Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Spesso gli aspetti più interessanti di una vicenda non riguardano il merito della stessa, bensì i dettagli collaterali. In molti infatti si sono domandati il motivo per cui la Meloni nel suo spot vittimistico sul caso Almasri abbia falsamente affermato di aver ricevuto un “avviso di garanzia”, mentre invece si trattava di una semplice iscrizione nel registro degli indagati. Tra l’altro non esiste neppure un obbligo dell’autorità giudiziaria di comunicare tale iscrizione agli interessati; anzi, sta a chi teme un’eventualità del genere di attivarsi per averne notizia. Se non ci fosse stata di mezzo la competenza del tribunale dei ministri, forse la Meloni sarebbe rimasta tranquillamente ignara.
Non si trattava dunque di informazione di garanzia, ma anche se la Meloni avesse usato l’espressione corretta di iscrizione nel registro degli indagati, l’effetto di far indignare i suoi follower, e spingerli in un abbraccio ideale verso di lei, ci sarebbe stato ugualmente, poiché le sottigliezze della procedura penale non sono di universale conoscenza. I casi perciò sono due: o la Meloni ha mentito inutilmente, per pura abitudine e per riflesso condizionato, esponendosi altrettanto inutilmente ad essere sbugiardata; oppure la Meloni è la prima ad ignorare i risvolti della procedura penale e, imprudentemente, è corsa a cercare il calore dei suoi fan prima ancora di consultarsi con i suoi co-indagati Nordio e Piantedosi, i quali, pur non essendo delle cime, probabilmente masticano qualcosa di procedura penale. Potrebbe trattarsi quindi non di menzogna intenzionale o compulsiva, ma di banale cialtroneria. La Meloni avrebbe comunque la scusante di essere in buona compagnia nel consesso internazionale, dato che abbiamo appena visto Trump reclamare il possesso della Groenlandia. Evidentemente non era stato informato del fatto che gli USA già dispongono a piacimento della Groenlandia da tempo immemorabile; e neanche era a conoscenza del dettaglio che annettersela formalmente non sarebbe conveniente, poiché significherebbe addossarsi i costi della sua amministrazione; mentre oggi gli USA si trovano nell’ottimale posizione di fare i padroni in casa della Danimarca, lasciando però al “proprietario” l’onere di pagare il condominio e le bollette.
Alcuni osservano che la Meloni ha dimostrato notevole abilità di raccattare spostati e trasformarli in suoi idolatri; ma ora questo rapporto morboso con i suoi adoratori la sta condizionando oltre misura; infatti se nel caso Almasri la Meloni avesse evitato i proclami opponendo immediatamente il segreto di Stato, oggi avrebbe meno difficoltà. Sicuramente è così, ma è anche vero che appellarsi al segreto è un ossimoro, l’indizio di una falla nel sistema. La Meloni potrebbe avere motivo di recriminazione, ma non nei confronti dei magistrati, che stavolta non c’entrano nulla, bensì dei servizi segreti italiani.
Si è detto che il governo italiano ha dovuto far rilasciare Almasri e provvedere al suo espatrio perché vi sarebbero degli accordi inconfessabili stabiliti dai governi precedenti con fazioni libiche. Sabino Cassese e Bruno Vespa, in vena di cinismo e crudo realismo, si sono richiamati alla “ragion di Stato”, rivelandoci, nientemeno, che nel mitico “Stato di Diritto” i governi rivendicano di essere superiori alla legge, esattamente come i monarchi assoluti. Ci mancava solo che Vespa e Cassese ci svelassero pure che Babbo Natale non esiste, così non ci saremmo ripresi più dallo shock.
Ma, anche in questa circostanza, la retorica della ragion di Stato risulta pretestuosa e patetica, oltre che auto-contraddittoria; insomma è un’ennesima fiaba in versione più “pulp”. Se c’era davvero una “ragion di Stato” da tutelare, allora stava agli apparati istituzionalmente addetti alla “ragion di Stato”, cioè i servizi segreti, evitare che la cosa venisse mostrata in piazza, quindi impedire che l’arresto di Almasri avvenisse proprio in Italia. La Corte Penale Internazionale non può aver preso la decisione di far arrestare Almasri dalla sera alla mattina, ma ci devono essere state consultazioni preparatorie, tutte tracciabili; quindi, se ci fosse stata una “intelligence”, si sarebbe fatto in modo di pre-avvertire Almasri che qualcosa bolliva in pentola e quindi di tenersi alla larga dall’Italia.
Anche ammettendo che la “intelligence” possa aver fatto cilecca, i conti comunque non tornerebbero. Secondo la ricostruzione ufficiale, la Corte Penale Internazionale avrebbe emesso il mandato di arresto contro Almasri il 18 gennaio, chiedendo la collaborazione di sei paesi tra cui l’Italia. L’arresto sarebbe avvenuto a Torino il 19 gennaio; quindi AISI e AISE avrebbero avuto a disposizione quasi un giorno per fare sparire Almasri in modo da evitare imbarazzi e figuracce al governo italiano. Ventiquattro ore di tempo non sono molte, ma neppure poche, visto che i nostri servizi giocavano in casa.
