Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Il caso Soumahoro ha fornito all’opinione pubblica l’occasione di liberarsi finalmente dalle costrizioni del politicamente corretto; anzi, è diventato improvvisamente politicamente corretto partecipare al grande evento ludico del linciaggio del negro, come nel caro vecchio Alabama dei tempi d’oro. L’esca razziale ha funzionato talmente bene che persino l’opinione anti-establishment è stata pienamente coinvolta nel linciaggio, tanto da farsi trascinare dalla bolla mediatico-giudiziaria e dall’euforia forcaiola, deponendo di colpo l’abituale diffidenza nei confronti dei giornalisti e dei magistrati. Il problema sorge però quando qualche raro giornalista non mente su tutta la linea, ma mischia concrete evidenze insieme con affermazioni irrealistiche. Piero Sansonetti descrive correttamente e dettagliatamente gli abusi e le coercizioni illegali a cui sono sottoposte la moglie e la suocera di Soumahoro, salvo poi concludere, in modo del tutto irrealistico, che in Italia la magistratura è un corpo separato in grado di fare tutto quello che vuole. Ancora una volta si evoca il mito della magistratura; un mito che può presentarsi spesso in chiave ideologizzata, cioè nella versione devozionale della magistratolatria, cara alla ex sinistra, oppure nei babau agitati dalle destre: le “toghe rosse” e la “via giudiziaria al socialismo”. Nel 1992 il culto popolare nei confronti delle Procure che scardinavano la clepto-partitocrazia raggiunse il culmine, ma poi si vide che in quel caso la magistratura era come un Giovanni Battista che preparava il terreno al vero messia, cioè Mario Draghi; non il Draghi bollito che abbiamo visto di recente alla Presidenza del Consiglio, ma il Draghi rampante del panfilo Britannia, il funzionario del ministero del Tesoro che annunciava il vangelo delle privatizzazioni.
Il Consiglio Superiore della Magistratura è un organo che può fungere sia da acceleratore sia da freno degli abusi giudiziari, a seconda delle esigenze. Grazie alla Costituzione più bella del mondo, in Italia il Presidente della Repubblica non soltanto presiede il CSM ma anche il Consiglio Supremo di Difesa, in quanto Capo delle Forze Armate. Il primato gerarchico del Presidente della Repubblica sulla magistratura quindi non rimane sul piano astratto dell’enunciazione, dato che la Difesa presuppone anche i servizi di “intelligence”, ovvero di dossieraggio e ricatto. In base all’assetto costituzionale, se in Italia c’è un superpotere fuori controllo, quello non è certamente l’organo giudiziario. Il cosiddetto “Stato” è un animale multiforme, che si presenta come un edificio legale, concepito però in modo tale da configurarne già il risvolto illegale, che è poi quello fondamentale nell’esercizio effettivo e concreto del potere. Il potere è come un iceberg in cui la parte emersa, cioè l’assetto giurisdizionale, è quella meno rilevante, ed ha un ruolo complementare e di sponda al sommerso illegale, che non solo è prevalente ma rappresenta ciò che spinge il sistema. Arresti arbitrari ed altri abusi avvengono senza bisogno di cospirazioni e complotti, ma gli strumenti altrettanto arbitrari per bloccare procedimenti sgraditi, persino quando siano perfettamente legali, ci sono, eccome. Non è quindi per rassegnazione che oggi i politici di ogni schieramento siano entusiasticamente montati sul piedistallo morale per plaudire al linciaggio del negro.
