovere i documenti visivi a riguardo.
Il problema è che ormai il colonialismo non ha bisogno di cercare giustificazioni, perché ha capito che, per giustificarsi, gli basta appellarsi al razzismo (o all'autorazzismo, come nel caso di Magdi Allam). L'occupazione dell'Iraq ed il suo sfruttamento si giustificano da soli, perché se gli Stati Uniti se ne andassero, ciò significherebbe - senti, senti - lasciar campo libero agli iracheni.
Oggi il colonialismo può permettersi di risparmiare costi e sforzi, perché può basarsi sul "fai da te" di coloro ai quali la disinformazione è indirizzata. È come dire: mentitevi pure da soli, autogestitevi.
Comidad, 27 aprile 2006
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