Purtroppo per la Meloni, in base alla legge 124 del 2007, non c’è nessun appiglio per recriminare contro l’inerzia dei servizi segreti nella vicenda. Ciò è evidente già dal titolo della legge che parla di “sistema di informazione per la sicurezza”; quindi non “informazione e sicurezza ”, bensì “ informazione per la sicurezza”: In altri termini, i servizi segreti sono vincolati solo all’aspetto informativo, ma non a quello operativo, che andrebbe invece demandato ad altri organi di polizia. Il fatto che i servizi non abbiano una funzione operativa potrebbe apparire una garanzia contro loro eventuali abusi; in realtà la funzione informativa implica la possibilità di compiere qualsiasi reato allo scopo di ottenere informazioni, ma poi i servizi segreti non sono tenuti ad agire in seguito alle risultanze di tali informazioni o agli "effetti avversi" dei metodi usati per ottenere quelle stesse informazioni. In parole povere, i servizi segreti possono fare quello che gli pare e non devono rendere conto di nulla perché non sono tenuti a far nulla, tranne che a “informare”, cioè a raccontarti quello che vogliono.
Il concetto è ribadito anche nell’ultimo DDL Sicurezza, all’articolo 31, nel quale la finalità informativa consente persino di organizzare gruppi terroristici. D’altra parte, se non si ha una finalità operativa, se non si è tenuti a impedire gli attentati di quei gruppi terroristici, rimarrebbe ai servizi almeno l’obbligo informativo. Sennonché anche questo obbligo rimane astratto, dato che il governo dipende dalle informazioni che gli passano i servizi e non ha a disposizione altre fonti per vagliare tali informazioni e stabilire se vi sia stata omissione o falsificazione delle stesse. Sia la Legge 124/2007, sia il DDL Sicurezza in discussione ora al senato, di fatto rilasciano una cambiale in bianco ai servizi segreti, senza nessuna garanzia di riceverne in cambio un “servizio”, come si è visto nel caso Almasri. Dato il livello di irresponsabilità e impunità dei servizi segreti, di fatto deputati ad occuparsi solo dei propri giri d’affari, è giusto che la Meloni sfoghi la propria frustrazione usando i magistrati come punching ball. Il problema della “ragion di Stato” è che manca un preciso soggetto individuabile come “Stato”.
Il 5 febbraio scorso Sergio Mattarella era all’Università di Marsiglia ad intrattenere l’uditorio sul pericolo costituito dalle politiche di “appeasement”. Paragonando la situazione attuale a quella precedente alla seconda guerra mondiale, Mattarella ha affermato che l’accordo firmato a Monaco nel 1938, che riconosceva ad Hitler il controllo dei Sudeti, fu un’illusione di pace, mentre un atteggiamento di fermezza avrebbe “probabilmente” evitato la guerra. Un “probabilmente” che ha una funzione puramente retorica e poggia sul nulla, dato che proprio nulla indica che nel 1938 la Francia e il Regno Unito fossero in posizione di forza nei confronti della Germania e neppure dell’Italia. Ambrose Bierce diceva che Dio ha inventato le guerre per costringere gli uomini a studiare la geografia, ed in effetti il mito dell’appeasement di Monaco si dissolve osservando la carta geografica e consultando un po’ una cronologia degli eventi storici.
Mussolini svolse il ruolo di mediatore dell’accordo di Monaco, che fu firmato nel settembre del 1938. In quel periodo l’Italia occupava militarmente l’isola di Maiorca con truppe, navi e aerei; e da quella posizione geografica non soltanto bombardava le posizioni repubblicane in Spagna, ma era anche in grado di minacciare il transito per Gibilterra, cioè la principale roccaforte della potenza britannica nel Mediterraneo. La guerra di Spagna si concluse nell’aprile del 1939, e solo allora le forze armate italiane e tedesche si ritirarono dal suolo spagnolo, cessando di insidiare Gibilterra. Non ci fu quindi nessun appeasement ma solo uno scambio. L’unica a rimetterci fu l’Italia di Mussolini. Con il Duce già ridotto ad alleato subalterno di Hitler, l’Italietta si ritrovò ad essersi svenata nella guerra di Spagna senza ricavarne nessun guadagno territoriale. Fu un esempio classico di passo più lungo della gamba o, come si dice adesso, del caso di una media potenza che va in overstretching.