Ogni potere ha un centro di potere, ma non c’è affatto bisogno dell’impulso dall’alto per riprodurre arbitrio e mistificazione; si tratta invece di uno schema comportamentale che può riprodursi anche dal basso. Le esche a cui abboccare sono sempre le stesse, cioè il razzismo ed i finti protagonismi. Nel caso Soumahoro l’esca razziale (il “negro”) ed il falso protagonista (la magistratura) risultano distinti; nel caso del conflitto mediorientale invece il presunto “Stato Ebraico” svolge entrambe le funzioni, sia di esca razziale, sia di protagonista fasullo, in modo che l’attenzione sia distratta dalla cortina fumogena dell’antisemitismo sì o antisemitismo no. L’esistenza in vita di quella cosa detta “Stato” presuppone un minimo di autonomia finanziaria, altrimenti si è soltanto l’appendice coloniale di qualcun altro. La nascita ufficiale dello Stato d’Israele risale al 1948; ma un organo sionista di sicura fede, “Jewish Virtual Library”, ci assicura che dal 1949, dai tempi del presidente Truman, l’esistenza di Israele dipende dal finanziamento statunitense. Da settantacinque anni gli USA gonfiano la bolla israeliana con un flusso ininterrotto di soldi. Qui in Italia stiamo ancora a strisciare e ringraziare gli USA per i pochi soldi del Piano Marshall, che inoltre fu un aiuto di breve durata. Il fenomeno macroscopico della storica dipendenza finanziaria di Israele dagli USA è invece il grande assente del dibattito pubblico. Il motivo è che il Piano Marshall fu al 10% vero ed al 90% fu spot pubblicitario, mentre i finanziamenti USA ad Israele, pur del tutto ufficiali e contabilizzati nel bilancio pubblico, non sono però reclamizzati dai media. Le identità etnico-religiose forse avranno pure la loro importanza, e neppure è da trascurare completamente la sete di sangue del benpensante occidentale, che si esprime negli appelli guerrafondai degli opinionisti dei grandi quotidiani. L’odio però rimane latente a tempo indefinito se non arrivano a qualcuno i soldi per acquisire la posizione di forza dalla quale attaccare gli altri. Il denaro non è soltanto destabilizzante ma è anche euforizzante, perciò suggestiona e induce a tralasciare quella prudenza che è il vero argine contro le guerre. Alla fine perciò la faccia che conta è quella di chi paga il conto per le armi e per quelle pulizie etniche che sono gli insediamenti coloniali.
Un altro indizio che Israele sia solo un alter ego di Washington è il fatto che ora ne riproduce pedissequamente il dispendioso fallimento militare. Stare oggi a discutere su quali fossero gli obbiettivi di Hamas con l’attacco del 7 ottobre, appare abbastanza fumoso. Per quanto l’attacco fosse ben preparato, Hamas e le altre organizzazioni palestinesi partecipanti all’azione non potevano certo preventivare di essere in grado di annientare simultaneamente un sofisticato e costosissimo sistema di difesa elettronica ed anche due battaglioni di soldati professionisti. Neppure Hamas e soci potevano immaginare che l’esercito israeliano andasse talmente in tilt da sparare alla cieca su un kibbutz, facendo lievitare oltre il migliaio il conto delle vittime civili. I media hanno mentito, avallando persino la fiaba dei bambini decapitati, a cui peraltro nessun capo di governo ha dato credito, tranne ovviamente la Meloni. I media continuano a mentire, cercando di far credere che l’intelligence israeliana, incapace di vedere la famosa mucca nel corridoio, ora sia addirittura in grado di individuare gli aghi nel pagliaio, cioè i mitici covi di Hamas a Gaza. In realtà il punto è che l’unica superiorità militare di cui Israele oggi dispone è quella aerea, e quindi è capace soltanto di bombardare i civili.
La vicenda ucraina dimostra a sua volta che sono i soldi a fare la guerra, anche se i soldi non sono poi in grado di vincerla. Quel che risulta certo è che l’Ucraina ed il governo di Kiev non sono politicamente i protagonisti e neppure i comprimari della guerra. Da Washington non arrivano soltanto le armi, ma persino i soldi per pagare gli stipendi ai funzionari ed ai militari di Kiev. Soltanto un tale grado di dipendenza finanziaria può spiegare scelte scriteriate e suicide come la famigerata “controffensiva ucraina”. La politica estera degli USA e della loro appendice israeliana è stata storicamente all’insegna dell’ “atterrire e lagnarsi” (per dirla alla fra Cristoforo); ma il doppio fallimento del sostegno NATO all’Ucraina e delle sanzioni occidentali contro la Russia, fa sì che si riesca ad atterrire sempre di meno e ci si lagni sempre di più.
