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"Politically correct" è l'etichetta sarcastica che la destra americana riserva a coloro che evitano gli eccessi del razzismo verbale. "Politicamente corretto" è diventata la locuzione spregiativa preferita ovunque dalla destra. In un periodo in cui non c'è più differenza pratica tra destra e "sinistra", la destra rivendica almeno la sguaiataggine come proprio tratto distintivo."

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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

La diffusione del virus in Italia porta conferme e novità in politica, economia e lavoro: uno storico passo lungo verso il futuro. Aspetti curiosi e paradossali e un grande cambiamento epocale.

In politica
In Toscana per solidarietà ai cinesi il governatore-presidente Enrico Rossi compie eroico e dovuto atto di solidarietà con la comunità cinese per un principio di non-discriminazione, tacciando fascioleghista chi lo critica.
D’altra parte la Lega vanta di amministrare le regioni con la miglior sanità d’Italia, come la Lombardia. Davvero brutta notizia al Policlinico di Milano dove uno dei contagiati è proprio un dottore, e neanche l’ultimo novizio bensì uno che coordina degli specializzandi.
Passa qualche giorno e mentre il governo litigarella con le regioni per prendere in mano la sanità, si ammala una persona che collabora col governatore lombardo Attilio Fontana il quale si autoisola e mette la mascherina facendo un self-video che è come dire “guardate noi lumbard siamo coscienziosi, attivi e reattivi di fronte all’emergenza, mica quei cialtroni che stanno al governo”: peccato che il tono della comunicazione qualifichi cialtrone pure lui.

La realtà la intuisce chiunque, per scoprirla avevamo bisogno del contributo di un esimio professore:
1. dall’estero sono ritornati in Italia tante persone, qualcuna ha portato il virus
2. al nord c'è più movimento, gira più gente, c'è più probabilità di diffusione che al sud
3. gli ospedali, ovunque siano, sono il luogo dove se entra un virus allora è un disastro si diffonde al massimo
In parole povere: meno movimento, tutti a casa, meglio è.

D’altra parte la situazione è veramente mal decifrabile. Le notizie sono contrastanti e le azioni del governo sembra seguano l’umore della giornata.
• Prima “non cediamo all’allarmismo” e si fanno blandi controlli su coloro che rientrano.
• Poi “scoppia il focolaio” e nel lodigiano ti trovi 35 posti di blocco con i militari dell’esercito e nessuno può uscire
• Quindi tutta una serie di provvedimenti casual tipo chiusura scuole, partite sospese, lavoro da casa, con sempre e comunque strascico di polemiche che fanno gastrite.
• Poi la mortalità percentuale è comunque bassa quindi torniamo alla normalità.
• Nel mentre non ci mancano le cose ganze: il neologismo “infodemia” cioè l’epidemia che si diffonde con l’informazione; e flash mob in varie città per “combattere” il coronavirus

La questione vera è: questo maledetto virus è così grave oppure no?
• A vedere le scene tv dalla Cina, sì.
• A vedere la risposta italiana: un giorno sì e un giorno no.
Del resto è sempre facile criticare, ma che cosa avrebbe fatto ciascuno di noi se fosse stato al potere? Fermare il paese come in Cina oppure andare avanti in qualche modo accettando sconosciute conseguenze e sperando bene?
Assumendo la buona fede di chi ci governa (ma anche ragionevolmente assumendo una certa dose di viltà collegata al ruolo istituzionale) si può desumere:
• che questo virus non è così terribile
• che da noi non è come in altre parti del mondo, per davvero
• che le conoscenze scientifiche acquisite giorno dopo giorno ridimensionano il problema
Insomma, un declassamento d’ufficio del problema: da uragano tropicale a vento forte.

In economia
Il fatto è che il virus porta conseguenze economiche. Sarebbe devastante fermare il paese già in recessione tecnica. Da considerare che le prime stime di impatto della crisi sono dell’ordine di mezzo punto percentuale in meno sul PIL, una decina di miliardi volati via come niente.
Queste stime sono da verificare sui singoli settori:
• settori esposti come viaggi e turismo, disastro
• la gran parte dei settori economici, un po’ male
• settore sanitario, bene assai
• il più cinicamente goloso risvolto del virus è lo sviluppo del vaccino: farà miliardi la prima biotech che lo mette sul mercato
• in generale, comunque, nella settimana 21-28 febbraio le principali borse registrano perdite per oltre il dieci per cento
Ci sarebbe da dire: ma come, le borse crollano per una epidemia … declassata a forte influenza? Quel che appare è: i due fenomeni sono solo incidentalmente collegati. Le quotazioni borsistiche da anni sono eccessivamente alte per causa del “flood money” delle banche centrali, da tempo si attendeva lo scoppio della bolla. Che questo avvenga adesso, lo scopriremo nei prossimi giorni. Riserviamo l’esatta previsione ad analisti più competenti e documentati, ma l’impressione di chi scrive è che ci sarà un riallineamento dei valori di borsa un poco sotto i livelli precedenti.