Nel settembre del 1939 la Germania invase la Polonia, perciò Francia e Regno Unito entrarono ufficialmente in guerra contro Hitler, pur senza avviare operazioni militari. Nel frattempo, grazie alla opportunistica disponibilità del regime franchista, Londra era anche riuscita a garantirsi la neutralità della Spagna nel conflitto, quindi svanì ogni preoccupazione per Gibilterra. Il primo ministro britannico Chamberlain aveva siglato un accordo per lui vantaggioso a Monaco, poiché era riuscito a prendere tempo per rimuovere uno dei maggiori elementi di debolezza strategica per il Regno Unito. Successivamente però la figura di Chamberlain fu sacrificata alle esigenze della propaganda di guerra, infatti tutte le ricostruzioni storiche sulla politica di presunta pacificazione a Monaco evitano accuratamente di parlare della guerra di Spagna, di Gibilterra e di Maiorca. Forse Chamberlain non sarebbe stato d’accordo ad essere sacrificato e messo alla berlina, ma sta di fatto che fu costretto a dimettersi nel maggio del 1940 e morì nel novembre dello stesso anno. Ufficialmente la morte di Chamberlain fu attribuita a cause naturali, e tutti mostrarono di crederci, perché si era in Inghilterra, mica in Russia.
Il presunto appeasement di Monaco rappresenta uno dei miti pseudo-storiografici più importanti della narrativa anglo-americana e sionista; si tratta di un tipico richiamo auto-celebrativo: noi siamo i buoni ed il nostro unico difetto è di essere a volte troppo buoni, accordando fiducia a chi non lo merita, come appunto a Monaco nel 1938. Il problema è che, al di là dell’infondatezza storica dello schema propagandistico del presunto appeasement di Monaco, c’è anche da rilevare che proprio nel caso del conflitto russo-ucraino il richiamarsi a quello schema narrativo risulta del tutto arbitrario e fuori luogo, poiché non vi è mai stato alcun cedimento nella “fermezza” della NATO, la quale si è sempre rifiutata di trattare con la Russia la questione dell’adesione o meno dell’Ucraina alla NATO stessa. La “fermezza” non ha affatto impedito che il 24 febbraio del 2022 le truppe russe invadessero l’Ucraina.
Mattarella non è nuovo al ricorso a questo pretestuoso richiamo propagandistico al mito di Monaco, dato che nel luglio scorso, durante la cerimonia del ventaglio, aveva già citato il caso di Chamberlain come esempio di falsa pacificazione. Il discorso di Mattarella aveva suscitato allora l’entusiasmo del direttore del “Foglio”, Claudio Cerasa, secondo il quale le parole del presidente costituivano una lezione per i “pacifinti” e gli “utili idioti” di Putin. Con questo “elogio”, Cerasa metteva in evidenza il carattere “divisivo” del discorso di Mattarella, che tendeva a squalificare come una forma di collaborazionismo col nemico tutta una serie di perplessità e dissensi che circolano nel paese. Il mito di Monaco si rivela così strategicamente vuoto ma funzionale ad una sorta di guerra civile strisciante, una caccia al traditore e al disertore. Un approccio comunicativo così estremo è più consono ad uno youtuber, che ha bisogno di trasformare il confronto di opinioni in guerra di opinioni, di enfatizzare le divisioni per euforizzare le tifoserie in modo da strappare like e inserti pubblicitari. Ma ciò che è comprensibile e legittimo se fatto da uno youtuber, che sbarca così il lunario, risulta meno appropriato da parte di un “capo dello Stato”, da cui ci si aspetterebbe ingenuamente che andasse a “correggere” i dissenzienti (o presunti tali) senza criminalizzarli troppo.
Il punto è che Mattarella non è nuovo a queste drammatizzazioni artificiose del dibattito pubblico e neppure è recente il suo ricorso alla sfacciata retorica catastrofista. Nel maggio del 2018 Mattarella negò a Paolo Savona la nomina a ministro dell’Economia. In quella circostanza un uomo di establishment come Paolo Savona, introdotto in tutti i consigli di amministrazione, venne fatto passare da Mattarella come una pericolosa testa calda, come un anti-euro che avrebbe destabilizzato i cosiddetti “mercati”; e ciò semplicemente per aver parlato di un “piano B” in caso di trattative infruttuose con la commissione europea. Nel settembre del 2021 analoghi toni esasperati furono usati contro chi invocava la libertà di non vaccinarsi. La stranezza non sta nel fatto che Mattarella e Draghi abbiano mentito riguardo alla capacità dei “sieri” di bloccare i contagi (la menzogna rientra nella routine dell’esercizio di qualsiasi potere), bensì nella criminalizzazione di una parte della società, presentata come una minaccia mortale per l’altra parte. Un vero e proprio programma di guerra civile, che ha determinato le condizioni per un caso unico nel mondo, cioè il fatto che l’Italia sia stata il solo paese a negare il diritto al lavoro ai non vaccinati.
Va detto però che Mattarella non ha inventato nulla, in quanto si tratta di uno schema di potere strutturale alla storia italiana, infatti l’oligarchia nostrana affida le sue aspirazioni di grandeur e di status internazionale all’esibizione della capacità di sottomettere e umiliare la propria popolazione. Allo scopo si enfatizza a dismisura una presunta minaccia di sedizione per accreditare l’indispensabilità del proprio ruolo di castigamatti e dei relativi eccessi.
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