Lo strafalcione di Bruno Vespa sugli ignoti presidenti della Repubblica di Spagna e Inghilterra è diventato indirettamente l’occasione per veicolare un’idea distorta sul ruolo di questo personaggio; come se il suo appoggio alle iniziative del governo Meloni sul premierato e sullo spostamento di migranti in Albania rientrasse nel consueto servilismo dei giornalisti nei confronti del potente di turno. Non si deve invece confondere Vespa con un Tommaso Cerno qualsiasi, e neppure travisare l’effettivo rapporto gerarchico tra lui e la Meloni. Mentre Vespa è un vero oligarca, la Meloni è solo una precaria con contratto a tempo determinato.
Se si osserva quel video che ha suscitato tanti sarcasmi e si prescinde per un attimo dalle gaffe, si riconosce immediatamente lo schema narrativo con il quale Vespa prima delle elezioni ha confezionato nel suo salottino/laboratorio l’ologramma della Meloni come Presidente del Consiglio in pectore. Ci è stata narrata la fiaba di una ragazza di umili origini che è arrivata ai vertici grazie al suo impegno, al suo lavoro ed alla sua buona volontà. A completare il quadretto, alla Cenerentola Meloni infatti è stata contrapposta una sorellastra invidiosa, la figlia di papà Elly Schlein. Nel video Vespa ci offre l’immagine di un governo che si dà da fare e cerca di risolvere i problemi, mentre l’opposizione fa inutilmente casino. In realtà il casino lo sta facendo proprio Vespa, dato che l’opposizione non è assolutamente in grado di impedire o ritardare l’azione di un governo che dispone di una maggioranza parlamentare schiacciante. Questo eccesso di difesa dà adito al dubbio che lo scopo di certe iniziative di governo sia esclusivamente quello di suscitare critiche in modo da potere spacciare la solita fiaba vittimistica dei benefattori ostacolati dai disfattisti. Insomma, prove tecniche di fintocrazia.
Non ci sarà mai il rischio di sopravvalutare l’importanza della narrativa vittimistica del potere nella riproduzione delle gerarchie sociali. Il vittimismo dei potenti non è semplice ideologia, è uno schema manipolatorio e relazionale che può dar luogo ad automatismi comportamentali. La narrativa vittimistica è uno spazio nel quale si consuma la complicità, o il gioco di sponda, dell’opinione pubblica col potere. L’opinione pubblica infatti si relaziona come un bambino che vuole farsi raccontare sempre la stessa fiaba su un potente che avrebbe potuto compiere mirabilie, su un Salvatore che avrebbe potuto salvarci tutti, ovviamente se non fosse stato circondato da ingrati che gli hanno legato le mani. Questo schema narrativo è stato reso popolare dai nostalgici del Duce, poi da quelli del Buffone di Arcore; ma di recente lo abbiamo visto riproporre anche con Draghi. In questa fase storica il potere reale è esercitato da lobby trasversali tra il capitale privato e le burocrazie pubbliche che si scambiano i ruoli attraverso le porte girevoli. Si tratta di uno schema che riproduciamo, seppure in scala minore rispetto agli USA, anche nella nostra Italietta; per cui, ad esempio, ai vertici di Leonardo- ex Finmeccanica abbiamo visto ex dirigenti dei servizi segreti come De Gennaro e Carta, ed anche politici di destra e sinistra, senza discriminazione, come Minniti e Crosetto. I governi perciò contano sempre meno, e la loro funzione si è spostata sul piano comunicativo, pubblicitario, in modo da coltivare nelle masse il bisogno di gerarchia. Il potere attuale quindi accentua la propria schizofrenia, in quanto le lobby si pongono esclusivamente in termini di affari, senza problemi di prospettiva o di modelli politico-sociali, mentre i governi si spendono in una retorica palingenetica assolutamente inconcludente ma comunque funzionale alle pubbliche relazioni. I governi esistono solo in funzione dei media, vivono esclusivamente in quel mondo virtuale, perciò il pathos che mettono nei loro psicodrammi assume una autenticità esistenziale. La polemica tra destra e sinistra oggi è solo una pantomima, ma, come diceva Diderot, è tipico dei pessimi attori immedesimarsi troppo nella parte, tanto da arrivare a crederci.