Al lavoro (nel terziario-servizi specialmente)
Se il contagio si trasmette per contatto tra persone, eliminare il contatto significa eliminare il contagio. Ecco dunque che il mondo del lavoro non si ferma grazie allo smart working applicato specialmente presso grandi aziende del settore servizi-terziario: ecco che cosa accade lunedì 24 febbraio primo giorno dell’emergenza in Italia.
• Prima del coronavirus ne usufruivano circa mezzo milione di lavoratori
• Guardando al futuro, in ottica di estensione le stime sono tra cinque e dieci milioni di lavoratori
“Smart” significa “intelligence, furbo, sveglio”. “Working” significa lavorare. Per la normativa italiana in materia, non si sa come la legge 81/2017 agli articoli da 18 a 24 ha tradotto il termine in “ lavoro agile”
Ci sarebbe da questionare sul significato di questa scelta, “agile” forse è più adatta agli sportivi professionisti, ma tralasciamo e andiamo al sodo. La legge norma la possibilità di condurre il lavoro in modalità innovative rispetto al passato: “articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato". Ecco una breve guida alle previsioni normative.
Nella pratica concreta il lavoro agile era finora la possibilità di lavorare da casa un giorno ogni tanto (es. un giorno al mese, ma anche un giorno alla settimana) connettendosi in rete e usando strumenti aziendali come il notebook.
Alcune note:
• sebbene lavoro agile e lavoro da casa siano in pratica sinonimi, il lavoro agile si può fare anche in qualsiasialtro luogo
• è l’azienda che propone al lavoratore il lavoro da casa come gentil concessione, il lavoratore può anche rifiutare
• il lavoratore ha dritto alla disconnessione cioè nell’ambito di un accordo di organizzazione del lavoro può in determinate modalità disconnettersi dal computer/cellulare (un diritto palesemente difficile da garantire, per ovvie ragioni)
• il lavoro agile è differente dal telelavoro, quest’ultimo caratterizzato come lavoro sempre a distanza ed eccezionalmente in modalità diretta
• Il lavoro agile necessita di un accordo tra datore di lavoro e lavoratori, generalmente previsto nei contratti di lavoro nazionali.
• Con riferimento al punto precedente, al fine di risolvere la situazione di blocco del nord Italia, il governo il giorno 25 febbraio ha fatto (bene) un decreto che estende la possibilità d lavoro agile anche dove non c'è l’accordo, provvisoriamente fino a 15 marzo per tutto il Nord Italia
La combinazione del coronavirus con il decreto di urgenza del 25 febbraio ha determinato una realtà lavorativa incredibile.
Molti giorni a casa a lavorare e molti lavoratori rispetto al totale addetti (anche oltre 50%)
Per tre settimane la parte più popolata e produttiva del paese sperimenta in modo massiccio e diffuso il lavoro agile / da casa.
Questa sperimentazione forzata determinerà sicuramente un cambio di passo nella percezione e nella applicazione del lavoro agile.
• il lavoro da casa è immediatamente un vantaggio per il lavoratore perché permette di non viaggiare risparmiando soldi, tempo, disagi; permette anche il c.d. work life balance cioè stare dietro a esigenze proprie-familiari
• il lavoro da casa sarà sempre più ben visto e accettato da parte delle aziende, non è difficile immaginare un futuro ribaltato cioè 4 giorni a casa e 1 in sede, con buona pace della definizione di telelavoro
• ci si rende conto che non serve aggregare tanta gente a lavorare in sedi aziendali, anzi per l’azienda è complessivamente più economico far lavorare propri dipendenti da casa
• ci si rende ulteriormente conto che tanta parte del lavoro attuale, specialmente nel terziario, produce poco o niente e, se lo elimini, lo scostamento sulla produzione complessiva è poca cosa
• si stima che lavorare da casa permetta +15% produttività: in che modo azienda e lavoratore suddivideranno la maggior produzione?
• il diritto alla disconnessione appare subito per quel che é: per ovvie ragioni di contesto è poco realizzabile
• separare i dipendenti dalla sede fisica di lavoro significa di fatto estraniare le persone da un luogo simbolico di appartenenza
• come non cogliere al balzo l’idea di rimodulare il contratto di lavoro magari statuendo che chi lavora da casa è in qualche modo di serie B mentre i pochi che lavoreranno in sede saranno in serie A

Questi ed altri cambiamenti a mio avviso configurano un “passo lungo” della storia del lavoro.
 