Sul potere c’è una rappresentazione ingenua e/o opportunistica (i due atteggiamenti non sono in contraddizione) che ce lo propone in termini puramente geometrici, come un centro o un vertice, un alto contro il basso. In realtà il potere può riprodursi anche dal basso e nei contesti più insospettabili, e chiunque può crearsi un carisma ed un seguito da salvatore della patria attraverso una comunicazione insolente e provocatoria, in modo da presentare eventuali critiche alla stregua di attentati e sabotaggi a progetti che altrimenti avrebbero prodotto nuovi Eden. Questi micro-poteri che nascono dal basso, per quanto effimeri, svolgono comunque un ruolo “educativo”, cioè si finisce sempre per vedere il mondo nell’ottica del potente tanto generoso, che potrebbe regalarci il paradiso se non arrivasse ogni volta un diavolo a disturbare. L’importante è avere un cattivo a cui dare la colpa. Sulla cresta dell’onda oggi ci sono Putin e Hamas, ma in futuro ci sarà spazio per tanti altri mostri.
Come mai questi cattivi esistono ancora? La risposta è ovvia: in passato siamo stati troppo buoni. Alcuni giorni fa, il ministro della cultura israeliano ha proposto una soluzione per il problema di Gaza: sganciare un ordigno nucleare sulla Striscia per indurre gli irrequieti palestinesi a più miti propositi. Una proposta così ragionevole è stata discussa dal parlamento israeliano; le poche immagini che ci giungono da quel parlamento fanno sembrare le adunate degli ultras del calcio un ritiro spirituale per penitenti. Ma pare che Netanyahu si sia opposto fermamente a quella brillante idea. Ma com’è umano lei. In effetti, la puttanata di Amichai Eliyahu (così si chiama il ministro della cultura che ha avuto l’idea) ha svolto la funzione di mostrare come è giudizioso, come è generoso il governo israeliano a massacrare solo alcune migliaia di palestinesi mentre avrebbe potuto già farli fuori tutti da tanto tempo; e d’altro canto ricordare che loro comunque la bomba ce l’hanno. Il feticismo dell’atomica fa dimenticare che oggi una tecnologia missilistica ipersonica è a disposizione di molti paesi e che un banale gas nervino ha effetti devastanti quanto il nucleare.
Ma il delirio di onnipotenza è fondamentale per alimentare lo psicodramma fintocratico. Qualcuno si ricorderà che nel 2022 la vittoria ucraina era scontata e che l’unico problema era la sorte da riservare a Putin: se impiccarlo direttamente o consegnarlo al tribunale penale dell’Aja. Hillary Clinton favoleggiava di un’Ucraina che diventasse per la Russia un nuovo Afghanistan, come se, insieme con le armi, gli USA potessero fornire agli ucraini anche montagne e caverne. Dall’iperbole pubblicitaria al pensiero magico il passo è breve. Il “Washington Post” ci rivela (era ora!) che a far saltare il gasdotto North Stream erano stati gli ucraini, magari arrivando nel Mar Baltico col pattino, giusto per non dare nell’occhio. Era persino più credibile la storia che a far saltare il gasdotto fossero stati i russi.
In attesa di uccidere tutti i militanti di Hamas l’onnipotenza del Sacro Occidente può tenersi in forma dando la caccia a terroristi raccogliticci. L’allarme riguarda le moschee, dove pare succeda di tutto, infatti pare, nientemeno, che ci si gridi “Allah Akbar”. La nuova ordalia, il nuovo giudizio di Dio per riconoscere la minaccia passa da una prova irrefutabile: la frase “Allah Akbar”. Se questa espressione viene detta, urlata, sussurrata, accennata, indica l’orribile metamorfosi di un semplice arabo in qualcosa di indicibile: un radicalizzato, un fanatico, un terrorista, un fiancheggiatore o un simpatizzante di estremisti tagliagole. A questo punto scattano le misure per eradicare il bubbone. A Parigi, la polizia ha ferito gravemente una donna che urlava Allah Akbar. Dopo la sparatoria i poliziotti hanno raccontato che minacciava di farsi saltare in aria. La donna era disarmata, ma per il pensiero magico il dettaglio è irrilevante. A Milano hanno arrestato un algerino che avrebbe pensato Allah Akbar, e secondo alcuni l’avrebbe persino urlato, chissà; ma la polizia non è sicura e sono in corso accertamenti, forse era già un ricercato. Pare facesse addirittura il venditore ambulante.
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