Di comidad (del 15/03/2020 @ 00:43:15, in In evidenza, linkato 2368 volte)
E' sempre difficile ricordare il compagno che è stato l'amico di una vita, particolarmente dei tuoi anni giovanili, che è scomparso all'improvviso, per un tumore fulminante al pancreas, dopo che ti sei visto con lui pochi giorni prima e nulla faceva presagire quello che sarebbe successo – anzi, ti comunicava che, dopo tanti anni che era stato per lavoro in giro per il mondo, aveva ottenuto il trasferimento come Docente Ordinario di Patologia Generale dall'Università di Catanzaro a quella di Napoli, per cui si faceva immettere nella chat del Gruppo "Mastrogiovanni" per potervi partecipare. Il tutto mentre parlava dei suoi infiniti progetti per il futuro che, di lì a pochi giorni, si sarebbero infranti contro il muro della malattia che si sarebbe manifestata a brevissimo.
L'avevo conosciuto quando eravamo studenti all'università e, insieme a tanti altri compagni, scontenti della mancanza di un punto di riferimento forte dell'anarchismo sociale nella nostra città, avevamo dato vita all'esperienza dell'Organizzazione Anarco-Comunista Napoletana, che di lì a poco avrebbe aderito alla Federazione Anarchica Italiana. In quegli anni fu protagonista dell'intervento politico del gruppo, soprattutto nel campo antimilitarista, dalla lotta contro l'installazione dei missili nucleari a Comiso al contrasto delle prime guerre neoimperialistiche dopo la fine dello Stato Sociale. Vivevamo un po' come una comunità: quando non ci incontravamo per motivi legati all'attività militante, eravamo sempre insieme e facevamo la vita che potete immaginare di un gruppo di amici ventenni nel cuore degli anni ottanta.
La componente studentesca del gruppo aveva una caratteristica: eravamo un po' tutti alquanto brillanti nelle nostre discipline e molti di noi hanno seguito la strada dell'insegnamento e della ricerca. Ennio, in particolare, dopo il dottorato ed un post-dottorato all'Università di Napoli fu uno dei nostri primi "cervelli in fuga" e si trasferì in Svezia al Karolinska Institutet di Stoccolma, dove restò per vari anni, prima di riuscire a rientrare in Italia come Docente Associato prima, Ordinario poi, dell'Università di Catanzaro, per poi riuscire a tornare nella sua città. Il tutto sempre con una produzione scientifica di altissimo livello, testimoniata dalla qualità delle riviste che ospitavano le sue ricerche – oltre alla comunità di noi militanti, è pianto anche dalla comunità scientifica, particolarmente quella che si occupa dell'immunologia e, ironia della sorte, delle terapie tumorali.
Anche vivendo una vita alquanto movimentata, tra Stoccolma, Catanzaro, Salerno, Napoli per non dire del resto del mondo dove lo portava di continuo la sua attività scientifica, aveva mantenuto costante, ovunque si trovasse, la sua attività militante nell'anarchismo sociale. È pianto anche dalla comunità del Confederalismo Democratico del Rojava: negli ultimi anni si dedicava particolarmente alla Staffetta Sanitaria ed al lavoro di supporto alle strutture educative del Rojava liberato – un progetto, tra l'altro, nato in origine in una delle nostre tante discussioni.
Infine, tutti coloro che l'hanno conosciuto lo ricordano per le sue qualità umane. Allegro, solidale, vitale, qualunque fosse il motivo per cui lo si frequentasse era sempre un piacere incontrarlo e dispiaceva a tutti, per la sua vita movimentata, non poterlo frequentare di continuo. Per questo e mille altri motivi, mancherà a tantissimi. Ciao, Ennio. (Enrico)

Ennio ha fatto parte di quella "sporca dozzina" che nei primi anni '80 fondò l'Organizzazione Anarco-Comunista Napoletana (OACN). Era al primo anno di Medicina ma, nonostante la pesantezza dello studio, ha partecipato in prima persona a tutte le iniziative e non so proprio come riuscisse a trovare il tempo anche per la socialità, che in quegli anni era a base di cene improvvisate in case ospitali, concerti underground, vagabondaggi notturni e spericolati zig-zag con la sua Renault 4.
Il suo è stato un anarchismo mai dogmatico, sempre allegro, possibilista e lungimirante. Fu lui a organizzare le riunioni nelle quali un informatico, suo compagno di liceo, venne a spiegarci cos'erano i Personal Computer e come e perché avrebbero cambiato tutto.
Vacanze estive, capodanni in giro per l'Italia e iniziative politiche ci hanno tenuto in contatto lungo più di 40 anni, anche quando il suo lavoro e il mio hanno messo tra le nostre vite troppi chilometri di distanza e poco tempo per frequentarci come in passato. Molti i ricordi e troppo il dolore per raccontare le innumerevoli "storie" personali e politiche vissute insieme, l'ultima delle quali quando accompagnammo i figli a Lucca Comics, con lui travestito da Corto Maltese.
Lo scorso novembre è comparso su mastodon.bida.im e il suo ultimo messaggio è stato: "Fratello confermo anche qui pluvia non finir y tengo da mangiar hasta Catanzaro: mierda. besos". Baci, fratello. (Peppe 'o psicologo – Pepsy)
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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